Le piacevoli notti/Notte XII

Notte XII

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Notte duodecima


I vaghi e occhiuti uccelli avevano già dato luogo all’oscurità della notte, e i pipistrelli nemici del sole e a Proserpina dedicati, eran già usciti delle usate grotte per lo caliginoso aria lentamente scorrevano, quando l’orrevole e grata compagnia, disposto ogni molesto e affannoso pensiero, allegramente all’usato luogo si ridusse. E messisi secondo i loro ordini a sedere, venne la Signora, e diede un grazioso saluto; indi, fatti alquanti balli con amorosi ragionamenti, la Signora, sì come a lei piacque, comandò che l’auro vaso le fusse recato: e postavi la mano dentro, trasse di cinque damigelle il nome: delle quali il primo fu di Lionora, il secondo di Lodovica, il terzo di Floriana, il quarto di Vicenza, il quinto d’Isabella. A questa e alle altre fu data ampia licenza di poter liberamente ragionare ciò che più le piacesse, con questa però condizione, che fussero più brevi e risolute di quello che furono nelle notti precedenti. Alla qual cosa tutte e ciascaduna da per sè, molto volentieri accontentorono. Fatta adunque la scielta delle donzelle che avevano nella duodecima notte a favoleggiare, la Signora fece di cenno al Trivigiano e al Molino che una canzonetta cantassero. I quali ubbidientissimi a’ comandamenti suoi, presi i loro strumenti e accordati, in tal modo la seguente canzone artificialmente cantarono. [p. 226 modifica]

Se ’l tempo invola ogni mortal bellezza
     Col rapido suo corso,
     Che più tardate, donna, al mio soccorso?
     La vita lieve fugge,
     E le speranze son caduche e frali,
     Le nostre voglie lunghe e l’ore corte;
     Di che ’l pensier mi strugge:
     Ma tardi, o dura sorte de’ mortali!
     Del vostro error pentita e di mia morte
     Voi piangerete e di vostra durezza.
     Però datemi aita,
     Mentre è valor in voi ed in me vita.

Piacque a tutti la dilettevole canzone dal Trivigiano e dal Molino armoniosamente cantata, e a piena voce tutti sommamente la comendorono. Ma poscia che la Signora vidde che ogniun taceva, impose a Lionora, a cui la prima favola della duodecima notte per sorte toccava, che al favoleggiare desse incominciamento. Ed ella senza indugio in tal guisa incominciò.


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