Le monete di Venezia/Vitale Michiel II

Vitale Michiel II

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Enrico III ed Enrico IV Sebastiano Ziani

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VITALE MICHIEL II.

DOGE DI VENEZIA

1156 -1172.


Vitale Michiel II, trentaottesimo doge, tenne il supremo governo dello stato in un’epoca assai torbida e pericolosa. Dall’una parte la lotta grandiosa fra Federico Barbarossa e la Lega Lombarda cui era intimamente legata Venezia; dall’altra i dissapori e la guerra coll’impero d’Oriente, che ebbe fine colla disfatta della flotta veneziana e portò la conseguenza della uccisione del doge in una sommossa popolare. Però non era esausta la giovane repubblica, anzi in tale momento sentì più vivamente le proprie forze e le proprie aspirazioni, per cui non è da sorprendersi che la prima moneta su cui è solennemente affermata la indipendenza porti il nome di Vitale Michiel.

Questa monetina, di poco volume e di poco valore, mostra da un lato la croce accantonata da quattro punti, con attorno il nome, cognome e titolo del principe; dall’altro il busto di S. Marco visto di fronte e somiglia in tutto, tranne che nell’intrinseco, ai denari coniati a Venezia dagli ultimi imperatori del nome di Enrico. Monetine dello stesso tipo si trovano pure coi nomi dei dogi che successero a Vitale Michiel, e per il peso, per l’aspetto e la forma scodellata, somigliano assai ai denari colla croce, che furono coniati dalla zecca veneziana con tipo uniforme durante quasi tre secoli, da Sebastiano Ziani a Francesco Foscari. Questa somiglianza fu causa che molti raccoglitori ed anche valenti numismatici confondessero le due specie, chiamando gli uni denari colla croce e gli altri denari col busto di S. Marco. Non è però credibile che un governo saggio ed illuminato avesse contemporaneamente [p. 62 modifica]delle monete dello stesso valore con diversa impronta, e siccome l’intrinseco dei pezzi colla protome di S. Marco è di molto inferiore a quello dei denari, è naturale supporre che essi sieno una frazione del denaro. Potrebbero essere la metà od il terzo, ma la rarità degli esemplari non permettendo un’esame chimico, conviene giudicare per analogia. Siccome in altri paesi dell’Italia superiore1 si coniava nella stessa epoca l’obolo, o mezzo denaro, vi è tutta la probabilità, e quasi la certezza, che la nostra monetina sia la metà del piccolo o denaro. Pare che Venezia informando il sistema monetario proprio, abbia riprodotto nel suo denaro con poche modificazioni, il tipo dei primi imperatori, prendendo a modello del mezzo denaro quelli di Enrico III e IV, col busto dell’evangelista: questo rapporto di uno a due era quello che probabilmente correva fra le antiche monete che si trovavano ancora in circolazione.

Negli antichi documenti oltre alle denominazioni già note di lire, soldi e denari, di grossi e di piccoli per le monete d’Occidente e quelle di bisanti, iperperi e romanati per quelle di Oriente, troviamo talvolta adoperato anche il nome di come per esempio, in un atto di donazione2 del vescovo Stefano Lolino al Sacerdote Cristoforo della Chiesa Torcellana di S. Antonio Abate nel mese di giugno 1225, ove si parla di quindecim blancos. Però non essendovi alcun altro dato di confronto, non è possibile rilevare quale moneta effettiva, quale valore potesse essere quello che corrispondeva al nome di bianco. Solo allora che le memorie scritte cominciano a farsi più frequenti e più dettagliate, e cioè nella prima metà del secolo XIV, troviamo occasione di illuminarci su tale proposito.

Primo in ordine di età è un documento riportato dal canonico Rambaldo degli Azzoni Avogaro3, che si trova negli atti [p. 63 modifica]del rinnovamento della zecca trevigiana; in data 7 settembre 1317 un mercante di Treviso offre al Podestà ed ai Consoli della Città di coniare bagattini uguali nella bontà e migliori di quelli di Verona e di Brescia, per supplire alla deficienza di denari piccoli buoni, in forza della quale bianchi de Venetiis et alte pessime monete parve expenduntur pro bagatinis. Siccome noi sappiamo che in tutti i tempi la lira usata a Treviso era uguale a quella di Venezia, ne viene per conseguenza che il bianco di Venezia doveva essere una moneta che facilmente si confondeva col denaro, ma di minor valore ed intrinseco, se in Treviso si muove lagnanza perchè essa viene spesa come denaro.

Vengono poscia tre documenti dei quali ebbi comunicazione dall’infaticabile e liberalissimo comm. B. Cecchetti, di cui tutti deploriamo la fine immatura.

Il primo di questi documenti, del 23 febbraio 1334 m. v. ossia 13354, contiene copia di una attestazione di Pietro Pino del dicembre 1334, che, mentre l’8 od il 9 stesso, assieme a ser Andrea Marioni di S. M. Formosa, egli tornava dall’aver visitato ser Nicolò Marioni “Dum ... et intraremus porticum domus dicti ser Nicolai, superveniente domina Lavinia uxore dicti ser Nicolai, dictus ser Andreas dixit ser.. Io voio che vui oldè certe parole che io voio dir a Lavinia. Et sic vocavit ipsam ad partem angulariam diete porticus, et me presente dixit: Ve Lavinia, el me se stade dite certe parole, e per zo inchià che ser Nicolò è vivo et che tu li pos favelar, io te digo cossi che del so io non è tanto che vaia un bianco.

Altri due documenti sono tolti dal libro delle Grazie, che riportiamo qui sotto:

1340, 27 gennajo m. v. v.5

“Quod fiat gratia Albuyno vendericulo sancti Luce, quem officiales tarnarie condempnaverunt in libris tribus, quas jam solvit. Et insuper quod non audeat vendere oleum pro eo quod [p. 64 modifica] ejus filia ut dicunt vendidit cuidam unum quarterium olei da quo dati sibi fuerunt parvi VIII, et dum ipsa non haberet unum blanchum pro refundendo emptori, dedit nucellas XVI de quibue emptor fuit contentus. Cum autem sit pauper homo absolvatur, et de cetero vendere valeat oleum sicut autea faciebat.

1349, 27 settembris6

» Quod fiat gratia Johanni spiciario Sancti Julliani condempnato per officiales tarnarie in libris decem parvorum quia, sicut dicit, quidam puer accipiens oleum ab eo quodam sero videlicet unum quarterium, dimissit blanchum quem sibi dede- rat dictus Johannes super disco stationis, ob quod per famulos dicti officii euntes inquirendo pro suo officio invenerunt dictum puerum, petentes ab eo quantum dederat de dicto quarterio olei, qui simpliciter respondit septem denarios, non habens blanchum quem habere debebat, considerata condictione facti et sua paupertate, solvendo soldos centum parvorum a reliquo misericorditer absolvatur.»

Dal primo di questi documenti si rileva chiaramente che il bianco è un pezzo di infimo valore, giacché in dichiarazione di questo genere, quando uno vuol asserire che nulla possiede di pertinenza di altra persona, sceglie sempre la moneta di minor prezzo.

Nel secondo e nel terzo documento, oltre al confermare il minimo valore della monetina, riconosciamo che il bianco non è la stessa cosa del piccolo, giacché tanto il venderigolo di S. Luca, che lo spiciario di S. Giuliano, adducono a loro discolpa di non possedere il bianco per dare il resto al compratore di un quarto d’olio, per il quale aveva pagato sette od otto piccoli.

Ogni giorno vediamo ripetersi lo stesso fatto, ed anche oggi il guardiano di un pedaggio, ovvero il venditore di frutta o di altre cose di poco prezzo, approfitta della scarsezza dei piccoli centesimi per farne illecito guadagno, che per la poca importanza si trascura dal passeggiero o dal compratore.

In quei tempi patriarcali gli ufficiali della Ternaria erano severissimi per siffatti abusi ed i fanti sorvegliavano [p. 65 modifica]attentamente l’esecuzione dei durissimi editti, per cui i venditori colti in flagrante, erano puniti con multe e colla proibizione di vendere; ond’è che i colpevoli per ottenere una diminuzione di pena, si scusavano sia per la acquiescenza del compratore, sia per averla indennizzato con altra merce.

Intanto sta il fatto che noi troviamo menzionata nei documenti veneziani del secolo XIV, un’altra moneta oltre a quelle già conosciute, e poichè. sappiamo positivamente a quali monete si debbano attribuire i nomi di piccolo, di grosso, di mezzanino e di tornese, non possiamo concedere questo nome di bianco se non che a quella che n’era priva, tanto più che al minutissimo intrinseco corrisponde il minimo valore della monetina. Anche la scarsezza dei piccoli pezzi nei secoli in cui avevano corso, giustifica la loro estrema rarità al giorno d’oggi; piuttosto sembra strano che a una moneta, che conteneva piccolissima quantità di argento e facilmente anneriva, sia stato dato il nome di bianco. È bensì vero che le monete di mistura avevano, quando erano fresche di conio una patina argentea, come si può vedere in un esemplare a fior di conio del bianco di Renier Zeno nella raccolta del Museo Correr: e lo stesso nome di bianco fu dato a moneta di simile apparenza in altri paesi, anche in epoche più recenti. Pare che si volesse con ciò denotare, più che il colore permanente della moneta, quello che essa aveva quando era nuova, e che quindi volesse piuttosto riferirsi all’imbianchitura data, che al metallo dell’intrinseco. Non bisogna poi confondere tale minima frazione del denaro con altra moneta chiamata pure bianco nel principio del secolo XVI, perchè questa ha maggior valore, ottimo intrinseco ed un’aspetto veramente bianchissimo, ma è necessario riflettere che tra l’una e l’altra vi è oltre un secolo di distanza, e che si era già perduta la memoria del primo bianco, quando l’abitudine popolare impose questo nome al secondo.

Se ad alcuno poi rimanesse qualche dubbio, citerò un paragrafo del Capitolare dei Signori di notte7 il quale nell’anno 1318, [p. 66 modifica]al 19 maggio dice: “cum die secundo dicembris nuper elapsi captum fuerit in isto consilio, quod masarii monete habere debeant octo Ovrarios et octo monetbarios prò faciendo monetam parvam, scilicet denarios parvos albos et quartarolos ...»

Evidentemente si tratta di tre qualità di monete che vengono comprese sotto la comune denominazione di moneta parva e cioè denari parvi, albi e quartaroli; l’albo è la stessa cosa che il bianco o, per meglio dire, è la sua traduzione nel latino burocratico, giacchè sarebbe stato inutile aggiungere un’altro aggettivo al denaro, ch’era già accompagnato da quello solitamente usato di parvus.

L’ultima volta che a Venezia, troviamo nominato il bianco è nel 26 agosto 1348, in una parte della Quarantia8 che autorizza il Massaro di quindicina a far fabbricare quella quantità di bianchi che credesse conveniente; dopo quel giorno non sene trova più menzione e ciò corrisponde anche alle monete che si conservano nelle raccolte, dove l’ultimo bianco porta il nome del doge Andrea Dandolo.




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MONETE DI VITALE MICHIEL II.


1. — Mezzo denaro, o Bianco (1/24 del soldo). Mistura, titolo 0,070 circa: peso9 grani veneti 8, (grammi 0,414): scodellato.

D/ Croce patente accantonata da quattro punti triangolari entro due circoli di puntini, altri due circoli di puntini chiudono l’iscrizione + ·V· MICHE DVX·

R/ Busto di S. Marco visto di faccia, con aureola di nove punti o stelle, due cerchi concentrici di puntini separano la figura dall’iscrizione, altri due chiudono l’iscrizione + · S · MARCVS VNE

R Museo, Parma. Tav. V, N° 1.
Civico Museo, Trieste.
Dott. C. Gregorutti, Fiumicello presso Aquileja.

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI VITALE MICHIEL II.


Zanetti Girolamo. — Dell’origine e della antichità, etc. opera citata, pag. 46, n.° VII della tavola, ed in Argelati Parte III, App. pag. 11 e 14, n.4 VII. (Il disegno della moneta, tolto da un’esemplare probabilmente di cattiva conservazione è diverso affatto da quello che dovrebbe essere, avendo la croce da entrambi i lati e l’iscrizione incompleta ed inesatta).

(Menizzi A.) — Opera citata, pag. 77 (Il disegno copiato da quello di G. Zanetti è completato in modo fantastico).

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Schweitzer F. — Opera citata, Vol. I, pag. 68 (91) e tavola. (La moneta non è disegnata bene e l’iscrizione non è fedele).

Biografia dei Dogi
Numismatica Veneta
Opere citate. Doge XXXVHI (L’incisione è copiata dal fantastico disegno del Menizzi).

Kunz Carlo pose il disegno di questa preziosa moneta sopra un suo viglietto d’indirizzo, allorchè dimorava a Venezia.

Padovan e Cecchetti — Opera citata, pag. 9.

Wachter C. (von) — Opera citata, — Numismatische Zeitschrift. Vol. III 1871, pag. 227 e 570-571. (Anche qui l’iscrizione non è esatta).

Padovan V. — Opera citata, edizione 1879, pag. 9. — Archivio Veneto, Tomo XII, pag. 92 — terza edizione 1881, pag. 8.


  1. Promis D. Morate della zecca d’Asti. Torino 1853, pag. 20-21.
  2. Ughelli F. Italia sacra, Venetiis 1717, Tomo V, pag. 1383.
  3. Azzoni Avogaro R. Della zecca e delle monete c’ebbero corso in Trevigi fin tutto il secolo XIV, in Zanetti Guid’Antonio, Nuova raccolta etc. Vol. IV, pag. 138 e 165.
  4. Archivio di Stato, Petizion, pergamena, busta III.
  5. Archivio di Stato, Grazie, reg. 8, carte 82.
  6. Archivio di Stato, Grazie, reg. 12, pag. 49 tergo.
  7. Museo Correr, Manoscritti III, 349, carte 62 tergo.
  8. Archivio di Stato, Quarantia criminale, Parti, reg. II, carte 26 tergo.
  9. Il peso è rilevato dai due esemplari che si conservano nei Musei di Parma e Trieste, pur troppo alquanto sciupati; non avendo potuto conoscere il peso del Bianco del dott. Gregorutti, che è di migliore conservazione.