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Nelle man prendo, onde la bagno prima,
     Poi l’appresento a mezzo la fessura.
E tanto in su e in giù la meno, ch’io
     Perfettamente faccio il fatto mio.

Tutti affermarono non esser stato men bello l’enimma da Lauretta raccontato, che la favola dal Bembo recitata. E perchè pochi l’intesero, la Signora le comandò che l’interpretasse. La quale, senza interporre indugio alcuno, disse: Erano duo che volevano segare un grossissimo trave. Uno prese in mano la sciega, che è molto dura, e se ne andò in alto; l’altro, essendo al basso, la unse coll’oglio, indi la pose nella fessura della trave; e l’uno e l’altro compagno tanto su e giù la mena, che l’opra si compisse. Piacque a tutti la sottil interpretazione del bel enimma; e poscia che furon acchetati, ordinò la Signora ad Eritrea che la sua favola raccontasse: ed ella prestamente così disse.


FAVOLA V.


Pre Zefiro scongiura un giovane che nel suo giardino mangiava fighi.


Suolsi dire, carissime donne, che la virtù consiste nelle parole, nell’erbe e nelle pietre; ma le pietre avanzano in virtute l’erbe e le parole: sì come per questa mia brevissima favoluzza intenderete.

Era nella città di Bergamo un sacerdote avaro, chiamato pre Zefiro, e aveva fama di aver gran danari. Costui aveva un giardino fuori della città presso alla porta che si chiama Penta. Il qual giardino era