Le piacevoli notti/Notte VI/Favola V

Favola V

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FAVOLA V.


Pre Zefiro scongiura un giovane che nel suo giardino mangiava fighi.


Suolsi dire, carissime donne, che la virtù consiste nelle parole, nell’erbe e nelle pietre; ma le pietre avanzano in virtute l’erbe e le parole: sì come per questa mia brevissima favoluzza intenderete.

Era nella città di Bergamo un sacerdote avaro, chiamato pre Zefiro, e aveva fama di aver gran danari. Costui aveva un giardino fuori della città presso alla porta che si chiama Penta. Il qual giardino era [p. 36 modifica]circondato de mura e fosse, di modo che non vi potevano entrare uomini nè animali, ed era ornato di diversi arbori d’ogni sorte; e tra gli altri vi era un gran figaro con suoi rami sparsi d’intorno, carico di frutti bellissimi e ottimi, di quali soleva participare ogni anno con gentil uomini e primai della città. Erano quei fighi di color misto tra bianco e pavonazzo, e gettavano lagrime come di mele; ed eranvi sempre guardiani, che gli custodivano diligentemente. Una notte, che per caso non vi erano li guardiani, un giovane ascese sopra quest’arbore; e scegliendo i fichi maturi, quelli con silenzio così vestiti nella voragine del ventre suo fedelmente nascondeva. Pre Zefiro, ricordandosi che non erano guardiani al suo giardino, vi andò volando; e subito che fu entrato dentro, vidde costui che sedeva su l’arbore, mangiando e fighi a suo bell’agio. Onde il sacerdote incominciò pregarlo che descendesse; e non descendendo, egli si gettò in genocchioni, scongiurando per lo cielo, per la terra, per i pianeti, per le stelle, per gli elementi e per tutte le sacre parole che si trovano scritte, che venisse giuso; e il giovane tanto più attendeva a mangiare. Pre Zefiro, vedendo che non faceva profitto alcuno con tai parole, raccolse dell’erbe, ch’erano lì d’intorno, e in virtù di quelle lo scongiurava che descendesse; ed egli più alto ascendeva, meglio accomodandosi. Allora il prete disse queste parole: Gli è scritto che nelle parole, nell’erbe e nelle pietre sono le virtù; per le due prime ti ho scongiurato, e non ti hai curato di discendere; ora in virtù di quelle ti scongiuro che debbi venir giuso. E così cominciò a trarli delle pietre con mal animo e gran furore; e ora l’aggiungeva nel braccio, ora nelle gambe e ora [p. 37 modifica]nella schiena. Onde per gli spessi colpi tutto enfiato, percosso e malmenato, gli fu forza a discendere; e dandosi il giovane alla fugga, depose i fighi ch’egli s’aveva ragunati in seno. E così le pietre avanzero in vertù l’erbe e le parole.

Già Eritrea aveva messo fine alla sua breve novella, quando la Signora le fece cenno che con l’enimma seguisse. Ed ella senza indugio così disse.


Vorrei, donne gentil, che mi diceste,
     E voi signor ancor, con mente vera,
Qual di queste più tosto prendereste
     Con più fermezza e sicurtà sincera:
La stretta ben legata, o pur vorreste
     La tocca e dalle ben da prima sera:
Over la leva ben per tempo; e questo
     Ditel gagliardamente, e ditel presto.


Rimasero tutti attoniti per lo inviluppato enimma da Eritrea recitato, nè sapevano che rispondere, nè qual partito apprendere. Ma astretti dalla Signora che ciascaduno dicesse il parer suo, l’uno diceva voler la stretta ben legata: l’altro, la leva ben per tempo, e altri la tocca da prima sera; non però intendevano il significato loro. Onde vedendo Eritrea la loro discordia, disse: Non mi par convenevole che questa dolce compagnia stia più sospesa; ma dicole che la stretta ben legata è la tigna: la quale chi vuol scacciare, fa bisogno medicarla e con la benda strettamente legarla. La leva ben per tempo, dinota la cacarella; la qual fa levar di letto l’uomo innanzi giorno a scaricare il superfluo peso del ventre. La tocca dalli da prima sera s’attribuisse alla importuna rogna; la [p. 38 modifica]quale, come è su la sera, accende l’uomo di una insoportabil rabbia, che si mangiarebbe le carni co’ denti: come fece il figliuolo della vedova nella novella dalla signora Cateruzza non men dottamente che elegantemente narrata. Piacque universalmente a tutti l’ottima isposizione del nodato enimma; e presa licenza dalla Signora, perciò che l’ora era tarda, tutti si partiro: con condizione però di ritornare nella sera seguente al bel ridotto.




Il fine della sesta notte