Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Diversi artefici italiani

Diversi artefici italiani

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Don Giulio Clovio Diversi artefici fiamminghi

[p. 824 modifica] Ive anco in Roma, e certo è molto eccellente nella sua professione, Girolamo Siciolante da Sermoneta, del quale se bene si è detto alcuna cosa nella vita di Perino del Vaga, di cui fu discepolo e l’aiutò nell’opere di Castel Sant’Agnolo e molte altre, non sia però se non bene dirne anco qui quanto la sua molta virtù merita veramente. Fra le prime opere adunque che costui fece da sé fu una tavola alta dodici palmi, che egli fece a olio di venti anni, la quale è oggi nella badia di Santo Stefano, vicino alla terra di Sermoneta sua patria, nella quale sono quanto il vivo San Pietro, Santo Stefano e San Giovanni Batista, con certi putti. Dopo la quale tavola, che molto fu lodata, fece nella chiesa di Santo Apostolo di Roma, in una tavola a olio, Cristo morto, la Nostra Donna, San Giovanni e la Madalena con altre figure condotte con diligenza. Nella Pace condusse poi alla cappella di marmo, che fece fare il cardinale Cesis, tutta la volta lavorata di stucchi, in un partimento di quattro quadri, facendovi il Nascere di Gesù Cristo, l’adorazione de’ Magi, il fuggire in Egitto e l’uccisione de’ fanciulli innocenti, che tutto fu opera molto laudabile e fatta con invenzione, giudizio e diligenza. Nella medesima chiesa fece, non molto dopo, il medesimo Girolamo in una tavola alta quindici palmi, appresso all’altare maggiore, la Natività di Gesù Cristo, che fu bellissima. E dopo per la sagrestia della chiesa di Santo Spirito di Roma, in un’altra tavola a olio, la venuta dello Spirito Santo sopra gl’Apostoli, che è molto graziosa opera. Similmente nella chiesa Santa Maria de Anima, chiesa della nazione tedesca, dipinse a fresco tutta la cappella de’ Fuccheri, dove Giulio Romano già fece la tavola con istorie grandi della vita di Nostra Donna. [p. 825 modifica]Et in San Iacopo degli Spagnuoli, all’altare maggiore, fece in una gran tavola un bellissimo Crucifisso, con alcuni Angeli attorno, la Nostra Donna, San Giovanni et oltre ciò due gran quadri, che la mettono in mezzo, con una figura per quadro alta nove palmi, cioè San Iacopo apostolo e Santo Alfonso vescovo, nei quali quadri si vede che mise molto studio e diligenza. A piazza Giudea, nella chiesa di San Tommaso, ha dipinto tutta una cappella a fresco, che risponde nella corte di casa Cenci, facendovi la natività della Madonna, l’essere annunziata dall’Angelo et il partorire il Salvatore Gesù Cristo. Al cardinal Capodiferro ha dipinto nel suo palazzo un salotto molto bello de’ fatti degl’antichi Romani. Et in Bologna fece già nella chiesa di San Martino la tavola dell’altare maggiore, che fu molto comendata. Al signor Pierluigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, il quale servì alcun tempo, fece molte opere et in particolare un quadro, che è in Piacenza fatto per una cappella, dentro al quale è la Nostra Donna, San Giuseppo, San Michele, San Giovanni Batista et un Angelo di palmi otto. Dopo il suo ritorno di Lombardia fece nella Minerva, cioè nell’andito della sagrestia, un Crucifisso, e nella chiesa un altro. E dopo fece a olio una Santa Caterina et una Santa Agata. Et in San Luigi fece una storia a fresco a concorrenza di Pellegrino Pellegrini bolognese, e di Iacopo del Conte fiorentino. In una tavola a olio, alta palmi sedici, fatta nella chiesa di Santo Alò, dirimpetto alla Misericordia, Compagnia de’ Fiorentini, dipinse non ha molto la Nostra Donna, San Iacopo apostolo, Santo Alò e San Martino vescovi, et in San Lorenzo in Lucina, alla cappella della contessa di Carpi, fece a fresco un San Francesco che riceve le stimate. E nella sala de’ re fece al tempo di papa Pio Quarto, come s’è detto, una storia a fresco sopra la porta della cappella di Sisto, nella quale storia, che fu molto lodata, Pipino re de’ Franchi dona Ravenna alla Chiesa romana e mena prigione Astulfo re de’ Longobardi, e di questa abbiamo il disegno di propria mano di Girolamo nel nostro libro, con molti altri del medesimo. E finalmente ha oggi fra mano la cappella del cardinale Cesis in Santa Maria Maggiore, dove ha già fatto in una gran tavola il martirio di Santa Caterina fra le ruote, che è bellissima pittura, come sono l’altre che quivi et altrove va continuamente e con suo molto studio lavorando. Non farò menzione de’ ritratti, quadri et altre opere piccole di Girolamo, perché oltre che sono infiniti, queste possono bastare a farlo conoscere per eccellente e valoroso pittore. Avendo detto di sopra, nella vita di Perino del Vaga, che Marcello pittore mantovano operò molti anni sotto di lui cose che gli dierono gran nome, dico al presente, venendo più al particolare, che egli già dipinse nella chiesa di Santo Spirito la tavola e tutta la cappella di San Giovanni Evangelista col ritratto di un commendatore di detto Santo Spirito, che murò quella chiesa e fece la detta cappella. Il quale ritratto è molto simile e la tavola bellissima; onde, veduta la bella maniera di costui, un frate del Piombo gli fece dipignere a fresco nella Pace, sopra la porta che di chiesa entra in convento, un Gesù Cristo fanciullo, che nel tempio disputa con i dottori, che è opera bellissima. Ma perché si è dilettato sempre costui di fare ritratti [p. 826 modifica]e cose piccole, lasciando l’opere maggiori, n’ha fatto infiniti, onde se ne veggiono alcuni di papa Paulo Terzo belli e simili affatto. Similmente con disegni di Michelagnolo e di sue opere ha fatto una infinità di cose similmente piccole, e fra l’altre in una sua opera ha fatta tutta la facciata del Giudizio, che è cosa rara e condotta ottimamente, e nel vero, per cose piccole di pittura, non si può far meglio. Per lo che gli ha finalmente il gentilissimo Messer Tommaso de’ Cavalieri, che sempre l’ha favorito, fatto dipignere con disegni di Michelagnolo una tavola per la chiesa di San Giovanni Laterano, d’una Vergine annunziata bellissima. Il quale disegno di man propria del Buonarruoto, da costui imitato, donò al signor duca Cosimo, Lionardo Buonarruoti, nipote di esso Michelagnolo, insieme con alcuni altri, di fortificazioni, d’architettura et altre cose rarissime. E questo basti di Marcello, che per ultimo attende a lavorare cose piccole, conducendole con veramente estrema et incredibile pacienza. Di Iacopo del Conte fiorentino, il quale sì come i sopra detti abita in Roma, si sarà detto a bastanza fra in questo et in altri luoghi, se ancora se ne dirà alcun altro particolare. Costui dunque essendo stato in fin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale, ha voluto che questa sia stata sua principale professione, ancora che abbia secondo l’occasioni fatto tavole e lavori in fresco pure assai in Roma e fuori. Ma de’ ritratti, per non dire di tutti, che sarebbe lunghissima storia, dirò solamente che egli ha ritratto da papa Paulo Terzo in qua tutti i pontefici che sono stati, e tutti i signori et ambasciatori d’importanza che sono stati a quella corte. E similmente capitani d’eserciti e grand’uomini di casa Colonna e degli Orsini, il signor Piero Strozzi et una infinità di vescovi, cardinali et altri gran prelati e signori, senza molti letterati et altri galantuomini, che gl’hanno fatto acquistare in Roma nome, onore et utile. Onde si sta in quella città con sua famiglia molto agiata et onoratamente. Costui da giovanetto disegnava tanto bene, che diede speranza, se avesse seguitato, di farsi eccellentissimo, e saria stato veramente, ma, come ho detto, si voltò a quello a che si sentiva da natura inclinato. Nondimeno non si possono le cose sue se non lodare. È di sua mano una sua tavola, che è nella chiesa del Popolo, un Cristo morto; et in un’altra, che ha fatta in San Luigi, alla cappella di San Dionigi, con storie, è quel Santo. Ma la più bell’opera che mai facesse si fu dua storie a fresco, che già fece, come s’è detto in altro luogo, nella Compagnia della Misericordia de’ Fiorentini, con una tavola d’un Deposto di croce, con i ladroni confitti e lo svenimento di Nostra Donna, colorita a olio, molto belle e condotte con diligenzia e con suo molto onore. Ha fatto per Roma molti quadri e figure in varie maniere e fatto assai ritratti interi vestiti e nudi d’uomini e di donne, che sono stati bellissimi, però che così erano i naturali. Ha ritratto anco secondo l’occasioni molte teste di signore, gentildonne e principesse, che sono state a Roma. E fra l’altre so che già ritrasse la signora Livia Colonna, nobilissima donna, per chiarezza di sangue, virtù e bellezza incomparabile. E questo basti di Iacopo del Conte, il quale vive e va continuamente operando. [p. 827 modifica]Arei potuto ancora di molti nostri toscani e d’altri luoghi d’Italia fare noto il nome e l’opere loro, che me la son passata di leggieri, perché molti hanno finito, per esser vecchi, di operare et altri, che son giovani che si vanno sperimentando, i quali faranno conoscersi più con le opere che con gli scritti. E perché ancor vive et opera Adoni Doni d’Ascesi, del quale se bene feci memoria di lui nella vita di Cristofano Gherardi, dirò alcune particolarità dell’opere sue, quali et in Perugia e per tutta l’Umbria, e particolarmente in Fuligno sono molte tavole, ma l’opere sue migliori sono in Ascesi a Santa Maria degl’Angeli nella cappelletta dove morì San Francesco, dove sono alcune storie de’ fatti di quel Santo lavorate a olio nel muro, le quali son lodate assai, oltre che ha nella testa del refettorio di quel convento lavorato a fresco la Passione di Cristo, oltre a molte opere che gli han fatto onore; e lo fanno tenere e cortese e liberale la gentilezza e cortesia sua. In Orvieto sono ancora di quella cura dua giovani, uno pittore chiamato Cesare del Nebbia e l’altro scultore..., ambidua per una gran via da far che la loro città che fino a oggi ha chiamato del continuo a ornarla maestri forestieri, che seguitando i princìpi che hanno presi, non aranno a cercar più d’altri maestri. Lavora in Orvieto in Santa Maria, Duomo di quella città, Niccolò dalle Pomarancie, pittore giovane, il quale avendo condotto una tavola dove Cristo resuscita Lazzaro, ha mostro insieme con altre cose a fresco di racconciar nome apresso agli altri su detti. E perché de’ nostri maestri italiani [le] vite siano alla fine, dirò solo che avendo sentito non minore un Lodovico scultore fiorentino, quale in Inghilterra et in Bari ha fatto, secondo che m’è detto, cose notabili, per non aver io trovato qua né parenti, né cognome, né visto l’opere sue, non posso come vorrei farne altra memoria che questa del nominarlo.