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parir nuovi i Quadri antichi, se anche fossero di Cimabue. A quelli tali non dobbiamo dar retta, nè a titolo di levar l’olio, o la vernice dalle Pitture, nè col pretesto di maggiormente conservarle. Quando una Tavola non sia interamente annerita e perduta (che in tal caso la si può arrischiare, tornando meglio vedervi sopra qualche cosa, che nulla) ma che faccia per ancora la sua comparsa, e se ne comprenda il disegno e la tinta, tanto basta per servizio degli Altari, e per insegnamento degli Studiosi; nè dobbiam cercare di peggiorarla, martirizzandola con impiastri, e lavande corrosive e mordaci.

È indicibile quanto scapiti e venga a languire un Quadro, ch’abbia sofferto un così fatto nettamento, innanzi agli occhi degl’Intendenti, comechè piaccia e sembri rinato a tutti quelli che non sanno. Perde egli quella nobile venustà e quella vivida forza, che Pattina dai Pittori si appella, e che dall’azione dell’ambiente è prodotta, il quale va col tempo mortificando i colori arditi, e rendendoli vicendevolmente fra loro più armoniosi e concordi. Cotal Pattina dà similmente il tempo ai bronzi, e ai marmi: ma non si troverebbe Antiquario, per grezzo che e’ sia, il qual credesse di avvantaggiare le sue medaglie antiche, o le sculture in marmo col farle ripulire, onde acquistassero quella nitidezza ch’ebbero appena coniate o scolpite. Prova di ciò n’è quella Figurina in marmo di bassorilievo nell’insigne Mausoleo di Bartolommeo Colleoni, che da un animoso e imprudente Scarpello ridotta al primiero candore fa una vista stomacosa e difforme, nè si può mirar senza sdegno. E come non si può pulire un