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282 cristoforo moro

Tranne il ducato, che pur non è comune, le monete tutte di questo doge sono rare e pregiate, e facilmente s’indovina il perchè; nei nove anni del suo regno si stava studiando e maturando quella riforma, che fu messa in atto subito dopo l’elezione di Nicolò Tron. Ad essere esatti convien dire che da molto tempo il governo era preoccupato dalle gravissime perturbazioni e dai danni che alla circolazione monetaria recavano le falsificazioni, sopra tutto delle monete di poco valore e il deterioramento delle monete di maggior pregio per la tosatura. I magistrati competenti studiavano i modi di combattere sì grave danno; gli ufficiali della zecca avevano fatto preparare delle prove di nuove monete e le avevano lasciate vedere ad alcuni nobili e cittadini. Tale novità non incontrava l’approvazione di molti, che desiderosi di conservare i vecchi costumi, non volevano alcun cambiamento, nemmeno nella moneta, per cui nel 18 giugno 1459 il Senato1 adottava a grande maggioranza che non si facessero altre stampe per le monete, e che si distruggessero le nuove già preparate.

Coerentemente a tali idee, subito dopo l’elezione del doge Cristoforo Moro, e cioè il 14 maggio 1462, la Signoria2 approva il conio del grosso, fato per man de Maistro Antonello, sì da la banda del Christo, chome da la banda de san Marcho e del doxe . . . purché el no ce entri più Arzento ne mancho del consueto, e prescrive che nel nome del principe si debbano mettere tante lettere, quante sono state deliberate per il ducato.

Per altro non erano abbandonati gli studi ed i progetti, cosicché nel Capitolare delle Brocche, sotto la data del 21 giugno 14623 trovasi l’ordine ai massari di consegnare 12 fiaoni4 a ser Piero Salomon, capo dei quaranta, il quale desi-

  1. R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. IV, carte 110.
  2.                Ivi                Capitolare delle Brocche, carte 35.
  3.                Ivi                                          ivi                      »     35 t.
  4. Fiaoni, o fiadoni (flaones) si dicevano quei dischi di metallo a cui, subite già le operazioni dette gustar, pesar e mendar (emendare, ossia correggere i difetti di forma e di peso), non mancava che l’impronta del conio per diventare monete.