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Gelosia 173


cane. Si compiaceva di condurmi nei negozi di mode, spendendo con gioia centinaia di lire in un cappellino, che però doveva piacere a lui; in un abito, che però doveva esser bello ed elegante secondo il suo gusto. Io ero la bambola che lui adornava: oh, una bella bambola, posso assicurarvelo, ora che della creatura di quel tempo non resta più nulla. A dir vero, io amavo il bianco, il grigio, le tinte tenui, le fogge discrete, i cappellini leggeri. Egli, invece, preferiva il rosso antico, il turchino cielo, i contrasti di colori, i larghi Gainsborough piumati di nero. Com’era naturale, io non dovevo portare che i suoi colori e le sue forme. Diamine!... Chi spendeva era lui. A me pareva d’esserne innamorata, allora. Si chiamava Paolo. Mi ero — cioè, mi avevano — sposata senza dote; ed egli maneggiava milioni. Intorno a me si bisbigliava: Come è stata fortunata la piccola Marika!... — Poi, bel cavaliere, robusto come un barbaro: a cavallo un centauro, al tiro un campione, in società un parlatore squisito. Non potevo, tuttavia, liberarmi da un oscuro malessere, da un senso come di aver perduto qualcosa di prezioso, che mai