Le monete di Venezia/Cristoforo Moro
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CRISTOFORO MORO
DOGE DI VENEZIA
1462-1471.
Successe al Malipiero il doge Cristoforo Moro, che aveva già onorevolmente servito la patria in molti importanti uffici. Nei primi anni del suo principato per lievi cagioni scoppiò la guerra contro i Turchi, la cui forza d’espansione minacciava tutta l’Europa. Venezia per la sua naturale posizione geografica, per i suoi estesi possessi in Oriente, era la prima a sopportarne l’urto, e sebbene lungamente e valorosamente tenesse testa all’invasione musulmana, finì coll’esaurire il meglio delle sue forze in questa lotta secolare ed ineguale.
Bandita la crociata, Pio II era riuscito a concentrare in Ancona una flotta poderosa, nella quale altri principi cristiani avevano unito le loro galere a quelle della Chiesa e di Venezia, ma la morte improvvisa del Pontefice disperse quel grandioso apparato di guerra. I veneziani furono costretti a combattere da soli con varia fortuna, ma mentre si possono raccontare non pochi esempi gloriosi di energia e di valore, pur troppo si cominciano a vedere i primi sintomi di una decadenza, che non dipendeva solo dalle vicende e dai fatti esterni, ma aveva la sua causa nell’abbassamento del vigore e dello spirito di sacrificio, che era nel cuore degli antichi veneziani.
Questo primo periodo della lotta coi Turchi non ebbe fine se non dopo che Cristoforo Moro era già disceso nel sepolcro, ma durante il suo regno la Repubblica subì la perdita di Negroponte, dolorosissima anche per le circostanze tristissime che l’accompagnarono.
Tranne il ducato, che pur non è comune, le monete tutte di questo doge sono rare e pregiate, e facilmente s’indovina il perchè; nei nove anni del suo regno si stava studiando e maturando quella riforma, che fu messa in atto subito dopo l’elezione di Nicolò Tron. Ad essere esatti convien dire che da molto tempo il governo era preoccupato dalle gravissime perturbazioni e dai danni che alla circolazione monetaria recavano le falsificazioni, sopra tutto delle monete di poco valore e il deterioramento delle monete di maggior pregio per la tosatura. I magistrati competenti studiavano i modi di combattere sì grave danno; gli ufficiali della zecca avevano fatto preparare delle prove di nuove monete e le avevano lasciate vedere ad alcuni nobili e cittadini. Tale novità non incontrava l’approvazione di molti, che desiderosi di conservare i vecchi costumi, non volevano alcun cambiamento, nemmeno nella moneta, per cui nel 18 giugno 1459 il Senato1 adottava a grande maggioranza che non si facessero altre stampe per le monete, e che si distruggessero le nuove già preparate.
Coerentemente a tali idee, subito dopo l’elezione del doge Cristoforo Moro, e cioè il 14 maggio 1462, la Signoria2 approva il conio del grosso, fato per man de Maistro Antonello, sì da la banda del Christo, chome da la banda de san Marcho e del doxe . . . purché el no ce entri più Arzento ne mancho del consueto, e prescrive che nel nome del principe si debbano mettere tante lettere, quante sono state deliberate per il ducato.
Per altro non erano abbandonati gli studi ed i progetti, cosicché nel Capitolare delle Brocche, sotto la data del 21 giugno 14623 trovasi l’ordine ai massari di consegnare 12 fiaoni4 a ser Piero Salomon, capo dei quaranta, il quale desiderava battere alcuni grossi colle nuove stampe, che egli aveva fatto incidere da Antonello. Nei mesi di giugno e luglio 1462, sono registrati altri ordini della Signoria di consegnare allo stesso incisore fiaoni da grossi e da grossoni per stampe nuove5. Finalmente nello stesso prezioso libro, che raccoglie oltre ai decreti anche gli ordini, verbali e le annotazioni degli ufficiali di zecca, troviamo6: “Adj 7 lugio 1462. Noto io Jachomo de Antonio d’Alvise, schrivan, chomo vene qui alla zecha Miser Triadan Griti Savio grando, disse da parte de la Signoria se dovesse far far certi pizoli grandi, per mostra, di rame puro, e chussì fo fato: e fato che i fono, fono dati al dito mis Triadan, i quali pizoli haveva da una banda la testa del dose, e da l’altra san Marcho.
Nonostante tutti questi studi e queste prove, che riguardavano tanto le monete d’argento che quelle di poco valore, si esitava a prendere un partito, ed il Maggior Consiglio, il 10 agosto 14637, delegava i suoi poteri al Senato, incaricandolo di provvedere affinchè cessassero le falsificazioni dei piccoli, che si moltiplicavano con grave danno dei sudditi. Il Senato se ne occupa subito e nel 14 agosto8 prescrive che non si possano coi piccoli fare pagamenti, se non di cose minute, che i banchieri non possano tenerli al banco od altrove, in scarnutiis9 od in altro modo, darli a prestito o farne mercato: i cittadini siano tenuti a portare tutti i piccoli nei luoghi che saranno indicati per ogni città, ove persone intelligenti sceglieranno quelli buoni, di conio veneziano, e faranno distruggere col fuoco i bagattini falsi, restituendo al proprietario il metallo fuso.
Il 26 dello stesso mese, respingono i Pregadi10 il progetto di coniare monetine d’argento da do e tre per soldo, ossia da sei e quattro denari; e finalmente il 3 settembre11 prendono una definitiva determinazione sull’argomento dei piccoli, ponendo ai voti due proposte, colla prima delle quali si ordina di fondere in tavole 3000 marchi di quattrini di conio veneziano, che esistono in zecca e che hanno la solita lega eli rame con poco argento, e da queste tavole fare pizoli copoludi i quali non devono essere spesi nè cambiati con moneta fina, ma custoditi in una cassa forte per darli in luogo di piccoli buoni, che devono essere portati al cambio dai cittadini a Venezia, a Padova ed a Treviso, fino al 15 di questo mese, dopo il quale termine non possono spendersi se non piccoli copoludi. Si ripetono oltre a ciò le disposizioni del precedente decreto 14 agosto, che proibiscono di adoperare i piccoli se non al minuto e per un valore non maggiore di 5 soldi. Colla seconda parte messa ai voti contemporaneamente12, si respinge la proposta di coniare una moneta di rame a forma di medaglia, secondo il progetto studiato ed ordinato, la quale sarà spesa a 12 per marchetto come i piccoli. Nè l’una nè l’altra di queste deliberazioni è riportata nel Capitolare delle Brocche, dove si legge soltanto l’ordine della Signoria di coniare i piccoli di lega colle seguenti parole: «+ adi 6 settembre. Referì miser Piero Dandollo de miser Marco, e miser Bernardo Bondomier massari alla zecha chel cholegio li chomando i fesse far i pizolli chopoludi, zoe marche 3000 di quatrini consignadi per quelli da le Cbamere dela liga che i se trova, la qual e K.ti 54 per marca — 1463 die VI Septembris. — De commandamento de la Serenissima Signoria referì Jo Domenego Stella ducal secretario a questi Magnifici Signori de la zecha che i debiano supplir al bater dei bagatini fino a la summa de LX carati a zo tuti i pizoli se farà sia de LX carati per marcha.13
In tal modo sappiamo che l’intrinseco della lega dovea essere migliorato fino a 60 carati di fino per marca, ma la qualifica che ci resta da spiegare è quella dei copoludi data a tali bagattini, la quale indica evidentemente una caratteristica essenziale che li differenzia da quelli coniati precedentemente, esprimendo il decreto 3 settembre chiaramente che, passato il termine accordato al cambio delle antiche monete, non si possono spendere se non piccoli copoludi. Ora questa caratteristica, che distingue a colpo d’occhio i piccoli di Cristoforo Moro dai precedenti, senza pericolo di errare, è una sola, e cioè la forma leggermente scodellata che ricorda quella degli antichi denari d’argento. Infatti nei migliori dizionari italiani si trova coppoluto nel senso di alto, rotondo e fatto a forma di cupola; in molti paesi d’Italia ed anche nel nostro estuario si chiama coppola quella beretta sferica,che portano i pescatori; e finalmente il Pegolotti14 l’adopera precisamente nel significato di moneta scodellata, quando annovera fra le monete d’oro i bixanti copoluti di Cipri.
Essendosi presentate al cambio più di 7000 marche di piccoli, il Senato ordina nel 2 dicembre 146315 la coniazione di altre 3000 marche di bagattini del nuovo tipo, accordando a coloro che avessero piccoli falsi, il pagamento del solo valore del rame in ragione di otto soldi per marca.
Sembra però che tutti non fossero contenti delle decisioni prese, giacché nel 24 novembre 146416 si propone nuovamente di ritirare i piccoli esistenti e di sostituirli con monete di puro rame del peso di 18 carati, le quali dovevano essere spese in ragione di 12 pezzi per marca. Anche questa volta il partito fu rigettato ed il Senato17 incaricò il Collegio di ritirare dalle persone più bisognose i piccoli buoni al prezzo di 12 per soldo, assegnando a tale scopo prima 500 ducati, poi altri 500, ed autorizzando con altro decreto del 1 dicembre18 dello stesso anno a coprire la deficienza cogli utili della zecca dell’oro e dell’argento.
Così fu respinta per la seconda volta la riforma che tendeva ad abolire la moneta di mistura, facile ad essere falsificata con metallo cattivo; ma resta il sospetto che la ragione della poca fortuna di un tale progetto fosse, più che altro, il ritratto del doge che vi era scolpito, il quale sembrava a molti una grave infrazione ai costumi dei padri ed ai tipi tradizionali delle monete veneziane.
Però nelle raccolte numismatiche si conservano piccoli di puro rame, colla testa del principe, che corrispondono esattamente ai campioni ordinati alla zecca da Triadan Gritti colla nota già citata, dove sono chiamati col nome espressivo di Piccoli grandi. Essi portano le traccie di essere stati in circolazione, e, sebbene sieno assai rari, se ne conoscono di due varietà affatto distinte, con differenze di conio, che autorizzano a supporre una emissione sufficientemente abbondante. Non potendosi credere che un’altra votazione abbia approvato quello che prima era stato ripetutamente rigettato, sarei disposto a ritenere che la prova delle monete di rame sia stata fatta in una misura più larga del consueto, e che, prima di domandare l’approvazione del Senato, il Collegio, da cui dipendeva direttamente la zecca, e che forse era convinto della opportunità della proposta, abbia messo in circolazione una certa quantità di piccoli colla testa del doge. Ne abbiamo un indizio nelle ripetute proibizioni di coniare bagattini senza il permesso del Senato, ovvero di eccedere la quantità fissata per legge, e nella intimazione conservata nel Capitolare delle Brocche19 in data 5 ottobre 1464, colla quale la Signoria vieta ai massari di battere o far battere bagattini senza suo ordine.
Non ostante le votazioni contrarie del Senato, mi pare che non si possa negare ai reggitori della zecca di Venezia il vanto di una iniziativa, che fu poscia seguita da tutta l’Europa. Questa priorità, che Fusco20 aveva attribuita ai cavalli di Ferdinando di Aragona, coniati a Napoli nel 1472 per consiglio del duca d’Ascoli21, fu rivendicata da Lazari a Venezia22, dove fu pensata e posta in esecuzione dieci anni prima.
Per completare le notizie relative alle monete di poco valore, ricorderò che nel 17 maggio 146423 il Senato ordinava la coniazione di*tornesi per i bisogni della flotta e dei possessi del Levante, assegnando 300 ducati per comperare l’argento necessario per comporli.
Gli inconvenienti che avevano fatto pensare ad una riforma della moneta d’argento non erano cessati e se ne risentivano il commercio e la zecca, che vedeva diminuire i suoi lavori e quindi i suoi redditi. La questione fu portata in Senato il 27 settembre 146824, ma la discussione riuscì tanto agitata ed i pareri così divisi, che non fu possibile prendere un partito, per cui il nobile consesso fu costretto a deliberare che per un anno non si parlasse di fare monete nuove nè di abolire le vecchie, sotto pena di cento ducati. Intanto fu ordinato alla zecca di non coniare grossi, nè grossoni, ma soltanto soldini, provvedimento che nel 21 ottobre 146825 fu sospeso per quei mercanti che avevano già depositato l’argento in zecca.
Passato l’anno, non havvi memoria che la questione sia stata ripresa, solo nei manoscritti di V. Lazari trovo il seguente cenno: «1471 22 marzo. C. X. Provision de monede, grossi, grossoni, borri» tratto forse da qualche cronaca che non seppi rinvenire. In ogni caso fu una semplice discussione che non ebbe risultato, perchè la riforma monetaria fu decretata nel 20. maggio 1472, quando Nicolò Tron si trovava già da sei mesi sul trono ducale.
MONETE DI CRISTOFORO MORO
1 — Ducato. Oro, titolo 1.000: peso grani veneti 68 52/67 (grammi 3.559).
D/ S. Marco porge il vessillo al doge CRISTOF’· MAYRO lungo l’asta DYX, dietro il santo S · M · VENETI
R/ Il Redentore benedicente in un’aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra SIT · T · XPE · DAT- · Q’ TY REGIS · ISTE · DYCAT ·
Tav. XVI, n.° 6 |
2 — Grosso, o grassetto. Argento, titolo 0.949: peso grani veneti 27 10/100 (grammi 1.402).
D/ S. Marco porge il vessillo al doge, CRISTOF’ MAYRO lungo l’asta DVX, a destra · S · M · VENETI nel campo tra le figure e l’iscrizione le lettere iniziali del massaro.
R/ Il Redentore in trono,
· + · TIBI · LAYS · ET · GLORIA ·
Tav. XVI, n.° 7 |
Iniziali dei massari dB dd M... PD
I grossi di questo tempo sono quasi tutti stronzati e deficienti di peso.
3 — Soldino. Argento, titolo 0.949: peso grani veneti 6 77/100 grammi 0.350).
D/ Il doge in piedi, tiene con ambe le mani il vessillo CRI...MAV RO DVX nel campo dietro la figura del principe le iniziali del massaro una sopra l’altra.
R/ Leone accosciato sulle zampe posteriori che tiene il vangelo nelle anteriori, attorno senza traccia di circolo + · S · MARCVS · VENETI ·
Museo Correr, Legato Molin. | Tav. XVI, n.° 8. |
Iniziali dei massari | C 7 |
4. — Piccolo, o bagattino. Rame: peso grani veneti 35 (grammi 1.811).
D/ Busto del doge di profilo a sinistra, con manto e corno ducale; un circoletto, interrotto, dalla figura, separa l’iscrizione CRISTOFORVS · MAVRO · DVX ·
R/ Leone accosciato nimbato col libro dei vangeli nelle zampe anteriori, in un circolo, attorno + · S · MARCVS · VENETI:·
R. Biblioteca e Museo di S. Marco. | Tav. XVI, n.° 9. |
5. — Varietà nel R/ + · S · MARCVS VENETI ·
R. Gabinetto Numismatico di S. M. Torino (grani veneti 69 1/2). | |
I. R. Gabinetto Numismatico, Vienna (grani veneti 87). | |
Conti Morosini S. Giovanni Laterano, Venezia (grani veneti 81). |
6. — Varietà D/manca il circolo attorno la testa del doge CRISTOFORVS · MAVRO · DVX
R/ Il leone prende tutto lo spazio e manca l’iscrizione.
Museo Correr (grani veneti 88). | |
Raccolta Papadopoli (grani veneti 39). | Tav. XVI, n.° 10. |
7. — Varietà nel diametro che è di soli millimetri 13, mentre i N. 4, 5 e 6 hanno oltre 15 millimetri di diametro.
Museo Correr, legato Molin (grani veneti 46). | |
Tav. XVI, n.° 11. |
8. — Piccolo copoluto. Mistura, titolo 0.052 (peggio 1092): peso grani veneti 5 1/2 (grammi 0.284) circa: scodellato.
D/ Croce patente, accantonata da quattro bisanti, alle estremità delle braccia altri quattro bisanti; le lettere C M D V fra le braccia della croce.
R/ Leone accosciato nimbato, col vangelo fra le zampe
anteriori entro un circoletto, attorno
+ · S · M · VENETI ·
Tav. XVI, n.° 12. |
9. — Piccolo, o bagattino per il Friuli (?) Mistura, titolo 0.055: peso grani veneti 15 1/2 ((grammi 0.802).
D/ Croce accantonata da quattro bisanti, entro un cerchio di perline, attorno + · CRISTOFORVS · MAVRO ·
R/ Busto di S. Marco con aureola in un cerchio di perline, attorno + · S · MARCVS ·
Museo Correr. | Tav. XVI, n.° 13. |
10. — Tornesello. Mistura, titolo 0.111 e 0.055: peso grani veneti 12 (grammi 0.621) circa.
D/ Croce patente + CRISTOF · MAVRO · DVX
R/ Leone accosciato col Vangelo fra le zampe anteriori
· S · MARCVS · VENETI
Raccolta Papadopoli. | Tav. XVI, n.° 14. |
Museo Bottacin. |
OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI CRISTOFORO MORO.
Carli Rubbi G. R. — Delle monete etc., opera citata, Tomo I, pag. 420.
(Duval et Fröhlich). — Monnaies en or, etc., opera citata, pag. 276.
Gradenigo G. A. — Indice citato, in Zanetti G. A. Tomo II, pag. 178-179 n. IC.
Zon A. — Opera citata, pag. 22, 36 e 80, e tav. I, n.° 16.
Schweitzer F. — Opera citata, Vol. U, pag. 34 (382 a 391) e tavola.
Kunz C. — Catalogo citato, pag. 10, n.° 1 della tavola.
Orlandini G. — Catalogo citato, pag. 8.
Biografia dei Dogi | — Opera citata Doge LXVII. |
Numismatica Veneta |
Lazari V. — Notizia sulle medaglie e monete del doge Cristoforo Moro — Cicogna E. — Delle iscrizioni veneziane ecc., Opera citata, Tomo IV, pag. 733-736.
Padovan e Cecchetti. — Opera citata, pag. 21-22 e 105.
Wachter (von) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Vol. III, 1871, pag. 229-233 e 255 e Vol. V 1875, pag. 210-213.
Padovan V. — Opera citata, edizione 1879, pag. 26-27,110 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII pag. 105-106, Tomo XIII pag. 137 e 147. Tomo XXI pag. 137 e Tomo XXII, pag. 292 — terza edizione 1881, pag. 21-22, 79, 89,335 e 356.
BOLLA IN PIOMBO DI CRISTOFORO MORO
conservata nel Museo Correr.
Note
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. IV, carte 110.
- ↑ Ivi Capitolare delle Brocche, carte 35.
- ↑ Ivi ivi » 35 t.
- ↑ Fiaoni, o fiadoni (flaones) si dicevano quei dischi di metallo a cui, subite già le operazioni dette gustar, pesar e mendar (emendare, ossia correggere i difetti di forma e di peso), non mancava che l’impronta del conio per diventare monete.
- ↑ R. Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 35 t. e 36.
- ↑ Ivi ivi 37 t.
- ↑ Ivi Maggior Consiglio, reg. Regina carte 45 t.
- ↑ Ivi Senato, Terra, reg. V, carte 49 t.
- ↑ Nei tempi in cui il territorio veneto era invaso da una grande quantità di monete minute, erasi introdotta l’abitudine di chiuderle in borse, o cartocci per evitare l’incomodo di contarle. In seguito ad abusi, questo sistema fu proibito e la forma adoperata nel presente decreto che vieta tenere i piccoli in scarnutiis, mi sembra equivalente a quella che altra volta ordinava di contarli e non di darli in scartociis.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra, reg. V. carte 49.
- ↑ Documento XXXIII.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, terra, reg. V, carte 70 tergo.
- ↑ R. Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 37 t.
- ↑ Pegolotti F. B. Opera citata, Cap. X, pag. 291.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. V, carte 62.
- ↑ Ivi ivi » » 100.
- ↑ Ivi ivi » » 100 tergo.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. V, carte 108.
- ↑ R. Archivio di Stato. — Capitolare delle Brocche, carte 38.
- ↑ Fusco G. V. — Sulla introduzione delle monete di rame nel Regno di Napoli — Memoria detta alla sezione di archeologia e geografia del VII Congresso degli scienziati.
- ↑ Sambon A. — I cavalli di Ferdinando I. d'Aragona re di Napoli. — Rivista italiana di Numismatica. Anno IV 1891, pag. 326-827.
- ↑ Lazari V. — Zecche e monete degli Abruzzi nei basai tempi. Venezia 1858, pag. 14.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. V, carte 78 tergo e 79.
- ↑ Ivi ivi » VI, » 36 » — Capitolare delle Brocche carte 40.
- ↑ R. Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 40