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procedimento di cui fa uso lo scrittore nostro nel ridestare e rinnovare l’azione, non poteva sfuggire all’acuta analisi di Attilio Momigliano. "Nella trilogia di Lindoro una delle cause più generali di comicità è che nella terza commedia si ripete, colle variazioni necessarie, come fondamentale la scena fondamentale della seconda" (l. c, p. 223). Altra ripetizione, secondo il Momigliano, "il rinnovarsi continuo del medesimo sentimento: esempio Zelinda occupata solo dal timore che Lindoro non la ami più. Anzi ne Le inquietudini di Zelinda tutta la comicità consiste nella ripetizione costante dei due motivi fondamentali: da una parte la preoccupazione di Lindoro di mostrarsi guarito dalla sua gelosia, dall’altra il timore di Zelinda che la cessazione della gelosia significhi la cessazione dell’amore: due preoccupazioni comiche perchè son false tutte due e perchè costituiscon tutte due il rovescio perfetto delle condizioni psicologiche dei protagonisti nella commedia antecedente". "Qui siamo già" continua il giovane critico con bellissime osservazioni, "nella più alta comicità del Goldoni, nella comicità del tema della commedia. La trilogia di Lindoro è nel suo comico motivo psicologico una delle più profonde concezioni goldoniane: ma lo sviluppo artistico è spesso manchevole, specialmente nell’ultima commedia che psicologicamente è la più importante. Lindoro, vedendo che la sua gelosia tormenta Zelinda, fa l’impossibile per nascondergliela: e allora Zelinda che prima soffriva di quella gelosia, teme che Lindoro non la ami più e lo prova in tutti i modi per aver la gioia di scoprirlo ancora geloso. L’ultima commedia fa l’effetto d’un caponascondere fra marito e moglie: l’uno vuol celare all’altra quel che l’altra vorrebbe scoprire; e lui non sa che lei voglia scoprire, e lei non sa che lui voglia celare: sicchè Zelinda e Lindoro son come due punti che s’allontanano quanto più cercan d’avvicinarsi. Quello di questa trilogia è un motivo profondo che nasce da una riflessione scettica sottintesa; ma è spesso esagerato in modo da sembrare una finzione" (l. c, pag. 224). Lindoro dunque si vergogna in questa commedia della propria gelosia, torna ad essere il geloso non geloso, si avvicina ancora più al don Roberto della Dama Prudente, vuole occultare la sua passione a Zelinda stessa che a sua volta è presa per lui dalle smanie gelose. Di qui uno dei segreti del riso comico goldoniano: "i malintesi che si prolungano anche per tutt’una commedia (vedi, p. es., Le inquietudini ecc.) e che il Goldoni ingigantisce con una fecondità inesauribile se non sempre irreprensibile, nell’accumular gli indizi, finchè spesso trova, con una spontaneità maravigliosa e quando non ce l’aspettavamo più, un particolare minimo che basta a sgombrare in un attimo l’azione da tutte le reti degli equivoci" (Momigliano, l. c, 222). E vi è un po’ d’amarezza in questo riso, in questa arguta commedia della vita umana tormentata non solo dai mali pur troppo reali, ma anche dai mali che non esistono, anche dagli scherzi crudeli della stessa felicità.

Vediamo ora come riuscì artisticamente questa volta il Goldoni. Già Carlo Dejob ebbe a notare la "molta finezza e per dir così l’affettuosa malizia" con cui il commediografo veneziano aveva dipinto "il progresso di questi due sentimenti rispettivi" nell’animo di Lindoro e di Zelinda (Les femmes dans la comédie etc, Paris 1889, p. 333). Altrimenti giudicò il Momigliano in un precedente articolo dove prese a studiare I limiti dell’arte goldoniana: "La commedia dell’arte lo travia sopratutto negli espedienti comici, gli fa dimen-