Le monete di Venezia/Andrea Dandolo

Andrea Dandolo

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Bartolomeo Gradenigo Marino Falier

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ANDREA DANDOLO

DOGE DI VENEZIA

1343 - 1354.



Morto Bartolomeo Gradenigo, fu eletto a succedergli, a soli 36 anni, Andrea Dandolo uomo dotto e cultore degli studi: questo principe saggio ed amantissimo della patria raccolse gli antichi documenti e scrisse le cronache, monumento imperituro di storia veneziana.

Appena assunto al dogado prese parte alla crociata indetta da Clemente VI, nella quale le armi latine riuscirono ad impadronirsi di Smirne, ma in breve tempo perdettero il territorio conquistato e sciolsero l’alleanza senza alcun risultato. Zara sollevatasi per la settima volta fu ricondotta all’obbedienza, ma altre e più gravi sventure colpirono allora Venezia; prima un terremoto violentissimo che fece cadere case e campanili; poi la terribile peste nel 1348, nella quale perirono tre quinti della popolazione e si estinsero cinquanta famiglie patrizie, e finalmente la guerra fratricida fra Genova e Venezia. Le flotte più poderose ed i migliori capitani del tempo lottarono accanitamente nelle acque del Bosforo, della Sardegna e nello stesso Adriatico, con vittorie e sconfitte sanguinose, le quali ebbero il solo risultato di indebolire le repubbliche rivali, senza che una delle due ottenesse l’ambita supremazia. Non valsero a placare gli animi la parola e gli scritti dell’immortale Petrarca ambasciatore di pace. Senza vedere la fine di questa guerra sciagurata, Andrea Dandolo morì nel 1354, ultimo doge sepolto a S. Marco.

Anche dal punto di vista del numismatico, il principato di Andrea Dandolo è ricco di fatti degni di essere notati; nei registri del Maggior Consiglio, in quelli della Quarantìa e nei [p. 171 modifica]Capitolari dei magistrati sono trascritti provvedimenti diretti a migliorare l’andamento amministrativo della zecca, a diminuire le spese ed a togliere alcuni abusi che erano di pregiudizio al pubblico erario. Fra gli altri ricorderò, dal Capitolare dei massari all’argento, l’ordine in data 7 maggio 13441, di portare ai massari dell’oro tutto quel metallo in cui si doveva partire l’oro dall’argento; dal libro dei Commemoriali2 l’atto solenne (3 agosto 1345) di deposizione, in un banco ferrato della Cancelleria, di una verga d’oro, colla bolla di S. Marco impressa sopra uno dei capi, la quale verga est sazium ducatorum. Nei registri della Quarantia Criminale si trova, com’è naturale, il maggior numero di documenti relativi alla moneta, ma disgraziatamente la raccolta non è completa e mancano alcuni volumi dei primi tempi, per cui sono deficienti le memorie su taluni avvenimenti che ci interessano, ed incompleti gli elenchi dei massari e dei pesatori all’oro ed all’argento, che in quel tempo erano nominati da questo magistrato.

Nei volumi che ci rimangono, merita dì essere citata la terminazione del 26 agosto 13483, che autorizza il massaro di quindicina a far fabbricare quella quantità di bianchi che trovasse conveniente, dandone conto al suo successore, tanto nelle spese quanto nell’entrata, perchè questa è l’ultima volta in cui si parla di una simile moneta, come è di questo doge l’ultimo bianco conosciuto. Nel 5 ottobre 13494, la Quarantia allo scopo di studiare la riforma della zecca, nomina tre savi (Giovanni Grimani, Michieletto Duodo e Donato Onoradi). Con lodevole sollecitudine essi presentano le loro proposte nel 15 ottobre5, le quali vengono dallo stesso Consiglio approvate, e riguardano il ricevimento dell’argento, la consegna delle monete ai mercanti, l’utile che dalla coniazione deve ritrarre il [p. 172 modifica]Comune, i conti che devono presentare i massari ed altre disposizioni di minore importanza. Altro decreto della Quarantìa del 29 ottobre 13496, il quale, constatando che la separazione testé fatta della zecca dell’oro da quella dell1 argento, è più utile che dannosa al Comune, e che in tal modo si soddisfano più prontamente i mercanti, mantiene la divisione delle due zecche. Nel 21 novembre 13517, lo stesso magistrato ordina che gli argenti forastieri inferiori di lega ai veneziani, non possano essere venduti a Venezia, ma sieno rotti, e nel febbraio 1353-13548 proibisce di far fabbricare o coniare a Venezia e nello Stato moneta che sia collo stampo o forma della moneta forestiera.

Un provvedimento, di cui non posso darmi una spiegazione esatta e sicura, si è quello prescritto da una legge del Maggior Consiglio, in data 24 febbrajo 1352, che ordina a tutti gli ufficiali del Comune di non ricevere ducati se non bollati, essendo gli altri inferiori. Ora è strano che con una disposizione così generica e tassativa, riprodotta in diversi Capitolari9, non si trovi sopra i ducati di quell’epoca alcun segno che possa interpretarsi per il bollo prescritto. Conviene però osservare che nel medio evo, ed anche dopo, si usò raccogliere in sacchetti o cartocci le monete, sia per non avere la fatica di enumerarle, sia per essere sicuri della perfezione e qualità dei pezzi. A Firenze, precisamente nel secolo XIV, si chiudevano in una piccola borsa i fiorini autentici e perfetti, e vi si poneva il suggello dell’autorità, per cui erano preferiti agli altri e si chiamavano fiorini di suggello. A Venezia non abbiamo memoria di una simile costumanza nelle monete d’oro, ma è possibile che si facesse anche qui per i ducati quello che si faceva a Firenze per i fiorini, tanto più che certi usi si generalizzano [p. 173 modifica]facilmente in luoghi e tempi vicini, e può darsi anche che si chiamassero ducati bollati non solo quelli chiusi in un sacchetto, ma tutti quelli buoni e perfetti in modo da meritare di esservi collocati.

Non mi fu possibile invece trovare tutti i documenti relativi a fatti della massima importanza per coloro che si occupano della storia numismatica di questo periodo, e cioè il decreto che eleva il valore del grosso a 4 soldi, e quello che istituisce il nuovo mezzanino. Questi fatti sono però ricordati nelle memorie storiche e nelle cronache con piccole differenze nei particolari, ed hanno la più valida conferma nelle monete che esistono col nome del doge Andrea Dandolo.

L’antico manoscritto che abbiamo già citato, intitolato «Eletioni, Deliberationi, Decreti etc, etc. riporta che nell’anno 134610 il doge Andrea Dandolo fece battere una moneta che si chiamava mezzanino e valeva 16 piccoli, e che nel 135311 si coniò una nuova moneta chiamata soldino. Altre due cronache, appartenenti pure alla Marciana, l’una delle quali è attribuita a Daniele Barbaro12 l’altra è chiamata Bemba13, raccontano che nell’anno 1347 fu decretata la coniazione di due sorta di monete, e cioè mezzanini e soldini.

Marin Sanuto14 non parla dei mezzanini e si limita a notare la stampa dei nuovi soldi colle seguenti parole: «nell’anno (1353) vedando venetiani i soi soldi erano stronzati atorno per tuorli l’arzento feno una nova sorte cuniar cum uno zerchio atorno aziò i non se podesse stronzar et quelli non haveano el ditto zerchio atorno non voleano si potesse spender.» Così altre cronache, senza occuparsi dei mezzanini, ricordano la coniazione dei soldini nell’anno 1353.

Anche le memorie di Zecca fanno menzione: “Anno 1343 Prencipe D. D. Andrea Dandolo li Aurelij cressetero fino a [p. 174 modifica] soldi quatro l’uno et si nominarono grossoni.» — 1343,Prencipe detto fu stampado moneta nova nominata quartaruoli che era un quarto di grosson, valeva soldi uno l’uno.»

La compilazione di epoca relativamente recente, che va sotto il nome di Memorie di Zecca15, fatta dal Fedel Francesco Marchiori maestro di zecca, se non merita cieca fede rispetto ai tempi remoti o quando vi contraddicono i fatti e le cronache, è però tratta da antiche carte e può servire di ajuto, allorché i documenti e le monete vi corrispondono. Essa cade in errore qui come altrove, nel dare a monete conosciute nomi inesatti, come quelli di aureli e grossoni ai grossi e di quartaroli ai soldi: cade in errore nell’ascrivere la riforma monetaria al 1343, anno della elezione del Dandolo, quasi ad indicare piuttosto il principato sotto cui furono coniate le monete, che la data vera dell’emissione. Noi però dal confronto colle altre notizie e dall’esame delle monete, possiamo rilevare che il nuovo mezzanino si cominciò a coniare nel 1346 o 1347, e che era valutato 16 piccoli. Esso ha il peso di 15 g. v. abbondanti, di ottimo argento, e quindi il valore intrinseco di poco più di 3/8 del grosso, per cui, correndo esso per 16 piccoli, ne viene naturalmente che il grosso aveva aumentato di pregio o per dir meglio, il piccolo era rinvilito in modo, da non essere più 1/32 del grosso, ma bensì 1/40 od 1/42, e però è assai probabile che in questo tempo il grosso valesse 40 o 42 piccoli Non essendo il mezzanino la metà del grosso effettivo, fo mutato il suo tipo in modo da non confonderlo con quello coniato da Francesco Dandolo, ma siccome alla nuova moneta fu conservato il valore di 16 piccoli, si può arguire che sino dai primi anni del principato di Andrea Dandolo si cominciasse ad usare del grosso ideale di 32 piccoli effettivi, di cui ho già parlato a proposito della lira di grossi, e di cui avrò occasione di occuparmi anche in seguito.

[p. 175 modifica]In mezzo a tanta scarsezza di documenti storici, abbiamo la fortuna di possedere il decreto, che ordina la coniazione del soldino, conservato nei registri della Quarantia Criminale, ed io qui lo pubblico per la prima volta.

«(1353) die VIII mensis aprilis.

Capta

Cum inquirendus sit omnis bonus modus qui inducat utilitatem communi et destrum merchatoribus navigantibus et conversantibus in partibus Romanie, et modus monete infrascripte verisimiliter redundare debeat, si fiat, in utilitatem tam communis quam dictorum merchatorum;

Vadit pars, quod fiat una moneta de eo argento quo fiunt mezanini et in eamet stampa qua fiebant soldini, ’que vadat ad soldos XXXVI pro marcha, et valeat quilibet denarius dicte monete parvos XII. Et quod omnes mercatores qui volent ponere argentum in Zecha pro faciendo fieri de dicta moneta debeant habere a communi, seu ab officialibus deputatis ad monetam, soldos XII grossos VI proqualibet marcha argenti quam posuerint in zecha. Et sculpiri debeat in ipsa moneta prima sillaba nominis massarii.

De parte 26»16.,

Dalla lettura di questo interessante documento si rileva che lo scopo principale della deliberazione era quello di recare vantaggio ai traffici colla Romania, dove pare che avesse trovato favore anche l’antico soldino. Ciò è pure dimostrato da una proposta trascritta nello stesso foglio, in seguito alla parte qui sopra riportata: in essa Andrea Gabriel chiedeva si coniassero soldini dell’antica bontà e dell’antico modello per comodo dei naviganti e commercianti in Romania. La proposta non fu accolta per ragioni facili ad indovinarsi, ma mostra quali erano i desideri ed i bisogni delle classi interessate.

La deliberazione notata ordina che il nuovo soldino abbia bensì lo stesso disegno dell’antico, ma la bontà del mezzanino, e che porti scolpita nel campo la lettera iniziale del nome del [p. 176 modifica]massaro. Il valore della moneta è determinato in 12 piccoli, e se ne devono trarre da una marca soldi 36; mentre Terane è tenuto a pagare 12 V» soldi di grosso al mercante che porta l’argento in zecca.

Non vi è bisogno di discutere il valore delle nuove monete fissato dalla legge in 12 piccoli; esse devono rappresentare il soldo della lira di piccoli e sono perciò chiamate soldini ed anche dodesini. Invece è necessaria qualche illustrazione alle altre cifre; perchè non si capisce a prima giunta di che specie sieno quei 36 soldi che si devono ottenere da una marca: sono troppi per appartenere alla lira di grossi, e pochi, ma molto pochi, per essere della lira di piccoli. La frase che segue ..... et valeat quilibet denarius dicte monete..... dà la chiave dell’enigma; perchè, se viene chiamato denaro una unità di tale moneta, è evidente che soldo vuol dire l’agglomerazione di 12 pezzi; quindi da una marca si devono cavare 12 volte 36, e cioè 432 pezzi, il che corrisponde esattamente al peso del soldino di questo tempo. Anche il prezzo di 12 1/2 soldi di grossi pagati dall’erario pubblico ai portatori dell’argento merita qualche breve osservazione, perchè da una marca di argento fino, secondo il capitolare antico dei Massari alla moneta, si dovevano ottenere grossi 109 1/2, o 109 1/2 i quali non fanno che soldi 9 e denari 1 1/2 od 1/3 di grossi. Ciò vuol dire ohe il grosso era già in questo tempo, e pochi anni prima del presente decreto, elevato al valore di 48 piccoli, e che il computo dei soldi si faceva non sopra i grossi effettivi, che erano di uguale bontà e peso degli antichi, ma sui piccoli, dei quali 32 si valutavano per un grosso nominale. Infatti soldi 12 1/2 sono 150 grossi ideali inferiori agli esistenti, e la differenza fra questo prezzo e quello ricavato effettivamente dalla coniazione è evidentemente il compenso delle spese e l’utile della fabbricazione. Le memorie di zecca, sebbene sotto una data soltanto approssimativamente vera, ricordano il nuovo ragguaglio che rimase definitivo e tradizionale, perchè anche oggi, nell’uso del nostro popolo, il grosso equivale a 4 soldi veneti.

Tanto il nuovo mezzanino che il nuovo soldino di ottimo [p. 177 modifica]argento sono incisi e coniati con molta cura e diligenza ed hanno una perfezione di forma rotonda affatto sconosciuta fino allora. Il Sanuto ricorda che un cerchio posto nel contorno faceva tosto conoscere se le monete avessero subito quella tosatura o stronzatura, di cui si lagnano non pochi documenti del tempo: e vediamo per la prima volta sostituiti gli antichi punti o segni dalle iniziali dei massari, per mezzo delle quali si possono rilevare gli anni della battitura, quando non sono interrotti gli elenchi di quei magistrati, che ci furono tramandati dagli antichi registri, di cui mancano alcuni volumi.

Per completare la storia numismatica di questo periodo è necessario parlare di altra nuova moneta coniata dai veneziani per comodo del commercio e dei loro possessi orientali: è il farnese, che, poco conosciuto dagli studiosi del secolo scorso, fu degnamente illustrato da Cumano e da Lazari dopo un fortunata rinvenimento seguito in Morea nel 1849.

Le monete francesi, e principalmente quelle di Tours, erano divenute assai popolari in Levante durante le crociate, e gli avventurosi cavalieri che si erano impadroniti dell’Acaja, di quasi tutto il Peloponeso e di altre provincie vicine, avevano introdotti negli effimeri principati, conquistati con poveri mezzi, ma con molta ardire, una moneta che imitava perfettamente il denaro tomese, avendo da un lato la croce e dall’altro il celebre ed emblematico castello che si vede sulle monete di Tours. Attorno al castello si leggono i nomi delle principali signorie franche della Grecia come Tebe, Damala, Lepanto, Corfù, Tino, Scio ecc., ma la officina più antica e più importante fra esse era certamente quella di Chiarenza, capitale politica ed amministrativa del principato di Acaja, fondato da Goffredo di Villehardouin, che divenne sotto i suoi successori una città prosperosa, residenza di una corte feudale celebre per la sua magnificenza. Della antica grandezza oggi non rimane, presso l’umile villaggio, cui fu tolto perfino il nome, che una torre diroccata e le rovine del Castello Tornese, dove senza dubbio era piantata la zecca, da cui uscivano abbondantissimi quei denari, che nei secoli XIII e XIV ebbero rinomata diffusione in tutto l’Oriente.

[p. 178 modifica]Torna opportuno, a proposito dell’origine del tornese levantino, riprodurre le parole con cui Marino Sanuto, nella Istoria del Regno di Romania17, racconta il viaggio di Guglielmo di Villehardouin a Cipro per fare omaggio a S. Luigi re di Francia, che si recava in Palestina nell’inverno 1249: «Intendendo il principe Guglielmo che il Re passava in persona, volse andar egli a passarvi con circa 24 tra gallere e navilj e con 400 boni cavalli passò al Re. E dicendo egli al Re: Signor Sir tu sei maggior signor di me e puoi condur gente dove vuoi e quanta vuoi senza denari: io non posso far così. Il Re gli fece gratia ch’el potesse battere torneselli della lega del Re mettendo in una libbra tre onze e mezza d’argento.» Senza occuparci di quanto possa esservi di vero nella leggenda o tradizione ricordata dal celebre diarista veneziano, l’epoca ivi segnata concorda colle monete, non sembrando che il tornese sia stato coniato in Acaja se non dopo il 1250.

Altre notizie importanti delle monete che correvano in quei paesi possiamo rilevare dal diligentissimo Pegolotti, il quale dedica a Chiarenza il capitolo XIII, ove dice: «In Chiarenza e per tutta la Morea vanno a perpero sterlini 20, e gli sterlini non vi si vendono, nè vi si veggiono, ma spendonvisi torneselli piccioli che sono di lega oncie due e mezza d’argento fine per libbra, ed entrane per libbra soldi 33 denari 4 a conto e ogni denari 4 de’ detti tornesi piccioli si contano per uno steriino; e gli tre sterlini un grosso viniziano di zecca di Vinegia e gli 7 grossi un pipero (iperpero)..... La moneta di Chiarenza chiamasi..... tornesella picciola.»18

Da questo paragrafo importante si rileva che il tornesello era la sola moneta reale coniata nel paese e la vera base del sistema monetario, che 4 torneselli formavano uno sterlino, moneta meramente ideale, e che 20 steriini formavano un iperpero, il quale doveva essere una moneta di conto, che aveva [p. 179 modifica]il valore di un bisante di Costantinopoli, o forse lo stesso bisante degli imperatori greci, il quale continuava ad essere in corso in tutti i paesi che avevano fatto parte dell’antico impero.

I veneziani, che dopo la conquista di Costantinopoli avevano ottenuto il predominio commerciale e monetario in Oriente, si trovarono danneggiati nei loro interessi dalla introduzione del denaro tornese, che soddisfaceva al bisogno di moneta spicciola. Di questa preoccupazione si scorgono le traccie nei lagni espressi in parecchi documenti della prima metà del secolo XIV, non solo per le imitazioni di monete veneziane, ma anche per le nuove monete introdotte dai principi di Romania.

Dopo di avere provveduto ad una migliore sistemazione della moneta piccola di argento fino, colla emissione dei nuovi mezzanini e dei nuovi soldini, il Senato, o la Quarantia, pensarono che sarebbe tornato vantaggioso al Comune di fabbricare anche delle monetine di poco valore sul tipo del tornesello dell’Acaja; fabbricazione alla quale si mirava forse fino dal giorno in cui si pensò di aprire una officina in Corone o Modone, ma che non fu posta in esecuzione se non negli ultimi anni del principato di Andrea Dandolo, quando le circostanze erano più favorevoli per le guerre e l’anarchia che desolavano il Peloponeso.

I torneselli veneziani somigliano a quelli di Chiarenza nel peso, nella forma ed anche nella lega, alquanto inferiore a quella indicata dal Pegolotti. Sul diritto hanno la croce patente col nome del principe; ma, invece del castello da cui traggono il nome, portano il Leone di S. Marco per la prima volta colle ali, accosciato in quella forma che dal nostro popolo fu detta leone in molleca, ed in termine di zecca leone in soldo, colla leggenda espressiva VEXILIFER VENETIARVM.

Sebbene non si conosca la legge con cui fu ordinata la coniazione del tornese, possiamo essere certi che nella zecca di Venezia e non altrove essa fu cominciata dopo la metà del secolo XIV. Ne abbiamo la prova in una istanza del 20 giugno 135419 di [p. 180 modifica]Giovanni intagliatore «che da cinque anni lavora ad incidere i coni secondo gli ordini ricevuti, ed ora è occupato da mattina a sera per i tornesi che in questo momento si fanno in zecca». In breve tempo il tornese incontrò tanto favore e se ne coniò tale quantità, che uno dei massari fu detto massaro ai torneselli, perchè destinato a sorvegliare quella fabbricazione, e così pure troviamo nominati uno scriba ad tornesellos ed un pesatore ad tornesellos.



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MONETE DI ANDREA DANDOLO


1. — Ducato. Oro, titolo 1.000: peso grani veneti 68 52/67 (grammi 3.559).

         D/ S. Marco porge il vessillo al doge ANDR · DANDVLO, lungo l’asta DVX, dietro il Santo · S · M VENETI

         R/ Il Redentore benedicente in un’aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra · SIT · T · XPE · DAT · Q · TV      REGIS · ISTE DVCAT/

Tav. X, n.° 7.

2. — Grosso. Argento, titolo 0.965: peso grani veneti 42 1/10 (grammi 2.178).

         D/ S. Marco porge il vessillo al doge · ANDR · DANDVLO · lungo l’asta DVX, a destra · S · M · VENETI ·

         R/ Il Redentore in trono IC XC

Tav. X, n.° 8.

Segni, o punti dei Massari della moneta.

3. — Mezzanino di nuovo tipo (16 denari o piccoli), Argento, titolo 0.96520: peso grani veneti 15 1/2 (gram. 0.802).

         D/ A sinistra S. Marco, nimbato in piedi, vestito di abiti sacerdotali ed il vangelo nella sinistra, colla testa di 3/4 si volge a destra e riceve dal doge, pur in [p. 182 modifica]piedi, ma di profilo, un cereo che questi gli porge con ambe le mani. Il principe con ricco manto, ornato di pelliccia, ha il capo coperto dal berretto ducale. Nel campo sotto il cereo, fra le due figure, una lettera, che è l’iniziale del massaro. Dietro il doge AN · DADVK · in mezzo DVX, dietro il santo · S · M · VENE ·

         R/ Gesù Cristo di fronte, con nimbo crociato di forma greca, sorge dal sepolcro ponendo a terra la gamba destra. E coperto di lunga veste che gli svolazza sul fianco, stringe nella sinistra la croce e nella destra un vessillo che ondeggia a sinistra. Sul sepolcro sono scolpite quattro croci, attorno · XPE · RES VRESIT ·

Tav. X, n.° 9.
Iniziali dei massari A AR B D F JH on P S £

4. — Soldino vecchio. Argento, titolo 0.670 circa: peso grani veneti 18 1/2 (grammi 0.957).

         D/ Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo + · ANDR DAN DVLO DVX

         R/ Leone rampante, coll’orifiamma
+ · S · MARCVS · VENETI

Tav. X, n.° 10.


5. — Soldino nuovo. Argento, titolo 0.96521: peso grani veneti 10 66/100 (grammi 0.552).

£0 II doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo · + · ANDR · DAN · DVLO · DVX ·

R Leone rampante coll’orifiamma in un cerchio, attorno
       + · S · MARCVS · VENETI ·
nel campo l’iniziale del massaro.

Tav. X, n.° 11.
Iniziali dei massari Ol 8
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6. — Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0.19022 circa: peso grani veneti 6 1/2 (grammi 0.336): scodellato.

         D/ Croce in un cerchio + · AN DAN DVX ·

         R/ Croce in un cerchio + · co · MARCVoo ·

Tav. X, n.° 12.

7. — Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0.040 circa: peso grani veneti 7 (grammi 0.362).

         D/ Croce accantonata da quattro punti + ANDR · DAN ... DVX

         R/ Busto di S. Marco di fronte + · S · MARCVS ·

Raccolta Papadopoli Tav. X, n.° 13.


8. — Tornesello Mistura, titolo 0.130 circa: peso grani veneti 14 (grammi 0.724).

         D/ Croce patente in un cerchio, attorno
+ : ANDR : DANDVLO : DVX :

         R/ Leone accosciato sulle gambe posteriori, tenendo colle anteriori il vangelo, il tutto in un cerchio, attorno + VEXILIFER : VENECIAS

Tav. X, n.° 14.

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ANDREA DANDOLO:

Santinelli S. — Opera citata, pag. 271-272 e 274 (disegno pag. 271); ed in Argelati, Parte I, pag. 300 e 301.

Köhler I. D. — Opera citata, Tomo XIV, pag. 153-160.

Muratori L. A. — Opera citata, Dissert. XXVII, col. 649-652 n.’ X, XI e XH, ed in Argelati, Parte I, pag. 48, tav. XXXVII n.i X, XI e XII.

Carli Rubbi G. R. — Delle monete etc., opera citata, Tomo I, pag. 414, tav. VI, n,® HL

Bellini V. — De monetis Italice eie., opera citata, Dissert. I, pag. 102 e 108 n.° XV; ed in Argelati, Parte V, pag. 30 e 32, n.° XV.

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(Duval et Fröhlich)Monnies en or etc., opera citata, pag. 275.

Gaetani P. A.Museum Mazzuchellianum. Venetiis 1761-63, Tomo I, tav. VII, n.1 7, 8

Gradenigo G. A. — Indice citato, in Zanetti G. A. Tomo II, pag. 171-172 nJ XXXIX, XL, XLI, XLII, XLIII, XLIV, XLV, XLVI, XLVII, e XLVIII.

Appel J. — Opera citata, Vol. III, pag. 1122-1123, n.f 3928 3924, 3925.

Pfister J. G. — Opera citata — The Numismatic Journal, Vol. II, 1837-1838, pagine 214, 215, tar. a pag. 201.

Bellomo G.La pala d’oro considerata sotto i riguardi storici, archeologici ed artistici, etc. Venezia 1847, pag. 42 e 64-65 (nota 39), tav. II, n. 1.

Zon A. — Opera citata, pag. 30, tav. I, n. 13.

Schweitzer F. — Opera citata, Vol. L P&g- 103-104 (162 a 196) e tavola.

Cumano D.r C.Numismatica, articolo del foglio «L’Istria», Anno V, n.° 11, sabato 16 marzo 1850.

       —        — Illustrazione di una moneta argentea di Scio, sul disegno del Matapane di Venezia. Trieste 1852, pag. 32, 88, 40 e 43. (In questo opuscolo è riprodotto l’articolo del giornale «L’Istria»).

Lazari V.Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e di terraferma. Venezia 1851, pag. 65-69 e 169.

Kunz C. — Catalogo citato, pag. 8.

Orlandini G. — Catalogo citato, pag. 5.

Biografia dei Dogi — Opera citata Doge LIV.
Numismatica Veneta

Padovan e Cecchetti — Opera citata, pag. 16 e 85.

Wachter (von) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Vol. III 1871, pag. 228-231, 254 Vol. V 1873, pag. 200-201 e Vol. XI, 1879 pag. 130.

Schlumberger G.Numismatique de l’Orient latin, Paris 1878, pag. 312,471-472.

Padovan V. — Opera citata, edizione 1879, pag. 18-19 e 123-124 — Archivio Veneto, Tomo XII, pag. 99 e Tomo XIII pag. 147 — terza edizione 1881, pag. 15 e 89.



Note

  1. Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all’argento, carte 27.
  2. R. Archivio di Stato. Commemoriali reg. IV, carte 88 tergo.
  3.                 ivi                 Quarantia Criminale, Parti, Reg, Il c, 26 tergo.
  4.                 ivi                                   ivi                      ivi                   » 47
  5.                 ivi                                   ivi                      ivi                   » 48 a 51.
  6. R. Archivio di Stato. Quarantìa Criminale, Parti, Reg. II c. 51.
  7. Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all’argento, carte 27 tergo.
  8. R. Archivio di Stato. Quaraniia Criminale, Parti, Reg. II c. 85.
  9. Capitolare dei massari all’argento c. 28 t. — Capitolare Uff. del Levante (Codici ex Brera 263) c. 53. — Capitolare del Cattaver, capit. XXXIV c. 94
  10. R. Biblioteca di S. Marco, Cod. 1800, Classe VII Ital. pag. 138.
  11.                      ivi                      pag. 140.
  12.                      ivi                      Cod. 40, Classe VII Ital. pag. 257.
  13.                      ivi                      Cod. 125,           »            carte 531 (88).
  14.                      ivi M. Sanuto Cronaca Veneta e Vite dei Dogi, Codice 800, Classe VII ital. carte 1941.
  15. Archivio dei Provveditori in Zecca Reg. 18: Scartafaccio di Memorie di Francesco Marchiori maestro di zecca, 1748, carte 18.
  16. R. Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti Reg. II, c. 75.
  17. Hopf Charles. Chroniques gréco-romanes inédites ou peu connues etc. Berlin 1873, pag. 98. — R. Biblioteca di S. Marco, codice DCCXII, It. cl. VII.
  18. Pegolotti F. B. Opera citata, pag. 106-108.
  19. R. Archivio di Stato. Maggior Consiglio Grazie, Registro XIII, carte 46 t.
  20. L’esame chimico fatto dall’ufficio del saggio di Venezia dà il titolo di 0.968.
  21. L’esame chimico fatto dall’officio del saggio di Venezia dà il titolo di 0,973.
  22. L’esame chimico fatto dai Morin Frères di Parigi dà il titolo di 0.190.
Bartolomeo Gradenigo Marino Falier