Le inquietudini di Zelinda/Nota storica
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NOTA STORICA
Dopo les Aventures de Camille et d’Arlequin, dopo la Jalousie d’Arlequin, il pubblico parigino applaudiva sulla fine del 1763 la terza parte della trilogia, les Inquiétudes de Camille. Fin dal 10 dicembre l’autore scriveva al marchese Albergati: "Martedì prossimo si deve dare la terza in seguito delle altre due suddette, e sarà intitolata: L’inquietudine di Camilla. I commedianti la credono superiore alle due sorelle; se il pubblico è della stessa opinione, il terno sarà per me favorevole " (Spinelli, Fogli sparsi del Gold., Milano 1885, p. 61). I felici presentimenti si avverarono. Fosse la novità della cosa, fosse l’ammirazione per il mirabile e straordinario sforzo compiuto dal commediografo veneziano, fosse la potenza veramente drammatica di alcune scene, fosse la bravura stessa di Carlo Bertinazzi e di Camilla Veronese, interpreti eccellentissimi, il Goldoni potè godere anche in Francia, fra le vecchie mura della Comédie Italienne, un pieno e meritato trionfo. Col cuore tuttavia palpitante di gioia, il buon dottor veneziano partecipava il 27 dicembre la bella notizia all’amico Gabriele Cornei, a Venezia: "Sia ringraziato e benedetto il Cielo, ora sono contento. La terza Commedia è andata in scena oggi passato, ed ha fatto uno strepito sì grande e sì universale, che non ho termini bastanti per ispiegarlo. Le altre due avevano fatto assai, e questa ha fatto tutto. Le altre due avevano i suoi parziali, e questa ha tutti per lei. S’io vi dicessi le cose che dicono di questa commedia, con tutta l’amicizia, che avete per me, non potreste perdonarmi l’eccesso delle mie proprie lodi... Io ho sentito cose al Foyer del teatro, dopo la Commedia, che mi hanno fatto stordire" (Masi, Lettere di C. G., Bologna, 1880, p. 231). E con più calma il 10 gennaio successivo, all’Albergati: "Ora le dirò, che anche la terza commedia in seguito delle due suddette, cioè l’Inquiétude de Camille, ha incontrato estremamente, ond’ecco con tre commedie stabilita la mia reputazione a Parigi" (Masi, l. c, pp. 233-4).
Serve di degno commento alle parole del Goldoni questo frammento di Grimm, dalla Correspondance littéraire etc. (1 gennaio 1764): "J’ai eu l’honneur de vous parler des Amours d’Arlequin et de Camille, comédie que le célèbre Goldoni a faite il y a quelque mois pour le Théâtre Italien. Ce poète, aussi ingénieux que fécond, a imaginé de donner deux suites à cette pièce, qui ont eu aussi le plus grand succès. L’auteur a su, avec un art merveilleux, entrelacer les affaires domestiques de la famille du feu M. Pantalon avec les affaires de coeur d’Arlequin et de Camille: car ce testament du défunt produit dans le cours de la pièce une transaction entre la veuve et le fils du testateur, à laquelle Arlequin et Camille accedent. Cette piece est un chef-d’oeuvre de naturel, de vérité, d’imagination et de finesse, mais il faut la voir jouer, et il n’est pas possible d’en donner une idée par un extrait. Il y a quelques scènes si vraies et si pathétiques entre Arlequin et Camille, qu’on ne peut s’empecher de pleurer à chaudes larmes; il est vrai quelle a été parfaitement bien jouée. Si vous voulez savoir quels sont les meilleurs acteurs de Paris, je ne nommerai ni Le Kain, ni M.lle Clairon; mais je vous enverrai voir Camille et l’acteur qui joue ordinairement le rôle de Pantalon [Collalto], et qui fait dans cette pièce-ci celui d’un avocat honnête homme; et vous direz: Voila des acteurs. Vous admirerez aussi la fecondité du poète, lorque vous aurez observé qu’il fait une pareille pièce en un mois ou six semaines de temps" (Paris, ed. Tourneux, vol. V, 1878, pp. 431-3; cit. in parte da Rabany. C. G., Paris, 1896, p. 360). Giudizio importante, perchè si tratta di attori italiani e perchè Grimm non fu mai in grado di poter apprezzare degnamente Goldoni, ch’egli soltanto credette abile nel formare e sciogliere un intreccio ridicolo.
Ascoltiamo anche l’amico di Goldoni, Filippo de la Garde, uno dei nove compagni della Società dei Domenicali (Mémoires, P. III, ch. 5), il cronista dei teatri nel Mercure de France (gennaio 1764): "Le lendemain Mardi 20 [dicembre] on donna sur le même Théâtre la première représentation de l’Inquiétude de Camille, Comédie Italienne, seconde suite et conclusion des Amours d’Arlequin et de Camille par M. Goldoni. Celle-ci loin de céder en rien aux autres, semble au contraire avoir généralement entrainé encore plus de suffrages. Le pathétique en est si naturellement lié au comique, qui nait de la naiveté des deux Personnages intéressans, que le coeur est incessamment partagé entra deux sentimens opposes; mais qui, par un art qu’on ne sçauroit trop admirer, se réunissent pour le plaisir continuel du Spectateur. Plus on aime, plus on connoit ce grand art de la véritable et bonne Comédie, plus on admire les rapports réguliers des caractères et de l’action, de cette dernière suite, avec les précédentes, plus aussi on regrette ce que font perdre les interruptions qu’occasionne dans chacune, le talent, fort agréable en soi, mais déplacé, de la meilleure Cantatrice. Nous comptons donner une idée de ce Drame singulier, dans une courte Analyse, qui mettra du moins les Lecteurs en état de juger par eux-mêmes du génie de son célèbre Auteur, et de la justesse de nos éloges". Ma questa analisi non fu stampata e non ne sappiamo più niente. E ora lasciamo libero sfogo all’entusiasmo del buon Des Boulmiers, che nel t. VII della sua Histoire anecdotique et raisonnée du Théâtre Italien (Paris, 1769), dopo averci dato il ricco e prezioso riassunto dei tre canovacci goldoniani, chiudeva con sì fatto commento: "C’est avec le plus grand regret, que porte à me proportionner à la forme de cet ouvrage, je me suis vu contraint à reduire les grandes beautés de ces trois Comédies. Je désire en avoir conserve quelque trait qui puisse en donner une idée favorable au Lecteur; mais je le préviens que c’est entièrement de ma faute, s’il n’en a pas la plus grande opinion. Jamais intrigue ne fut mieux conduite, le plus petit ressort concourt au mouvement général: la verité, la nature et le sentiment se font sentir à chaque scène. On est toujours surpris agréablement de ce que le moyen le plus simple produit la situation la plus intéressante. Le genie se montre partout, mais sage et conduit par la raison; nous ne craignons point de reproche en donnant à ces trois Drames une place à côte des meilleurs ouvrages de notre Théâtre. C’est le seul éloge que nous osons nous permettre, car il faudrait être Molière pour louer dignement M. Goldoni". Si capisce come l’autore, contento dell’opera sua, si sentisse invogliato a trasportare la trilogia amorosa sui teatri di Venezia, trascrivendo per intero il dialogo dei personaggi, come faceva un tempo quando erasi accinto a stampare le sue commedie (vedasi cit. lett. allo Sciugliaga, dei 17 gennaio 1764: Mantovani, C. G. e il teatro di S. Luca, Milano, 1885, specialmente a pag. 207). Ma le Inquietudini di Zelinda non giunsero sulle lagune prima del novembre 1764 e soltanto agli 11 di gennaio del ’65 furono portate sulla scena. Sotto questa data trovo infatti stampato nel Diario Veneto: "S. Salvatore (così in antico dicevasi il teatro di S. Luca) L’Inquietudini di Zelinda C. N. [commedia nuova] del signor dottor Goldoni, in seguito delle Gelosie di Lindoro". Si replicarono una sera sola; e si dovettero quindi ripescare nel vecchio repertorio il Sior Todero e la Merope. Il Gradenigo nei suoi Notatorj si mostra, pare, poco esatto, anticipando al giorno 8 la recita della Inquietudine di Zelinda, e ripetendo nel 12: "Nel Teatro di S. Luca si recitarono l’Inquietudini di Zelinda, Commedia nuova del Dottor Carlo Goldoni, il quale pure compose gli amori della stessa Donna con un tale Lindoro, non che la Gelosia del suddetto Lindoro con Zelinda medesima". Nello stesso giorno poi attribuisce ai comici del teatro di S. Gio. Grisostomo li Amori disturbati dalla Gelosia che sarebbero questa stessa commedia o quella precedente, mentre risulta dal Diario Veneto che la compagnia Medebach deliziava quella sera il pubblico con un qualunque Tartaglia combattuto dal dovere.
Esito dunque infelice: su ciò non vi ha dubbio. La lontananza dell’autore e la pessima volontà degli attori fecero naufragare tutta quanta la trilogia goldoniana. Lo Sciugliaga, non ignaro di faccende teatrali, a cui l’amico Goldoni aveva affidato procura presso il teatro di S. Luca e che disimpegnava con zelo l’assunto, avvertiva S. E. Vendramin il 10 gennaio: "Ho penetrato che nella terza Commedia quegli che fa d’avvocato trova a proposito d’omettere alcune parole. Ciò non può piacere all’autore ecc." (Mantovani, l. ce, 233-4). Ma chissà quante altre omissioni e alterazioni più gravi, che noi non conosciamo, vennero perpetrate da parte di quegli attori sempre maldisposti, per ingrate ragioni, contro il povero riformatore del teatro comico!
Convien credere che per lunghi anni la trilogia di Zelinda e Lindoro rimanesse dimenticata da tutti. Nelle sue Memorie (1787) e l’autore ormai vecchio se ne sbrigò con poche righe (P. 3, cap. II). Ma l’anno seguente (1788), iniziandosi presso lo stampatore Zatta la nuova e più completa raccolta delle sue Opere teatrali, il Goldoni offerse ai lettori nel primo tomo, quasi in dono, la commedia fino allora inedita degli Amori, e nel tomo secondo Le Inquietudini di Zelinda che nella stampa precedettero, per errore, la Gelosia di Lindoro. Poco dopo, i due innamorati dovettero risalire sulle scene veneziane: ma la prima recita sicura che io posso segnare delle Inquietudini è quella del 19 ott. 1797, sul teatro di S. Luca, per merito della compagnia Perelli (sotto il titolo Le smanie di Zelinda per Lindoro: v. Giorn. dei Teatri di Venezia): la quale seguì alla recita degli Amori già ricordata (v. pag. 105 del presente volume). Ma questa terza parte della trilogia non incontrò molto favore presso il pubblico, oppure fu abbandonata dagli attori che mostrarono preferenza per le due precedenti e, più di tutte, per la seconda, come vedemmo. Fu cara tuttavia alla compagnia del vecchio Modena e qualche recita troviamo sfogliando la Gazzetta Privilegiata di Venezia: 31 ottobre 1821 (a S. Benedetto, la sera seguente alla recita delle Gelosie: prima attrice Amalia Vidari), 5 settembre 1628 (a S. Benedetto), 15 marzo 1830 (a S. Luca). Dallo stesso giornale (27 settembre 1828) stralciamo alcuni periodi sul grandissimo artista italiano, da un articolo di Tommaso Locatelli: "Con sì scarso numero di buoni attori ognun vede che la compagnia Modena non può far bene il suo fatto... Duolci veramente che al giovane Modena non s’apra un arringo degno di lui. Tolto dall’amore dell’arte al più modesto cammin delle leggi, egli recò su quelle un ingegno ben istituito ed una compiuta coltura... Lontano egualmente da ogni scuola, come da ogni personale imitazione, ei felicemente ribellossi a quelle malaugurate cantilene, ai predicamenti, a que’ subitanei passaggi da’ tuoni più gravi a’ più acuti, a cui certi comici hanno posto un così grand’amore. La sua scuola è la natura... Il giovine Modena non solo coglie in tutte le sue parti il criterio dell’autore, ma ne sviscera, per così esprimermi, e ne colora le immagini, con la espressione ed i cenni... Nè di lui sapremmo dire se le sue felici disposizioni lo portassero più al genere tragico che al comico; certo nelle Gelosie di Lindoro e nelle Inquietudini di Zelinda noi lo abbiamo veduto rendere i Lindoro con una verità ed una naturalezza senza pari. La sua maniera di porgere nella commedia è quale s’addice ai nobili ragionamenti della buona società, senz’enfasi, senz’alzamento di voce, e costringendo gli spettatori al silenzio, unico segnale ormai non equivoco dell’approvazione del pubblico... Il Brenei, unico attore della Compagnia dopo i due Modena, vale molto più nella buona commedia che nella tragedia. Noi lo vedemmo fra l’altre nella seconda delle due commedie del Goldoni più sopra citate, ed ei rappresentò a meraviglia il personaggio dell’onesto avvocato".
Ogni opera teatrale porta fatalmente con sè qualche segno caduco dei tempi. La presente commedia consta di due temi separati, quasi di due parti: la lettura del testamento di don Roberto e la gelosia di Zelinda e Lindoro. Ora alla prima parte non rimane più forza vitale sul teatro moderno. La satira di don Flaminio e di donna Eleonora, il figlio e la vedova del defunto, oppure quella del procuratore Pandolfo, il litigante, più antica delle Vespe d’Aristofane, potevano a malapena allettare l’attenzione del pubblico sulla metà del Settecento: qui anche un lettore cerca invano e desidera la grande arte di Molière. Ci passano davanti altri ricordi del teatro goldoniano: il testamento dell’Erede fortunato (vol. III) che il notaio corregge col consenso delle parti, per favorire il matrimonio di Rosaura con Ottavio; l’odioso dottor Buonatesta nel Cavaliere e la dama (vol. III) e il dottor Balanzoni nei Puntigli domestici (vol. VIII); infine l’intemerato Casabuoni, il vero Avvocato veneziano (vol. III), e il buon Isidoro, il coadiutore delle Baruffe chiozzotte (vol. XX), in altre parole l’avvocatino Carlo Goldoni, amante dell’onesto, del giusto e delle belle donne. Ed è questa infatti, tra i personaggi minori della commedia che si aggirano intorno al tema del testamento, la figura più originale e quella che pare riuscisse meglio sulla scena. Pandolfo è una felice macchietta che stanca presto (v. anche Momigliano, La comicità e l’ilarità del Goldoni, in Giorn. stor. della lett. it., 1° semestre 1913, p. 218).
Ma nel descrivere le nuove gelosie dei due giovani sposi, di Zelinda e Lindoro, l’autore spiega ancora la potenza inesauribile della sua fantasia e dell’arte comica. Come mai, dopo la Gelosia di Lindoro, il Goldoni abbia potuto creare un’altra commedia nel piccolo "mondo" dei due giovani innamorati, nessuno dei vecchi biografi e critici goldoniani sembra essersi domandato. Il procedimento di cui fa uso lo scrittore nostro nel ridestare e rinnovare l’azione, non poteva sfuggire all’acuta analisi di Attilio Momigliano. "Nella trilogia di Lindoro una delle cause più generali di comicità è che nella terza commedia si ripete, colle variazioni necessarie, come fondamentale la scena fondamentale della seconda" (l. c, p. 223). Altra ripetizione, secondo il Momigliano, "il rinnovarsi continuo del medesimo sentimento: esempio Zelinda occupata solo dal timore che Lindoro non la ami più. Anzi ne Le inquietudini di Zelinda tutta la comicità consiste nella ripetizione costante dei due motivi fondamentali: da una parte la preoccupazione di Lindoro di mostrarsi guarito dalla sua gelosia, dall’altra il timore di Zelinda che la cessazione della gelosia significhi la cessazione dell’amore: due preoccupazioni comiche perchè son false tutte due e perchè costituiscon tutte due il rovescio perfetto delle condizioni psicologiche dei protagonisti nella commedia antecedente". "Qui siamo già" continua il giovane critico con bellissime osservazioni, "nella più alta comicità del Goldoni, nella comicità del tema della commedia. La trilogia di Lindoro è nel suo comico motivo psicologico una delle più profonde concezioni goldoniane: ma lo sviluppo artistico è spesso manchevole, specialmente nell’ultima commedia che psicologicamente è la più importante. Lindoro, vedendo che la sua gelosia tormenta Zelinda, fa l’impossibile per nascondergliela: e allora Zelinda che prima soffriva di quella gelosia, teme che Lindoro non la ami più e lo prova in tutti i modi per aver la gioia di scoprirlo ancora geloso. L’ultima commedia fa l’effetto d’un caponascondere fra marito e moglie: l’uno vuol celare all’altra quel che l’altra vorrebbe scoprire; e lui non sa che lei voglia scoprire, e lei non sa che lui voglia celare: sicchè Zelinda e Lindoro son come due punti che s’allontanano quanto più cercan d’avvicinarsi. Quello di questa trilogia è un motivo profondo che nasce da una riflessione scettica sottintesa; ma è spesso esagerato in modo da sembrare una finzione" (l. c, pag. 224). Lindoro dunque si vergogna in questa commedia della propria gelosia, torna ad essere il geloso non geloso, si avvicina ancora più al don Roberto della Dama Prudente, vuole occultare la sua passione a Zelinda stessa che a sua volta è presa per lui dalle smanie gelose. Di qui uno dei segreti del riso comico goldoniano: "i malintesi che si prolungano anche per tutt’una commedia (vedi, p. es., Le inquietudini ecc.) e che il Goldoni ingigantisce con una fecondità inesauribile se non sempre irreprensibile, nell’accumular gli indizi, finchè spesso trova, con una spontaneità maravigliosa e quando non ce l’aspettavamo più, un particolare minimo che basta a sgombrare in un attimo l’azione da tutte le reti degli equivoci" (Momigliano, l. c, 222). E vi è un po’ d’amarezza in questo riso, in questa arguta commedia della vita umana tormentata non solo dai mali pur troppo reali, ma anche dai mali che non esistono, anche dagli scherzi crudeli della stessa felicità.
Vediamo ora come riuscì artisticamente questa volta il Goldoni. Già Carlo Dejob ebbe a notare la "molta finezza e per dir così l’affettuosa malizia" con cui il commediografo veneziano aveva dipinto "il progresso di questi due sentimenti rispettivi" nell’animo di Lindoro e di Zelinda (Les femmes dans la comédie etc, Paris 1889, p. 333). Altrimenti giudicò il Momigliano in un precedente articolo dove prese a studiare I limiti dell’arte goldoniana: "La commedia dell’arte lo travia sopratutto negli espedienti comici, gli fa dimenticare che sta scrivendo una commedia seria, gliene guasta anche qualcuna buona, come Le smanie per la villeggiatura e gli cambia le Inquietudini di Zelinda in una buona farsa, in cui è naufragata qualche intenzione di commedia profonda. In questa è chiara l’origine della cattiva comicità dal teatro dell’arte, poichè da prima era uno scenario" (Scritti varj ecc. in onore di R. Renier, Torino, 1912, p. 83). - Il Momigliano non ha voluto vedere la profonda differenza che corre fra uno scenario del Locatelli, o anche del Gherardi, e gli scenari goldoniani degli amori d’Arlecchino e Camilla; e sembra condannare con una sentenza troppo assoluta tutto il teatro dell’arte. Ma vi è un teatro dell’arte di cui possiamo a ragione vantarci, ricco veramente di buon riso comico, dal quale anche Molière ha imparato qualche cosa, come pure vi sono buffonerie e trivialità e assurdità degne di oblio. Ora a me pare che le Inquietudini di Zelinda siano proprio una "commedia seria", almeno come intendo io, non già, per fortuna, come intendevano Destouches o Lachaussée: benchè tale espressione sia poco felice.
Certo il Goldoni non ebbe intenzione di scrivere una tragedia, nè, come si disse poi, un dramma: bensi il riformatore del nostro teatro si attenne a quel tipo di commedia che aveva in mente e che era, diciamo così, suo, di cui aveva dato altri insigni modelli nella Locandiera, negli Innamorati ecc. Nessuno, pare a me, si accorge di uno scenario primitivo, nè avverte di cadere nella farsa; non più, credo, di chi legga i capolavori di Molière o di qualunque altro grandissimo scrittore comico. Che se dal teatro a soggetto proviene, per esempio, la scena muta di Zelinda in principio del secondo atto, evviva il teatro a soggetto! - Vero é che l’arte di Carlo Goldoni si risveglia e crea nuove meraviglie ogni volta che l’autore si trova solo coi due innamorati: e forse non mai il commediografo veneziano seppe dipingere con tocchi più vivi l’amore. Si badi però che il Goldoni nelle sue commedie ci rappresenta l’amore come un tormento, che sorge sotto lo stimolo del capriccio femminile o della gelosia: le sue più famose scene d’amore sono scene di gelosia. E una delle più belle di tutto il suo teatro è certamente la penultima del secondo atto fra Lindoro e Zelinda, dove dagli occhi della giovine sposa piovono veramente lacrime e il fazzoletto n’è tutto bagnato: grande scena fra il riso e il pianto, come nella vita, degna di essere interpretata solo da attori grandissimi; scena piena di verità e di passione umana, che anche sul teatro di Parigi dovette strappare gli applausi e far dimenticare al pubblico il vestito d’Arlecchino, trasportandolo nel regno glorioso della poesia. La povera Zelinda resta sola, confusa, a recitare le misteriose parole che chiudono l’atto. Ma anche altre scene vorrei ricordare, frammenti aurei d’una commedia ormai abbandonata. Penso a un altro soliloquio di Zelinda, a quello che comincia: "Quest’abito che mi piaceva tanto! ecc."; e che contiene anch’esso un piccolo dramma del cuore umano. Arte sincera, arte rara, arte che non trovate nel teatro prima del nostro autore, arte tutta goldoniana! (Si veda pure il critico gi.mi., Gigi Michelotti, della Stampa, citato nella Nota storica della Gelosia di Lindoro. Così Riccardo Bacchelli, nel Resto del Carlino, 14 giugno 1922, ripone "sotto gli occhi", riferendo per intero, il monologo di Zelinda in fine del secondo atto).
Dei tesori nascosti qua e là in questa imperfetta commedia, stesa con troppa baldanza dal buon dottore, si avvidero in principio del secolo scorso due scrittori di teatro, il Giraud e il Nota. Il primo ne trasse una commediola di un atto (ed. 1816, nel Teatro domestico), a tre personaggi, svelta, carina, ma troppo leggera in verità, della quale il pubblico italiano s’innamorò subito. "Raccontano che alla prima rappresentazione de I Gelosi fortunati, datasi nel teatro del Cocomero in Firenze, ora teatro Niccolini, il pubblico ne volesse immediatamente la replica, nella stessa sera. Adelaide Ristori, che per questa commedia nutriva una predilezione speciale, la mantenne fino alla fine nel suo repertorio di bravura" (Costa, pref. alle Commedie scelte di Gio. Giraud, Roma, 1903, p. 82). "La tela tenuissima riprende in parte gli ultimi episodi de Le Inquietudini di Zelinda e fu poi ripresa dal povero Giacinto Gallina in quel graziosissimo scherzo L’Amor in perrucca" (p. 83). - A Giulio de Frenzi [Luigi Federzoni] i Gelosi parvero pure "una deliziosa commediola di pretto sapor goldoniano" ricavata "con arte efficace" dagli "episodi passionali" delle due ultime parti di Zelinda e Lindoro (v. Un commediografo banchiere [G. Giraud], Roma, 1901).
Nel 1818 Alberto Nota scriveva le Risoluzioni in amore che nel ’20 si recitarono a Genova e l’anno dopo a Torino, ispirate, confessò nella prefazione l’autore stesso, dal Dépit amoureux di Molière, dagli Innamorati e dalle Zelinde di Goldoni (Teatro comico di A. Nota, Cuneo-Tonno, vol. V, 1842, p. 73). Anche qui infatti un minaccioso testamento che si oppone alle nozze di donna Eleonora; anche qui "fin dalla prima scena il pubblico apprende che gli innamorati litigano spesso per ragioni di gelosia, che anzi essi hanno avuto da poco un battibecco violentissimo, la cui soluzione si prevede pacifica; e in tutte e due le Commedie i servi, innamorati anch’essi, seguono le vicende amorose dei loro padroni" (O. Allocco-Castellino, A. Nota, Tonno, 1912, p. 224). Ma il tema della donna che si sente infelice perchè l’amante o il marito non è geloso, diventò volgare nei tempi moderni (come avvertì Schmidbauer, Das Komische bei Goldoni, München, 1906, p. 72) e scivolo nell’operetta.
G. O.
Le Inquietudini di Zelinda furono stampate la prima volta a Venezia l’anno 1789. nell’edizione Zatta (cl. I, t. II) e subito dopo a Livorno (ed. Masi, t. IX, 1789) e a Lucca (Bonsignori, t. XI, 1789); quindi a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1791) e di nuovo a Venezia (Garbo, t. II, 1794). - Abbiamo qui seguito fedelmente il testo dell’ed. Zatta, esemplato su! manoscritto dell’autore, benchè pur troppo non privo di errori; e lo confrontammo con le altre ristampe che derivarono da quell'unica fonte comune.