Le donne di casa Savoia/XXVIII. Giuseppina Teresa di Lorena Armagnac

XXVIII. Giuseppina Teresa di Lorena Armagnac

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XXVIII. Giuseppina Teresa di Lorena Armagnac
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[p. - modifica] Giuseppina Teresa di Lorena-Armagnac
Principessa di Savoia-Carignano
1753-1797.
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XXVIII.

GIUSEPPINA TERESA

DI LORENA ARMAGNAC

Principessa di Savoia Carignano

n. 1753 — m. 1794



Giovine Iddia, fra i torbidi
Giorni e il belar di servi
Surta a sfidar la livida
Collera dei protervi.

Cavallotti



P
oiché essa è l’ava paterna del Re Carlo Alberto, poiché fu essa la prima principessa che portò le idee moderne nell’infiacchita Reggia di Savoia, poiché

fu dal suo ramo, che, ringiovanito da succo vitale, l’antico albero risorse più bello, più forte, più nobile e altero, vale la pena di occuparci un tantino di lei, troppo dimenticata, e antesignana della indipendenza e della libertà d’Italia.

Nata il 26 agosto 1753 in Oulz, figlia del Duca Carlo di Lorena Armagnac, sposò giovanissima Vittorio Amedeo, quarto Principe di Carignano (un feudo piemontese situato sul Po a quaranta chilometri da Torino), il 3 novembre 1768. — La contea d’Arma, da cui prese il nome un ramo dei Lorena, riu[p. 328 modifica]nita nel 1559 alla Francia, era stata conferita da Luigi XIV a Enrico di Lorena, discendente del primo duca di Guisa, sicché Giuseppina si poteva considerare francese. Pure, per il suo fare disinvolto e spigliato, non ebbe fin dal suo primo giungere a Torino, dove la Corte viveva sotto il pesante regime spagnuolo, grandi simpatie.

Essa però non fece troppa attenzione all’accoglienza di quella parte della famiglia, e viveva a Torino o a Racconigi (dove dopo neppure due anni di matrimonio ebbe l’unico figlio Carlo Emanuele), con molta indipendenza, e quasi da privata. Coltissima e studiosa, e molto innanzi nelle idee del suo tempo, la sua dimora, fosse a Racconigi o a Torino, era dai colti forestieri riguardata come la sede della grazia e della cortesia, ed era ambito assai l’onore di esservi ammessi.

Il Dutens, così si esprime in proposito: «Per coloro che erano in grado di potere apprezzare lo spirito e il carattere della Principessa, non era possibile di trovare una persona più amabile. La sua mente era illuminata, piena di grazia vivace, giusta e solida, pronta a comprendere tutto ciò a cui si applicava; la sua conversazione era allegra o seria, secondo il soggetto, ma sempre gradevole. Aveva l’anima buona, generosa, nobile, elevata, il cuore sensibilissimo all’amicizia; forse anche lo sarebbe stato all’amore, se l’estrema delicatezza dei suoi sentimenti non le avesse resa troppo difficile la scelta del soggetto. Queste disposizioni ed una certa fierezza di carattere, custode spesso della virtù [p. 329 modifica]di molte donne, avevano sempre preservato il cuore della Principessa dai danni di questa passione; ma se essa non si abbandonava ai suoi attacchi, compiacevasi però a farne soggetto di conversazione, e niuno meglio di lei sapeva analizzare tal sentimento.» Invero questo elogio non è tutto oro colato, e vi traspira forse un po’ di dispetto di vanesio messo a dovere, ma trattandosi di un forestiero contemporaneo, merita di essere citato e considerato.

Giuseppina scriveva anch’essa con molto garbo in francese, e sotto un nome di battaglia pubblicò vari ritratti e studi morali di persone del suo tempo; compose alcune novelle morali e due romanzetti non mai stampati, intitolati l’uno L’amour vaincu, l’altro Lettres de Madame de Lucé.

In quanto al suo ritratto fisico, lo tolgo allo stesso Dutens, il quale, addetto all’ambasciata inglese, frequentava assai il palazzo di Carignano, dove tutti i Ministri esteri accreditati a Torino si piacevano di frequentare. «La Principessa — egli dice — aveva il personale elegante, l’aria nobile, dolce e fiera, le maniere disinvolte, gli occhi vivi e ridenti, naso ben fatto, bocca graziosa, tinta leggermente bruna., ecc.»

Giuseppina, approfittando della sua posizione indipendente (poiché suo marito era allora soltanto principe del sangue), viaggiò molto, e ovunque si recava, il suo primo pensiero era di conoscere le più illustri personalità che vi soggiornavano. Così a Milano vide ed onorò i Verri e il Beccaria; si compiacque di rice[p. 330 modifica]vere alle sue veglie Giuseppe Parini, che lasciò scritte sul di lei conto parole che bastano ad immortalarla, e fu larga di amicizia e di conforti a quella insigne donna che fu Maria Gaetana Agnesi. — A Venezia pure si circondò di tutte le celebrità; visitò a Firenze il Granduca Pietro Leopoldo, poi si recò a Roma e a Napoli, dove poco si trattenne, niente affatto piacendole la Corte di Ferdinando.

Passata in Francia, si compiacque anche colà della conversazione dei dotti e avvicinò Rousseau, Voltaire, ed altri, e procurò la buona riuscita della missione di cui l’aveva incaricata Re Vittorio Amedeo III, di chiedere cioè a Re Luigi XV la mano della nipote Maria Clotilde, per il principe ereditario. Ma non erano le donne intellettuali come lei che potessero avere influenza sul volgare animo di quel Re, e la cosa rimase, per allora, insoluta, poiché Luigi non gradiva né i suoi modi, ne la sua conversazione, e poco la curò. Però quel matrimonio si concluse appena fu Re Luigi XVI, al quale e a sua moglie, Giuseppina fu carissima, forse destando loro subito simpatia l’essere essa cognata della Principessa di Lamballe. E tanto essa ebbe potere su quel Re, che Beniamino Franklin, da lei conosciuto in quel tempo, venuto in Francia a chiedere l’intromissione di Luigi XVI, perchè l’Inghilterra non incrudelisse più con la sua patria, affidò a lei il delicato incarico, ed essa riuscì a fargli riconoscere la indipendenza degli Stati Uniti.

Rimasta vedova nel 1780, allorché suo figlio, Carlo [p. 331 modifica]Emanuele, non aveva che dieci anni, essa non ebbe da allora altro scopo all’esistenza, che formare l’educazione e la felicità di questo figlio idolatrato. E seguendo le idee innovatrici spuntate con la guerra di America, scandalizzò addirittura la Corte conservatrice di Torino, col mandare il fanciullo, un principe del sangue, in collegio come un semplice mortale, scegliendo a tale uopo il collegio francese di Sorèze in Linguadoca, allora molto in voga. Qui il giovinetto s’imbevve delle nuove dottrine che vi si insegnavano, le riportò in patria, e in esse rimase saldo, quasi antesignano della sua Casa, sebbene la sua breve vita non gli offrisse agio di tutte metterle in atto.

Giuseppina, anima candida e soave, sebbene si compiacesse della vita letteraria e della libertà tranquilla, nei giorni della sventura per il Piemonte, vi tornò e vi rimase, partecipando alla desolazione della famiglia e ai dolori del popolo, tanto che una volta per far cuore ad un soldato ferito che doveva farsi amputare un braccio, si profferse lei a sorreggerlo, e lo fece con tanta fermezza, con tanta amabilità, che il poveretto, commosso, lasciò fare senza emettere neppure un grido di soffocato dolore. Allorché la sorte incrudelì sopra Luigi XVI e Maria Antonietta, essa sparse per essi molte lacrime, e nelle sue lettere, che se si potessero ritrovare tutte e riunire in volume sarebbero interessantissime, ne raccomandava la memoria ad un illustre e sensibile scrittore. Maria Clotilde non ebbe amica più pietosa, ne più atta a comprenderne lo strazio, al [p. 332 modifica]momento terribile della decapitazione del Re suo fratello, ma non ebbe del pari chi più fieramente la rimproverasse quando, dopo l’abdicazione e la morte di Vittorio Amedeo III, essa e suo marito furono alla testa del governo, e dagli eventi incalzanti erano resi inconsciamente crudeli.

Ma tanto spirito, tanta vitalità, venivano sordamente minati da una inesorabile malattia di languore, restìa ad ogni cura. La Principessa comprendeva che non sarebbe invecchiata, e presto pensò a trovare al figlio una sposa, che potesse surrogarla nel prendersi cura di lui, quando essa non sarebbe stata più. Già fino dal 1788, allorché Carlo Emanuele non aveva che diciotto anni, essa aveva gettato gli occhi sulla sorella della giovine Maria Teresa, duchessa d’Aosta, ma al Re non piacque che due sorelle avessero alla sua Corte un grado l’una inferiore all’altra, perciò non se ne fece nulla. Ma la Principessa non depose per questo l’idea di maritare sollecitamente il figliuolo, non dissimulandosi il cattivo stato della sua salute, e volse lo sguardo alla Corte di Sassonia, fissandolo sulla giovine Cristina, principessa di Curlandia, di cui l’Elettore aveva stabilita la posizione, dotandola anche di 30,000 fiorini di rendita. Ma le varie vicende che subirono le trattative iniziate con quella Corte, le tolsero la consolazione di vedere il figlio accasato prima di morire, quel figlio che ella adorava, e per il quale viveva, e che non doveva sopravviverle che di tre anni. [p. 333 modifica]Sempre dedita ai suoi studi, sempre buona, dolce, rassegnata, recandosi in un giorno del novembre 1796 a visitare a Superga le tombe dei Carignano, mentre stava nel sotterraneo, un raggio di sole, dagli spiragli delle feritoie, venne ad illuminarle il volto. A quel bacio del grande astro la sua anima di poeta si sentì commossa, sorrise, e voltasi all’abate Avogadro, direttore della basilica, disse: «Notate il punto ove ora sono; quando morirò voglio essere sotterrata qui: amo tanto il sole!» E lì precisamente ella venne a posare, tre mesi appena da quel giorno, poiché essa morì il 9 febbraio 1797, in età di soli quarantaquattro anni.

Ed anche nel suo testamento, scritto in francese, lingua che ancora usavasi molto alla Corte, e che per lei era la sua materna, Giuseppina pensava alla sua tomba, e la designava: «Siccome sembra che sarà a Torino ch’io morirò, desidero essere deposta nella tomba accanto a mio marito, avendo la morte soltanto potuto turbare la dolcezza della nostra unione.»

In questo documento stesso, dopo aver raccomandato la sua anima a Dio, dice: «E subito dopo gli raccomando mio figlio. Per lui saranno gli ultimi e più dolci voti del mio cuore. Possano essi essere esauditi; possa mio figlio godere tutta la fortuna che gli auguro e che gli avrei potuto procurare; e possa egli, come lo spero, rendersene sempre degno con la sua condotta, e conservare per sua madre un dolce e tenero ricordo, e possa trovare presto in una donna quale io gliela auguro, tutto ciò che possa farlo felice.» [p. 334 modifica]Se i voti di questa madre amorosa non furono tutti e subito esauditi, se delle contrarietà non poche afflissero, nei primi anni della sua morte, la sua famiglia, ora lo spirito di lei, felice e beato in cielo, deve esultare della sorte dei suoi discendenti, in parte preparata da lei.