Le pitture notabili di Bergamo/Dell'amoroso e diligente governo de' Quadri
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Dell’amoroso e diligente governo de’ Quadri.
I Quadri di Uomini illustri, e spezialmente di quelli che fiorirono ne’ due secoli prossimamente scaduti, che furono i secoli d’oro della Pittura, non solamente debbonsi riguardare come uno de’ principali ornamenti della Città, ma ancora come scuola sempre aperta ai Giovani studiosi: potendo eglino coll’assiduo studio sopra tali eccellenti Esemplari diventar Pittori e Pittori di grido, senza l’incomodo e la spesa de’ viaggi in rimote contrade. Quella verità sì altamente penetrò nell’animo de’ saggi nostri Antenati, che temendo di restar privi per vendita della famosa Tavola di Lorenzo Lotto di Bergamo, esistente nella Chiesa di S. Bernardino di Borgo Pignolo, stabilirono con Parte del 1591. che dove non avessero potuto impedirne il contratto (come venne lor fatto d’impedirlo) di comperarla co’ dinari del Pubblico, anzichè vedersi spogliati di un sì prezioso tesoro.
Se di presente dominasse lo spirito di que’ nostri Maggiori, non vedremmo sottrarsi agli Altari gli stupendi Quadri di un Salmezza e di un Cavagna, e alienarli fuori di Città, o seppellirsi in mano de’ Privati, e a vil prezzo eziandio, sostituendosene di moderni, che non trovano applauso se non appresso di coloro che vanno pazzi delle cose nuove, e fanno guerra sanguinosa all’antiche. È vero che i Salmezza, e i Cavagna non sono il Lotto; ma egli è altresì vero che non sono inferiori a quel sublime Maestro, e forse sono a lui superiori nel complesso delle nozioni Pittoriche, e massime in quella importantissima di degradar le tinte in ragione delle distanze; come appunto fa la luce ne’ corpi a misura che si allontanan dall’occhio.
E però sarà sempre commendabile l’insigne nostro Capitolo, per non aver alienata dalla Cattedrale la moderna sì, ma pregiata Tavola di S. Teresa di mano del Balestra, levata dall’Altare di essa Santa, per riporvi il nuovo Quadro del B. Gregorio Barbarigo già nostro zelantissimo Vescovo. E degni d’eterna lode sono ancora i P.P. Somaschi, e i Carmelitani, i primi per averci conservato nella Chiesa e aggrandito per ogni verso, affine di accomodarlo al sito, l’ammirabile S. Girolamo del soprammentovato Cavagna, tolto via dall’Altare, in cui oggi si venera il Santo lor Fondatore, lodevolmente effigiato dal Cignaroli; i secondi, perchè avendo la loro Chiesa ammodernata, il bellissimo Crocifisso dipinto dal medesimo Cavagna, che era disadatto al nuovo Altare, ve lo hanno accomodato, con averlo con giunte ingrandito, e reso quadrato nella sommità, oltre l’avervi aggiunto nella parte superiore del nuovo campo due Cherubini per banda; i quali se non sono fatti dal Cattapane, che sì ben seppe trasformarsi nella maniera del Gambara, sono però tollerabilmente dipinti, ed accordati col restante dell’Opera.
Ma non basta il non privar le Chiese e altri Luoghi Pubblici delle insigni Pitture, sa di mestieri ancora il saperle amorosamente conservare. Imperciocchè alla fin fine che gioverebbe aver un Quadro di mano del primo Archimandrita della Pittura, ma dal tempo, o per incuria, o per altre circostanze malmenato per modo che nulla contenesse da potersi ammirare, e soltanto risultasse dai Rogiti, o dalla Tradizione il glorioso nome di chi l’ha dipinto? Deesi dunque in primo luogo aver mente che nel parare che si fa delle Chiese, e degli Altari, non ricevano i Quadri sfregio ed oltraggio dalle scale, o da altri strumenti necessarj a tal’opera. Che non si smussino le Tavole quadrangolari, nè le semirotonde si spezzino con angoli, o altri scherzi bizzarri, che tolgono al Quadro la maestà della forma, e impoveriscono il campo. Che non si permetta che oltre la cornice s’avanzino Cherubini, festoni, o altri fregj dorati a ingombrare il Dipinto; dovendosi questo considerare come le gioje, le quali tanto solamente copronsi, quanto basta a fermarle. Che non li deturpino le Pitture con aggiugner loro di aliena mano l’effigie di alcun altro Santo, in cambio di dipignerlo su d’un Quadro muovevole, da potersi presentare all’Altare, volendolo festeggiare, per poi ritirarnelo passata la festa. Che non si magagnino con affiggervi delle corone d’argento; quasi che la pietà de fedeli abbia a commuoversi più per opera del metallo che più o meno imbarazzar immagine, che dal sacro di lei volto, e dalle divote sue espressioni. Che di frequente si spolverino, e si ripuliscano i Quadri, e ripuliti si coprano con tele; e si difendano, benchè coperti, dai raggi solari, e spezialmente dagli estivi: e dove v’abbiano cammini alla schiena o in vicinanza, si rimuovano o gli uni, o gli altri; perchè il calore sì le Pitture cuoce e disecca, che prima fendonsi, poscia si spiccano dalla tela.
Debbonsi soprattutto preservare dall’umido, e principalmente da quello che tramandano le muraglie appena finite; il quale non solamente gli sa muffire, ma gli sfigura e guasta in maniera di non poterli più mai risarcire: come è avvenuto del bellissimo Cristo deporto dalla Croce in grembo alla Madre fra i SS. Antonio Abate e Francesco d’Assisi, Opera impareggiabile a fresco di Paolo Cavagna, segata dalla Facciata della Chiesa della Madonna dello Spasimo, e trasferita nella nuova fabbrica dell’Oratorio sotterraneo per ancora umidiccio.
Nocevole all’amorosa cura de’ Quadri è anche l’epidemico insanabil prurito di ridurli alla moderna, per mano di coloro nettar facendoli, che sanno comparir nuovi i Quadri antichi, se anche fossero di Cimabue. A quelli tali non dobbiamo dar retta, nè a titolo di levar l’olio, o la vernice dalle Pitture, nè col pretesto di maggiormente conservarle. Quando una Tavola non sia interamente annerita e perduta (che in tal caso la si può arrischiare, tornando meglio vedervi sopra qualche cosa, che nulla) ma che faccia per ancora la sua comparsa, e se ne comprenda il disegno e la tinta, tanto basta per servizio degli Altari, e per insegnamento degli Studiosi; nè dobbiam cercare di peggiorarla, martirizzandola con impiastri, e lavande corrosive e mordaci.
È indicibile quanto scapiti e venga a languire un Quadro, ch’abbia sofferto un così fatto nettamento, innanzi agli occhi degl’Intendenti, comechè piaccia e sembri rinato a tutti quelli che non sanno. Perde egli quella nobile venustà e quella vivida forza, che Pattina dai Pittori si appella, e che dall’azione dell’ambiente è prodotta, il quale va col tempo mortificando i colori arditi, e rendendoli vicendevolmente fra loro più armoniosi e concordi. Cotal Pattina dà similmente il tempo ai bronzi, e ai marmi: ma non si troverebbe Antiquario, per grezzo che e’ sia, il qual credesse di avvantaggiare le sue medaglie antiche, o le sculture in marmo col farle ripulire, onde acquistassero quella nitidezza ch’ebbero appena coniate o scolpite. Prova di ciò n’è quella Figurina in marmo di bassorilievo nell’insigne Mausoleo di Bartolommeo Colleoni, che da un animoso e imprudente Scarpello ridotta al primiero candore fa una vista stomacosa e difforme, nè si può mirar senza sdegno. E come non si può pulire un marmo antico senza distrugger parte della sostanza marmorea, così nemmeno un vecchio Quadro si può nettare per modo che riesca qual nuovo, senza spogliarlo di una porzion di colore. Anzi sovente alcune mezze tinte, alcuni leggieri velamenti, e certi ultimi e gentili ritocchi, da cui deriva la grazia e la dilicatezza dell’Opera interamente periscono.
So che da alcuni si sostiene francamente il contrario; e che si decantan segreti che hanno la prodigiosa virtù di menar via il sudiciume e ogni fastidiosa bruttura da’ Quadri, e di perdonarla onninamente al colore. Ma se questi loro Arcani tolgon la Pattina dal Dipinto; la quale dee togliersi perchè esso Dipinto si conduca a quella stessa, o quasi stessa nitidezza di un Quadro nuovo; è necessario che ne scarnino più o meno il colore. In fatti analizzando anche grossolanamente le lavande che servirono a siffatti nettamenti, si troverà in esse mescolata colla sporcizia portata via dal Quadro anche porzion di colore, con cui fu dipinto. E quelle Tavole ch’ebbero la fatal disgrazia di reiteratamente soggiacere a simili nettature, qualora da presso si considerino e attentemente, le vedremo in più luoghi miserevolmente infin all’osso scorticate, che è a dire, spogliate e ignude mostrare la terra rossa, con cui fu apparecchiata la tela da doversi dipignere. Perlaqualcosa i Pittori saggi onorati e dabbene si ridono di questa fatta d’Arcani, e ne detestano l’operazione: non approvandosi da loro per nettar Quadri che l’acqua tiepida, o pura e schietta, o bollita con semola di formento; e in caso di maggior bisogno il mele o il zucchero sì rosso, che mascavato, ridotto in poltiglia con acqua, da impiastrarne il Dipinto, lasciandolo così impiastricciato per un giorno intero, e in luogo tiepido, se sia d’inverno, acciocchè possa la lordura ammollirsi, e disporsi allo scioglimento, perchè poi con una spugna mollissima immersa nell’acqua tiepida si tolga, e se ne ripulisca il Dipinto.
E la medesima spugna inzuppata d’acqua semplice e schietta, serve d’innocente e mirabil vernice, per rilevar le tinte più oscure e sepolte, qualor si voglia contemplare la Pittura con maggior attenzione; mentrecchè ogni altro liquore, che a tal oggetto s’impieghi, è più dovizioso di sali, e di viscide particelle, che le tinte in processo di tempo danneggiano. Sono per altro più nocive e malefiche certe vernici, che da’ Mercatanti costumansi per far brillare i lor Quadri su gli occhi de’ Compratori, e sì poter gli scempiati più agevolmente pigliare. Di così fatte vernici, che coll’andare degli anni rendono le Pitture mostruose e difformi, non s’impiastriccino i Quadri, che intendiamo di non contrattare; ma di custodire a onor degli Altari, e a benefizio de’ Giovanetti Pittori. Imperciocchè le vernici che sono di olj, e di resine composte, in progresso di tempo sanno il color bianco ingiallire, imbrunare il giallo, verdeggiar l’azzurro, e tralignare più altri colori in tinta spiacevole e sozza; e le manipolate di raffinata acquavite e di gomme, induran col tempo sì fattamente, e in tal guisa contraggonsi che fanno screpolar la Pittura, e spesso ancora la fanno arricciare e cadere; come nell’esame de’ Quadri avverrà sovente di dovere con dispiacer osservare.
Il rimedio delle screpolate e arricciate Pitture consiste nel proccurare, che il colore sollevato dalla tela novamente le si riattacchi e rassodi. Una buona fodera da mano amorosa e maestra applicata alla tela suddetta può riparare al presente disordine e prevenire i maggiori. Tale provvedimento è convenevole ancora a qualsisia altra Pittura che per vecchiezza, per umidità, o per altra malaventura abbisognasse di essere rinforzata: con avvedimento però che non sì di leggieri, dove manca il colore, si corra al pennello, o si risparmi almeno nelle carnagioni: offendendo men gli occhi degl’Intendenti il vedere un Quadro in alcun luogo scuojato, che il prevederlo, o il doverlo vedere un giorno bruttato di tante macchie, quanti sono i rifarcimenti fatti col novello colore, il quale non può mai lungamente simulare l’antico.
Ma è ormai tempo che c’incamminiamo alla visita delle Pitture che sono in Città, e che cominciamo da quella del