Le rime di M. Francesco Petrarca/Compendio della vita del Petrarca

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COMPENDIO DELLA VITA


DEL PETRARCA,


Fatto da’ Sigg.


GIORNALISTI D’ITALIA


Coll’occasione di riferire la Vita dello
stesso Poeta scritta dal Chiariss. Sig.


LODOVICO-ANTONIO MURATORI;


Posto a carte 186. del Tomo VIII.
del loro Giornale.


P
Iù di venticinque Autori hanno scritta distesamente la Vita di Francesco Petrarca. Non può negarsi, che tra loro non vi sieno molte contraddizioni sì ne’ tempi, come ne’ fatti; e che quella, la quale è stata qui compilata dal Sig. Muratori, non sia una delle più esatte che abbiamo, comechè a molti non piaccia il tralasciamento delle citazioni, e de’ fonti, su’ quali egli ha fondata di quando in quando la sua narrazione. Nacque questo sublime ingegno, per dirne qualche cosa in ristretto, il dì 20. di Luglio 1 del 1304 in Arezzo nel Borgo detto comunemente dell’Orto. Suo padre fu Ser Petrarco, Notajo Fiorentino; e sua madre fu senza dubbio Eletta de’ Canigiani, famiglia altresì di Firenze, dicendo egli stesso espressamente in que’ versi latini, che e’ fece in morte della medesima, ELECTA Dei tam nomine, quam re. I suoi genitori, che erano della fazione de’ Bianchi, restarono esiliati [p. lv modifica]della patria da quella de’ Neri, che vi rimase superiore nel 1300. In età di nov’anni (1312.) in circa fu condotto da loro ad Avignone, avendo già essi perduta la speranza di ripatriare. Aveva egli imparato due anni prima i primi elementi dal celebre Barlaamo Calabrese, Monaco Basiliano, e poi Vescovo di Geraci. Da Avignone il padre (1314.) lo mandò in Carpentrasso allo studio, dove in quattr’anni apprese la gramatica, la rettorica, e la dialettica; e altri quattro ne consumò a Mompelieri (1318.) intorno allo studio delle leggi sotto la disciplina di Giovanni d’Andrea, e di Cino da Pistoja, dal quale è probabile che gli fosse similmente insegnata l’arte di ben rimare nella volgar lingua, in cui quegli fu eccellentissimo. Passò quindi in Bologna (1323.), e per tre anni applicò anche quivi allo studio legale, essendovi suoi maestri Giovanni Calderino, e Bartolommeo da Ossa; ma tuttochè vi spendesse sì lungo tempo, e vi fosse costretto dal padre, egli non vi fe gran progresso, non già per mancanza di talento, ma per non sapervi accomodare il suo genio troppo inclinato alla poesia, alla eloquenza, alla storia, ed alla morale filosofia.

Nell’anno ventesimoprimo (1325.) dell’età sua, essendogli successivamente mancati i suoi genitori ritornò in Avignone, trattovi dalla necessità de’ suoi domestici affari. Nel suo (1327.) ritiro di Valchiusa, dove si era comperato un’orticello con una piccola casa, s’innamorò della sua Laura, la quale era nata di famiglia nobile in Avignone, volendo altri, che ella fosse figliuola di Arrigo di Chiabau Signor di Cabrieres, e altri, che fosse della [p. lvi modifica]casa di Sado. In tutto il tempo, che questa visse, il che fu fino alli 6. d’Aprile del 1348, e molti anni anche dopo la morte di essa durò l’amore del nostro Poeta, e quindi prese motivo di scrivere la maggior parte delle sue cose volgari e parte ancora delle latine. Non istette nondimeno sempre fermo tra le solitudini di Valchiusa. Non istaremo qui a riferire tutti i suoi viaggj, fatti principalmente co’ Signori Colonnesi, de’ quali fu intimo amico e dimestico. Basterà solamente accennare, che egli accomodatosi al servigio di papa Giovanni XXII. fu bensì adoperato da lui in molti gravissimi affari non meno in Italia, che in Francia; ma non ricevendone la ricompensa dovuta alle sue fatiche, e conforme a’ suoi desideri, ciò lo fece risolvere a far ritorno nella sua solitudine, dove compose tra l’altre cose gran parte del suo Poema (1341.) del Africa, per cui con onore per tanti secoli disusato ottenne dal Senato di Roma nel Campidoglio la corona di alloro, li 8. Aprile dell’anno 1341. Le particolarità di questa insigne funzione, alla quale fu invitato nello stesso giorno e dal Senato Romano, e dall’Università di Parigi, furono in gran parte descritte dallo stesso Poeta in alcune delle sue Pistole;2 e se ne ha una tal qual relazione in una Lettera, che va alle stampe sotto il nome di Sennuccio del Bene, Fiorentino, Poeta contemporaneo al Petrarca di qualche grido: ma noi crediamo sicuramente essere invenzione di autore assai più recente3, e forse di Girolamo Marcatelli, Canonico Padovano, che pretende di [p. lvii modifica]averla primo pubblicata4 nel 1549. in cui la diede alle stampe, indrizzandola a Pietro Calbo, gentiluomo nobilissimo Veneziano. Gli argomenti incontrastabili, che ci hanno indotti a darne questo giudizio, sono moltissimi; e tra questi primieramente lo stile, che nulla ha del Fiorentino, e nulla della purità del secolo del 1300. in cui e vivuto Sennuccio. Secondariamente il vedere, che ella si fa scritta dal detto Sennuccio al Magnifico Can della Scala, Signor di Verona, il quale era già morto sin dal 1329. dovechè la lettera doverebbe esser data nel 1341. in cui Mastino ed Alberto della Scala signoreggiavano la città di Verona. In terzo luogo vi si ricordano per entro le Stanze volgari di Filoteo Viridario Bolognese, cioè a dire di Gio. Filoteo Achillini, autore del Viridario in ottava rima, stampato in Bologna nel 1513. nel qual tempo il detto Filoteo per l’appunto fioriva. Osserviamo in quatro e ultimo luogo, che quivi verso il fine della lettera si dice, che messer Cino da Pistoja si era tolto a fare in versi la descrizione di questo trionfo del Petrarca; ma come ciò poteva far Messer Cino, che cinque anni prima, cioè a dire nel 1336. era già passato di vita?

Gli anni seguenti furono da lui consumati in continui viaggi. In Parma, dove fu Arcidiacono della Cattedrale (avendo egli seguitato l’abito, e la professione Ecclesiastica, senza però mai obbligarsi all’ordine del Sacerdozio) fu molto onorato dai Signori di Correggio; e moltissimo in Nappoli, prima dal Re Roberto, e poi dalla Regina Giovanna, dalla quale Cappellano Regio fu dichiarato. Essendo in [p. lviii modifica]Verona, (1348.) dove i Sigg. della Scala lo amarono distintamente, intese la morte della sua Laura; e di là trasferitosi in Padova, vi si trattenne fino alla morte di w:Jacopo II da Carrara, (cod. an.) Signor di essa, che lo ebbe più di ogni altro in benevolenza ed in pregio: Disgrazia, dice il Muratori, che indusse lui a tornarsene nel 1349. alla Corte d’Avignone: dove si fermò per più anni: sopra di che noi avvertiremo di passaggio i lettori, non esser vero che del 1349. seguisse la morte di Jacopo di Carrara mentre ella per testimonio di Pietro Paolo Vergerio il vecchio, che scrisse le Vite de’ Principi da Carrara, non mai divulgate5, avvenne il 19 di Luglio, secondo altri li 19. Decembre6 del 1350. e non esser vero altresì, che per più anni si fermasse in Avignone, poichè l’anno medesimo, anche per testimonio del nostro Autore, si portò in Roma alla divozione del Giubbileo, quindi rispassò a Valchiusa, dove dimorò fino al 1352. in cui annojatosi della sua solitidine, e richiamato di qua da’ monti dall’amore che aveva all’Italia, si fermò in Milano al servigio de’ Signori Visconti, da’ quali quasi per lo spazio di dieci anni fo adoperato in gravissimi maneggi, e mandato più volte Ambasciatore a diverse Corti, e Sovrani. Il rimanente della sua vita fu un continuo viaggio; finchè verso il 1370 stanco del mondo, e cagionevole di salute sì per la vecchiezza, come per la poco buona costituzione del corpo, si ritirò in Padova presso [p. lix modifica]Francesco il vecchio da Carrara Signor di essa, dal quale ottenne il Canonicato, e un luogo solitario, e anzi melanconico, che delizioso, nella Villa di Arquà, posta tra i monti Euganei, e distante dieci miglia da Padova, disponendosi quivi alla morte, ch'e' già sentiva vicina, e dalla quale fu sopraggiunto in età d'anni 70. li 18. di Luglio del 1374 comechè non manchino gravissimi scrittori contemporanei allo stesso, come il Gattaro, e l'Autor della giunta al Monaco Padovano, i quali la ripongono alli 19. del mese stesso di Luglio. Le sue esequie furono onorate dall'accompagnamento dello stesso Signor di Padova, e da quello del vescovo, del Clero, e di tutti gli ordini della Città, e dello Studio. L'Orazion funerale gli fu recitata da Frate Bonaventura Badoaro da Peraga, dell'ordine Eremitano, suo grande amico, che poscia fu Cardinale, e per sua bontà di vita annoverato fra' Beati. Lasciò per testamento d'esser sepolto in Arquà, e Francescuolo da Brossano suo genero, e suo erede, la memoria sepolcrale fe porvi. In vita, cioè nel 1367. avea fatto dono alla Signoria di Venezia, per la stima grande che ne faceva, e che questa altresì faceva di lui, di una parte de' suoi codici, molti de' quali sono andati a male con il tempo.

Riferiremo a questo passo una cosa, che per esser assai singolare, e non narrata, per quanto abbiam potuto avvertire, da alcuno degli scrittori particolari della vita di questo Poeta, stimiamo, che la notizia non possa esserne al pubblico affatto discara. L'anno 1373. trattenendosi egli nel Padovano, Francesco da Carrara determinò di mandarlo insieme [p. lx modifica]con Francesco il giovane suo figliuolo, Ambasciatore della Repubblica Veneziana per ottenerne la pace. In una Cronica antica manoscritta7 della Marca Trivigiana, la quale arriva fino al 1378. nel qual torno la giudichiamo anche scritta, si leggono queste parole: 1373. Marti a 27. Septembre Francesco Novello da Carrara fio de Francesco vecchio de ordene del padre ando a Veniesia con Francesco Petrarcha e molti cavalieri e zentilhuomeni Padoani: furno molto honoradi: e introdutti a la Audientia la zuobia a 29. Sept. Francesco Petrarcha fece la oration in la qual Francesco Novello a bocha dimando perdonanza a la Signoria de le inzurie facte. In Domincha a 2. Ottubrio ritorno a Padoa con li prisoni. Anche Gio. Jacopo Caroldo,8 Segretario veneziano, ne parla in questi termini nella sua Storia non mai stampata: Alli 27. (Sett. 1373) gionse a Venesia il Sig. Francesco Novello da Carara figliuolo del Sig. di Padoa, col quale venne l’eccellente Poeta Messer Francesco Petrarca: il giorno dopo udita la Messa fu introdotto nella Sala del Maggior Consiglio, fece riverentia all’Eccelso Duce, & Illustriss. Signoria, e dipoi chel Petrarca hebbe recitata l’oratione in laude della pace ornatissima, il S. Francesco Novello dimandò perdono per nome del Sig. suo padre di tutte l’ingiurie & offese fatte alla Ducal Signoria secondo la forma della pace; & alla partita sua gli furno dati in dono Ducati trecento. Nel recitar che fece Petrarca la sua Orazione accadde una cosa notabile, ed è, [p. lxi modifica]che quantunque più volte fosse stato in Venezia, e avesse veduta la maestà del Senato Veneziano, pure in dover parlarne alla presenza si smarrì nel mezzo dell’orazione in tal guisa, che non potè dirne parola; onde fu necessario rimetterne al seguente giorno l’udienza, nella quale egli perorò con tal forza di eloquenza, che ottenne al Sig da Carrara ed il perdono, e la pace. La memoria di questo particolare ci è stata conservata da Andrea de’ Redusi, Cancellere del Comune di Trivigi, nelle sue Croniche Latine,9 dove all’anno 1373. così ne ragiona: Apud quos (cioè i Veneziani) dum Poeta, & Orator eximius pervenisset, in sua oratione defecit more alani, nam viso Senatu Venetorum obstupuit, non minus quam Cinna ad Romanorum Senatum a Pyrrho destinatus, & ob hoc in alteram diem Poetæ atque Oratoris eximii oratio ad integrum suffecta, vi cuius est pax ipsa formata, tantam in se continuit venustatem, quod visu & auditu astantium ab extra omnes præsentes rancores sustulit, & amovit, intrinseca tamen utrinque manente perfidia.

Dopo aver terminato il nostro Autore il racconto delle azioni principali del Petrarca durante il corso della sua vita operate, ci dà un ritratto e del suo animo, e delsuo volto. Parla de’ suoi studj, de’ suoi scritti, e de’ suoi amici. Nomina i Principi, da’ quali fu generosamente onorato, e tra questi anche quattro Serenissimi Dogi della nostra Repubblica, dalla quale gli fu donata in vita un’assai comoda abitazione,vicino alle Monache [p. lxii modifica]del Sepolcro. È da notarsi, che non mai fu in Firenze, patria de' suoi maggiori. Desiderò di esservi rimesso, ma non gli fu fatta la grazia, che in tempo di sua vecchiaja, e quando per le sue indisposizioni non era più atto a porsi in cammino. Non lasciò non pertanto di amarla, e di onorarla ne' suoi scritti, considerandola sempre mai come vera e singolare sua patria. Finalmente si registrano in fine di questa Vita gli Autori principali, che l'hanno descritta, o che hanno illustrato le rime di esso, e le sue cose volgari.

"Altre notizie spettanti al nostro Poeta si possono leggere nel Tomo VI a carte 493. nel XV. a c. 272. e nel XIX a c. 252 dello stesso Giornale de' Letterati d'Italia."


Note

  1. Malamente altri pongono il dì 1. Agosto.
  2. Osservazione.
  3. Vedi la Vita scritta dal Beccatelli a c. xix.
  4. Pad. per Jacopo Fabriano, 1540.
  5. Le stampò ultimamente in Ollanda Pietro Vander Aa nel Tom. VI. del suo Tesoro della Antichità e Storie d’Italia.
  6. Vedi a carte lxxvi.
  7. Nella libreria del già. Proc. e Cav. Sebastiano Foscarini.
  8. Testo a penna del fu Sig. Bernardo Trivisano.
  9. Testo a penna in cartapecora, esistente appresso medesimo Sig. Bernardo.