Le odi e i frammenti (Pindaro)/Odi per Atene/Ode Nemea II
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ODE NEMEA II
Timodenio era ateniese, del demo di Acarne; ma aveva rapporti con Salamina, sia che la sua famiglia fosse di quegli Ateniesi che s’erano divisa l’isola conquistata, sia che avesse ricevuto lí la educazione ginnica. Dal fatto che qui, per glorificare Salamina, vien ricordato il valore d’Aiace, e non la celeberrima battaglia, s’induce che questa odicina fu scritta o prima della battaglia stessa (480), o molto dopo, quando la memoria n’era già dileguata.
«Timodemo — dice Pindaro — ha incominciato da dove sogliono incominciare i cantori omerici. Questi invocano nei loro proemi Giove: nei ludi Nemei, sacri a Giove, Timodemo ha riportata la prima vittoria, che sarà fulcro di altre successive. Figlio di Timòno, deve ora vincere anche a Pito; e questa vittoria seguirà l’altra già conseguita, come nel cielo, dopo che sono spuntate le Pleiadi, vediamo spuntare costantemente Orione. Chi fu educato in Salamina, è certo capace di tanto: Acarne ha dato sempre figli valorosi: la famiglia di Timodemo è famosa per le numerose vittorie già conseguite». Con la enumerazione di queste vittorie, e con un invito agli Ateniesi che esaltino Timodemo e Giove, ha termine la breve ode, che non è divisa in triadi, ma in semplici strofe.
PER TIMODEMO D’ATENE
VINCITORE NEL PANCRAZIO DI NEMEA
I
Di dove gli omèridi
cantori cominciano anch’essi
a tesser le loro canzoni, da Giove intonando il proemio,
quest’uomo pur egli la prima
vittoria otteneva — e sia base
dei sacri certami — nel bosco
di Giove che suona di canti.
II
Perché gli anni floridi
lui reser, per dritto sentiero
che già fu battuto dai padri, decoro d’Atene fulgente,
convien che il figliuol di Timòno
a Pito il vaghissimo fiore
dispicchi, e novella vittoria
consegua nei ludi. È ben giusto
III
che lunge Orïone
non stia dalle Pleiadi alpestri;
ed è Salamina capace di crescere un saldo guerriero.
Bene Ettore udí, sotto i valli
di Troia, novelle d’Aiace:
e te del pancrazio, o Timòdemo.
esalta la gloria sudata.
IV
È detto antichissimo
che Acame sia madre di prodi:
ed è di Timòdemo il sangue famoso pei vinti certami:
ché quattro vittorie agonali
ottennero sotto la vetta
sublime del giogo parrasio;
e ne le convalli di Pèlope
V
fra genti corinzie
fûr cinti con otto corone,
con sette in Nemèa: non c’è numero di quelle che ottennero in patria,
nei ludi di Giove. Ed a Giove
levate ora i canti: a Timòdemo
che vien, cittadini, levate
gli augurî e la voce soave.