Le piacevoli notti/Notte XIII/Favola II

Favola II

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FAVOLA II.


Diego Spagnuolo compra gran quantità di galline da uno villano, e dovendo far il pagamento, aggabba e il villano e un frate Carmelitano.


Sì bella e sì dilettevole è stata la favola dal signor ambasciatore raccontata, ch’io non penso aggiungere alla millesima parte di quella; ma per non esser contraria a quello ch’io proposi nel principio di questa notte innanzi che ’l signor ambasciatore favoleggiare incominciasse, dironne una, la quale vi dimostrerà che la malizia de’ Spagnuoli supera e avanza quella de’ villani.

Nella Spagna trovasi una città detta Cordova, appresso la quale corre un dilettoso fiume, nominato Bacco. Di questa nacque Diego, uomo astuto, ben disposto della vita e agli inganni tutto dedito. Costui, volendo fare una cena alli compagni suoi, e non avendo così il modo com’egli desiderava, s’imaginò di far una berta ad uno contadino, e a sue spese dar da cena agli amici suoi. Il che gli venne fatto secondo il desiderio suo. Il Spagnuolo, andatosene in piazza per comprar pollami, s’abbattè in uno villano ch’aveva [p. 251 modifica]gran quantità di galline, capponi e uova, e venne con esso lui a mercato, e promise dargli di tutti i pollami fiorini quattro; e così il villano s’accontentò. Il Spagnuolo, tolto un bastagio, mandògli subito a casa; ma non contò i danari al venditore, il quale pur sollecitava il Spagnuolo che lo pagasse. Il Spagnuolo diceva non aver danari addosso, ma che andasse con esso lui fino al monasterio di Carmini che ivi era un frate suo barba, che li darebbe immediate gli suoi denari. E con queste parole andarono ambiduo in compagnia al detto monasterio. Era per aventura in chiesa un certo frate, al quale si confessavano alcune donne. A cui accostandosi, il Spagnuolo li disse nell’orecchie queste parole: Padre, questo villano ch’è venuto con esso meco, è mio compare, e ha certe eresie nel capo. E benchè ei sia ricco e di buona famiglia, non ha però buon cervello, e spesse volte cade del male della brutta. Son già tre anni che ei non s’ha confessato, e ha qualche buono intervallo della sua sciocchezza. Laonde mosso io da carità e da fraterno amore, e per l’amicizia e comparatico che è tra noi, ho promesso alla sua moglie di far sì, che si confesserà; e perchè il buon nome e la buona fama di vostra santità corre per la città e per tutto il suo territorio, siamo venuti a vostra reverenzia, pregandola di somma grazia che per amor di Dio sia contenta di udirlo pazientemente e correggerlo. Il frate disse per allora esser alquanto occupato; ma che, espedite ch’avesse quelle donne, — mostrandole con la mano, — l’udirebbe molto volontieri; e chiamato il villano, lo pregò che lo aspettasse un pochetto, promettendogli di espedirlo subito. Il villano, pensando che parlasse di danari, disse che l’aspetterebbe volentieri; e così l’astuto Spagnuolo si partì, lasciando il villano schernito ch’aspettava in chiesa. [p. 252 modifica]Il frate veramente, ispedite le donne di confessare, chiamò a sè il villano per ridurlo alla fede; il quale andò subito, e scopertosi il capo, addimandava e’ suoi danari. All’ora il frate comandò al villano che s’ingenocchiasse e, fattosi il segno della croce, dicesse il pater nostro. Il villano, veggendosi deluso e schernito, s’accese di sdegno e colera; e risguardando il cielo e bestemmiando, diceva tai parole: Ahi misero me, che male ho fatto io, che da un Spagnuolo son così crudelmente ingannato? Io non voglio confessarmi nè comunicarmi, ma voglio i denari che m’hai promesso. Il buon frate, che era ignorante di tal cosa, correggendolo, diceva: Ben si dice che hai il demonio, e non sei in buon cervello; e aperto il messale, come se avesse qualche malo spirito, cominciò a scongiurarlo. Il villano, che non poteva soffrire tai parole, gridando dimandava gli danari che gli aveva promessi per lo Spagnuolo, dicendo non esser nè inspiritato, nè pazzo, ma da un ladro Spagnuolo esserli tolta la sua povertà; e così piangendo, ricercava aiuto da’ circostanti; e preso il cappuccio del frate, diceva: Mai non ti lascierò, finchè non mi dai gli miei danari. Il frate, vedendo questo, nè potendo ripararsi dal villano, con lusinghevoli e dolci parole si escusava esser stato ingannato dal Spagnuolo. Il villano all’incontro, tenendolo tuttavia saldo per lo cappuccio, gli diceva che egli per lui aveva promesso, dicendo: Non mai hai tu promesso che subito mi espediresti? Il frate diceva: Ho promesso di confessarti; — e così contrastando l’uno e l’altro, sopraggiunsero alcuni vecchi, i quali, vedendogli in lunga contenzione, fecero conscienzia al frate, e lo costrinsero pagar il villano per il Spagnuolo. Il Spagnuolo giotto, maledetto e tristo, fece con le galline e capponi una [p. 253 modifica]sontuosa cena a gli amici suoi, dimostrandogli che la malizia spagnuola supera quella d’ogni gran villano.

Il signor ambasciatore, che attentamente avea ascoltata la favola della gentil Signora maravigliosamente raccontata, quella sommamente commendò affermando, lei con la sua aver superata la sua. Il che tutti ad alta voce confermorono. Ma la Signora, veggendosi dar il vanto, s’allegrò; e volto il suo caro viso verso l’ambasciatore, disse.

Nacque il mio padre di mia madre, e po
     Ella l’uccise, e morend’ei, nacqu’io:
E me co’ miei fratelli e figli suoi,
     Ella, finchè crescemmo, ne nodrio.
Vivemmo un tempo insieme; ma di noi
     Gran parte ci troncò la vita un rio.
Oh quanta è ben nostra bontà infinita,
     Che chi ci strugge, al fin li diamo vita!

Questo enimma non fu da alcuno inteso, ancor che sopra di esso fussero fatti lunghi comenti: ma la Signora, vedendo niuno toccare il segno, disse: Gentil’uomini miei, il mio enimma altro non significa, se non il furmento, il qual nasce dal furmento suo padre, e dalla terra sua madre, la quale l’uccide: e uccidendolo, nasce il furmento, che la terra nutrisce fin che il cresce. Il furmento, unito insieme con gli fratelli, cioè con le granella, vivono insieme fino attanto che il monaio li tuol la vita macinandolo. E tanta è la sua bontà, che dà vita a chi lo strugge. Fu sommamente lodata l’esposizione dell’enimma; quando il signor Pietro Bembo alla sua favola diede principio, così dicendo.