Le solitarie/Confessioni/Gelosia

Gelosia

../Un rimorso ../L'assoluto IncludiIntestazione 2 aprile 2022 100% Da definire

Confessioni - Un rimorso Confessioni - L'assoluto
[p. 170 modifica]

GELOSIA.

— La felicità coniugale?... No, non esiste. Nego che la felicità coniugale possa esistere. Non è che un nome astratto seguito da un qualificativo. Vi è, nel matrimonio, chi si illude, chi si rassegna, chi mente a se stesso, chi rompe il freno e chi, invece, lo morde; ma la felicità coniugale non esiste, se non, forse, per eccezione.

— Pure....

— Non dite. Se ogni moglie, se ogni marito potesse, volesse confessare tutta la verità della sua intima vita familiare, se ne sentirebbero di incredibili.... Non invidiate le grasse coppie borghesi o le chiassose coppie popolane o le eleganti coppie aristocratiche che vi accade di veder passare, con l’aria più [p. 171 modifica] tranquilla e soddisfatta del mondo. C’est pour le parterre, ça, voyons!...

La donna che mi parlava così, sull’alta terrazza d’un albergo del Dolder, in faccia alla verde conca di Zurigo attraversata dai brividi d’oro della Limmat e del Silhs, mi piaceva per la tendenza del suo spirito al paradosso, e per la voce ironica, tagliente, con la quale demoliva, in quattro e quattr’otto, ogni questione di sentimento. Mi piaceva, m’inquietava e m’incuriosiva. Una cinica, o una disillusa?... Non riuscivo bene a comprenderlo.

Ella trasse dall’inseparabile borsetta a sacco, di cuoio fulvo impresso a croci greche d’oro, un foglietto di carta giapponese e un pizzico di tabacco biondo: arrotolò agilmente una sigaretta e me l’offerse per consuetudine, senza stupirsi del mio solito gesto di rifiuto: l’accese, e si mise a fumare, socchiudendo le ciglia.

Per me era ancora un enigma. Stava all’albergo da un mese: nessuno sapeva con precisione donde venisse. Non più giovine, non ancor vecchia, sostava in quel bizzarro periodo, turbato e turbatore, nel quale la donna può apparir vecchia e giovine, a lampi. [p. 172 modifica] Guizzi d’acciaio balenavano fra i suoi aridi capelli neri: rughe sottili si formavan fra il collo e la mascella, disegnandosi più nette al volger del capo, in quel punto spietato che porta più d’ogni altro il segno infallibile dell’età. Ma gli occhi a mandorla parevan di velluto, e la bocca poteva ridere senza timore, mostrando trentadue magnifici denti intatti.

— “V’è sempre un salnitro — continuò — che sgretola e corrode i muri del più solido edificio matrimoniale. E la vita a due è così lunga, così spaventevolmente lunga!... Nel mio caso, il dissolvente è stata la gelosia: la vera, la classica, cioè quella che non ha ragione d’essere; e sta all’anima come il cancro sta allo stomaco o all’intestino. Volete udirlo, il mio caso?... Vi divertirà....„

Scosse la cenere della sigaretta sul parapetto della terrazza, gettò la testa indietro accentuando la linea un po’ dura del mento: tacque un minuto per raccogliersi, poi.... raccontò.

“— Io ebbi un marito. Le mie amiche me Io invidiavano. Egli mi adorava con lo stesso istinto di esclusivo possesso che si ha, da ragazzi, pei propri giocattoli e pel proprio [p. 173 modifica] cane. Si compiaceva di condurmi nei negozi di mode, spendendo con gioia centinaia di lire in un cappellino, che però doveva piacere a lui; in un abito, che però doveva esser bello ed elegante secondo il suo gusto. Io ero la bambola che lui adornava: oh, una bella bambola, posso assicurarvelo, ora che della creatura di quel tempo non resta più nulla. A dir vero, io amavo il bianco, il grigio, le tinte tenui, le fogge discrete, i cappellini leggeri. Egli, invece, preferiva il rosso antico, il turchino cielo, i contrasti di colori, i larghi Gainsborough piumati di nero. Com’era naturale, io non dovevo portare che i suoi colori e le sue forme. Diamine!... Chi spendeva era lui. A me pareva d’esserne innamorata, allora. Si chiamava Paolo. Mi ero — cioè, mi avevano — sposata senza dote; ed egli maneggiava milioni. Intorno a me si bisbigliava: Come è stata fortunata la piccola Marika!... — Poi, bel cavaliere, robusto come un barbaro: a cavallo un centauro, al tiro un campione, in società un parlatore squisito. Non potevo, tuttavia, liberarmi da un oscuro malessere, da un senso come di aver perduto qualcosa di prezioso, che mai [p. 174 modifica] più, mai più avrei potuto ritrovare.... quel qualcosa era, invece, qualcuno. Ero io.

“Io appartenevo a lui, avevo l’obbligo di pensare come lui, di adornarmi secondo il suo stile, di uscire quando a lui ne veniva il capriccio, di leggere i libri da lui stesso scelti, di dirgli di sì quando il mio cervello avrebbe spontaneamente gridato: No. Mi aveva comprata, ero cosa sua. Il suo modo abituale di cingermi col braccio le spalle, attirandomi a sè, mi vuotava l’anima in un sorso, lasciandomi smarrita, senza volontà ma anche senza gioia — un piccolo niente che soffriva.

“Egli si accorse della mia inconscia resistenza, e se ne irritò. E cominciò a farmi del male, così, pel piacere di farmi del male.

“La cameriera mi aveva portato un gattino, un delizioso gattino bianco con una stella nera in fronte, che io m’ero messa a viziare, da quella bambinona che ero. Ingarbugliava le sete de’ miei ricami, giocherellava con la catenella del mio orologio e la mia collana di perle; mi mandava in estasi con le sue mossette feline, la sua morbidezza di pallottola calda. Un mattino, mentre me lo tenevo in grembo, vezzeggiandolo [p. 175 modifica] infantilmente, susurrandogli in cantilena cento sciocchi nomignoli di carezza (faceva le fusa, tutto in un gomitolo) Paolo sopraggiunse: me lo strappò dalle mani, e lo lanciò dalla finestra nel giardino, ove rimase stecchito.

“Discorrevo, un giorno, con un giovine operaio elettricista, quasi un ragazzo, venuto per rimediare al guasto di alcuni fili nella camera da letto. Lo interrogavo, curiosa della sua esistenza di povertà, colpita dall’espressione pensosa ed energica del suo volto malaticcio. Egli mi raccontava della sua mamma ch’era quasi cieca, della sua sorellina ch’era un vero folletto, della sua passione di leggere, leggere, leggere, così smaniosa che egli finiva col dormire, la notte, due ore su dieci.... — quand’ecco, lo vidi impallidire sotto il durissimo sguardo di Paolo, apparso sulla soglia: e rimettersi al lavoro senza far motto. Non vi siete mai trovata sotto uno sguardo che schiocca e fischia e riga le carni di rosso come una frusta?... Non vi descrivo la scena che seguì, quando l’operaio se ne fu andato: di violenza cieca, di basse ingiurie che io subii cogli occhi chiusi, senza più sangue nelle vene, ridotta un cencio. [p. 176 modifica]

“Non fu la sola.

“A poco a poco, con la paura, con la vergogna, nel mio acerbo cuore entrò l’odio. Mi nutrii d’odio tacito e tenace, come una belvetta prigioniera.

“So che molti dicono: La gelosia è una prova di amore. So che molte donne la vogliono nel loro compagno, Io, no: io avevo un’anima dritta e libera. Per me la gelosia non poteva, non può essere che una brutale forma di tirannide. O, se volete, una malattia. Ma, a furia di chiamar malattie tutte le storte manifestazioni della psiche umana, tutte le debolezze passionali, noi finiremo col lasciar la destra, per la strada, agli assassini. Anzi, abbiamo già cominciato: le vie son piene di criminali a piede libero, che hanno le mani pure di sangue. Che ne dite?....„

Con un rapido gesto delle manine cariche di anelli s’era cacciata indietro i capelli dalla fronte. Il suo viso mi parve una lama snudata. Balenava tutto, negli occhi, nei denti, nell’espressione di volontà indomabile.

— “Divenni madre. Urlai di strazio, per mettere al mondo il mio bambino, un giorno e una notte. Riposavo, finalmente, abbandonata [p. 177 modifica] in quel delizioso languore, in quel soavissimo dissolvimento di tutto l’essere, che solo le puerpere conoscono. Oblio dei sensi, morte nella vita. Oh, se la vera morte fosse tale!... Fu in una di quelle ore di dolcezza e di santità, che la voce di Paolo mi bisbigliò nell’orecchio: Dimmi la verità, Marika. Voglio sapere la verità. Ti perdono, se mi dici la verità. Mi puoi, tu, giurare che il bimbo sia mio?... —

“Perdetti i sensi. Il giorno dopo, con febbre altissima e delirio, mi sopravvenne una flebite. Infermiere tenerissimo ed instancabile, l’uomo non si staccò mai dal mio capezzale. Ah, che fui proprio cosa sua, in quell’altalena fra la vita e la morte!... Ma chi sa se a vegliarmi così non lo spingesse l’ansia di sorprendere nel mio delirio la frase o il nome che mi accusasse?... Ed io guarii; ma il bambino morì, pochi mesi più tardi. Sono convinta che, se fosse vissuto, egli l’avrebbe adorato. Non aveva mai alluso alla scena di quella notte — e pianse, pianse, sul lettino del bimbo spirato, mentre io rimanevo muta, rigida, senza lagrime: un sasso: e pensavo: Meglio così. — E mi pareva impossibile che egli potesse piangere. [p. 178 modifica]

“Se avessi posseduto una sostanza, o un’arte dalla quale trarre guadagno, mi sarei divisa da lui. Ma che cosa avrei potuto fare?... dove andare?... a qual lavoro adattarmi, avvezza com’ero ad una vita di gran lusso?... Non avevo ragioni sufficienti per chiedere la separazione legale. Non avevo contusioni da mettere a nudo dinanzi agli avvocati ed ai giudici. La mia povera anima, sì, era tutta contusa e sparsa di lividure; e mi pareva di vederla, talvolta, staccata da me, ignuda e senza difesa nel vasto mondo. Mio marito continuò ad accompagnarmi nei negozi di mode, a coprirmi di belle vesti e di gioielli, a mettermi in mostra nei palchetti dei teatri, in carrozza, in automobile, rinfacciandomi a tu per tu (cogli estranei non si tradiva mai) d’esser l’amante di tutti gli uomini che entravano, fosse pure come semplici comparse, nella cerchia della nostra vita. Accusò suo cognato. Accusò un ufficiale. Un vecchio ingegnere. Un giovine medico. Un avvocato. Lo chauffeur.... Forse ci si divertiva, lui, nel terribile gioco. Mi vedeva con piacere, forse, tremare e piangere, e gridare: No!... no!... —

“Quando, stanca di lagrime e singhiozzi, [p. 179 modifica] mi abbandonavo senza forze, invocando compassione, stringermi fra le braccia, così colpita e dolorante, era forse per lui la più raffinata delle voluttà....

“Ma io m’indurii, a furia di soffrire, e non trovai più in me la possibilità delle lagrime. Gli rispondevo rabbiosamente, cogli occhi fiammeggianti, colle labbra violette d’ira. Si scatenarono fra noi scenate feroci.

“Non distinguevo più fra la morale che mi era stato insegnato di seguire e il mio istintivo bisogno di ribellarmi, di vendicarmi, di sfuggire alla morsa di quelle tanaglie. E mi presi, infine, per provare, un amante. Oh, la gioia d’ingannar mio marito, di raggirarlo col raggiro che lui stesso mi aveva rinfacciato, di abbassarmi al livello delle cattive donne alle quali mi aveva tante volte, ingiustamente, paragonata!... Non per amore, sapete?... Io non ero più capace di amore: ogni gentilezza era paralizzata in me: solo, un’arsura inutile e stupida di vendetta covava nelle mie vene. — Hai creduto che ne avessi tanti, non è vero?... Ebbene, sì, guarda, ne ho uno!... —

“Ebbi il folle coraggio di urlargliele in [p. 180 modifica] faccia, queste parole, una notte in cui, di ritorno dal teatro, egli aveva trovato, per tormentarmi, le più sapienti novità, le torture morali più raffinate. E mi scagliai pazzamente contro la sua ira, volendo, nel mio parossismo, che almeno una volta fosse giustificata: certa, certissima che Paolo mi avrebbe uccisa sull’atto.

“Ed ero lì, provocante, imperterrita, pronta a confessare — ma che dico?... — a proclamare il nome dell’altro e i particolari e tutto: a dilaniarlo alla mia volta, con frasi più affilate dei coltelli.

“Ma non mi prese per la gola. Non mi strappò di bocca nessun particolare. Cadaverico, irriconoscibile, col terrore della mia colpa negli occhi, sgretolando con l’unghie il tavolo a cui s’appoggiava, non seppe altro che balbettare:

— Tu, Marika, tu?... hai fatto questo, tu?...

“Capite?... Mai una volta quell’uomo aveva creduto alle ragioni che dava alla sua gelosia. Mai una volta aveva creduto ai capricci, alle infedeltà delle quali mi aveva accusata. La verità, ora, lo fulminava. Anni ed anni mi aveva fatta soffrire, così, per assecondare [p. 181 modifica] un suo perverso istinto, per sadismo, per sentirmi dibattere, innocente, sotto il sospetto ingiusto. Adesso, davanti a me più forte di lui, e forte soltanto perchè avevo realmente commessa una mala azione, pativa tutte le pene del mondo; e batteva i denti, stravolto. — Di’ che non è vero!... Di’ che non è vero!... —

“Non potevo dirlo, io, che non era vero. Nessuno avrebbe potuto trattenere sulla mia bocca la verità. Sgorgava dalle labbra frenetiche, come una fontana di sangue. E con essa il rimpianto della vita che avrebbe potuto essere così bella, dell’anima che avrebbe potuto conservarsi così pura, di tutto ciò che di sacro era stato brancicato, sporcato, calpestato. A stremo di forze mi afflosciai sul tappeto — e non seppi più nulla. Un mese di poi, ritrovando la ragione dopo una febbre cerebrale che mi aveva condotta quasi alla tomba, scorsi, co’ miei poveri occhi appannati, il volto di Paolo chino sopra di me. Come mutato mi pareva!... Smunto, ansioso, trasfigurato dalla pietà, infinitamente più dolce. Io non riuscivo ancora a connettere le idee: ero simile ad una bolla d’acqua a fior d’uno stagno profondo. La ragione psichica del male, [p. 182 modifica] però, restava, viveva nel sub-cosciente. Quando mi fu possibile parlare, mormorai in un soffio, volgendo un poco verso l’uomo immobile la testa che mi doleva: — Perdono. —

“Lo chiedevo, o lo concedevo?... Non so. Certamente passò in lui, come in me, la sensazione ingannevole ma soavissima che una vita nuova potesse ricominciar per noi.„

— E.... ricominciò?... — osai domandare, qualche minuto dopo, alla mia compagna, che s’era rinchiusa in un pesante silenzio.

— Oh!... che dite?... nulla ricomincia. Ci si illude, ecco. In qualche modo bisogna ben vivere quando non si ha il coraggio di morire. Così, anche noi abbiamo raccolto i cocci rotti, e ci siamo ingegnati di riappiccicarli insieme con.... la reciproca pietà. Ma non eravamo abbastanza virtuosi, nè abbastanza immemori. Calmi ed uniti in apparenza, a somiglianza dell’altre centomila coppie che sfregano spalla contro spalla fino ad averne le carni piagate, abbiamo condotto al doppio guinzaglio l’esistenza, finchè sopravvenne la [p. 183 modifica] morte a liberare uno dei due.... La morte corporale, dico. L’altra morte era già in noi da un pezzo, quantunque nessuno se ne avvedesse. Il mondo è pieno di ombre che fanno finta di vivere....

Rise, rise, nervosamente: poi si strinse nelle spalle.

— Guardate, non v’è più una sola nube nel cielo, adesso.... Dove diamine se ne saranno andate?... Comincia a far freddo. Chiudetevi bene nel mantello.... e datemi un fiammifero, per favore.

Accese un’altra sigaretta, e si rimise a fumare, — mentre le stelle del cielo e le stelle elettriche sulle sponde del lago e dei due fiumi sbocciavano insieme, nella calma della giovine sera.