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Arei potuto ancora di molti nostri toscani e d’altri luoghi d’Italia fare noto il nome e l’opere loro, che me la son passata di leggieri, perché molti hanno finito, per esser vecchi, di operare et altri, che son giovani che si vanno sperimentando, i quali faranno conoscersi più con le opere che con gli scritti. E perché ancor vive et opera Adoni Doni d’Ascesi, del quale se bene feci memoria di lui nella vita di Cristofano Gherardi, dirò alcune particolarità dell’opere sue, quali et in Perugia e per tutta l’Umbria, e particolarmente in Fuligno sono molte tavole, ma l’opere sue migliori sono in Ascesi a Santa Maria degl’Angeli nella cappelletta dove morì San Francesco, dove sono alcune storie de’ fatti di quel Santo lavorate a olio nel muro, le quali son lodate assai, oltre che ha nella testa del refettorio di quel convento lavorato a fresco la Passione di Cristo, oltre a molte opere che gli han fatto onore; e lo fanno tenere e cortese e liberale la gentilezza e cortesia sua. In Orvieto sono ancora di quella cura dua giovani, uno pittore chiamato Cesare del Nebbia e l’altro scultore..., ambidua per una gran via da far che la loro città che fino a oggi ha chiamato del continuo a ornarla maestri forestieri, che seguitando i princìpi che hanno presi, non aranno a cercar più d’altri maestri. Lavora in Orvieto in Santa Maria, Duomo di quella città, Niccolò dalle Pomarancie, pittore giovane, il quale avendo condotto una tavola dove Cristo resuscita Lazzaro, ha mostro insieme con altre cose a fresco di racconciar nome apresso agli altri su detti. E perché de’ nostri maestri italiani [le] vite siano alla fine, dirò solo che avendo sentito non minore un Lodovico scultore fiorentino, quale in Inghilterra et in Bari ha fatto, secondo che m’è detto, cose notabili, per non aver io trovato qua né parenti, né cognome, né visto l’opere sue, non posso come vorrei farne altra memoria che questa del nominarlo.


Ora ancor che in molti luoghi, ma però confusamente si sia ragionato dell’opere d’alcuni eccellenti pittori fiamminghi e dei loro intagli, non tacerò i nomi d’alcun’altri, poiché non ho potuto avere intera notizia dell’opere, i quali sono stati in Italia, et io gl’ho conosciuti la maggior parte, per apprendere la maniera italiana, parendomi che così meriti la loro industria e fatica usata nelle nostre arti. Lasciando adunque da parte Martino d’Olanda, Giovanni Eick da Bruggia et Uberto suo fratello, che nel 1410 mise in luce l’invenzione e modo di colorire a olio, come altrove s’è detto, e lasciò molte opere di sua mano in Guanto, in Ipri et in Bruggia, dove visse e morì onoratamente, dico che dopo costoro seguitò Ruggieri Vander Vueiden di Bruselles, il quale fece molte opere in più luoghi, ma principalmente nella sua patria e nel palazzo de’ Signori quattro tavole a olio bellissime di cose pertinenti alla Iustizia. Di costui fu discepolo Havesse, del quale abbiàn, come si disse, in Fiorenza in un quadretto piccolo che è in man del Duca, la Passione di Cristo. A costui successero Lodovico da Lovano, Luven fiammingo, Pietro Ghrista, Giusto da Guanto, Ugo d’Anversa et altri molti, i quali, perché mai non uscirono di loro paese, tennero sempre la maniera fiamminga. E se bene venne