Le colpe altrui/Parte II/Capitolo XII
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XII.
Mikali aspettava il frate, seduto sul paracarri dello stradone. La sera cadeva tiepida e calma come un crepuscolo d’estate; la luna nuova tramontava verdognola sull’orizzonte chiaro, e da un punto lontano arrivava un suono di fisarmonica come nelle sere di festa.
Egli batteva il tacco delle sue scarpe sulla pietra del paracarri e pensava alla notte in cui aveva costretto il ragazzo zoppo a suonare e cantare sotto la finestra di Vittoria. Ma i ricordi non lo intenerivano più; lo irritavano piuttosto, di una lieve irritazione che svaniva presto per dar luogo a un senso di vuoto e di stanchezza. Come il frate tardava ed egli era stanco, si buttò lungo disteso sul paracarri col braccio sotto la testa, un piede sull’altro; la luna gli batteva sul viso; ed era invecchiato, quel viso, dimagrito, con le guancie coperte dall’ombra della barba non rasa da più giorni: senza i capelli lunghi e trascurati che gli spiovevano di qua e di là delle tempie, avrebbe ricordato quello di Andrea nei suoi ultimi giorni. Perchè egli non curava più la sua persona: come poteva farlo, con quella smania di errare, di qua e di là, dall’ovile al predio, da Monte Nieddu al mare, appunto come perseguitato dall’ombra del fratello?
La stanchezza gli chiuse gli occhi; e nel dormiveglia gli sembrava d’essere ancora in viaggio con suo cugino Predu che se ne andava in America munito di passaporto falso. Egli lo accompagnava fino a Golfo Aranci. Viaggiavano a piedi.
Una prima tappa la fecero dopo gli stazzi di San Teodoro: accesero il fuoco con l’acciarino e Predu trasse dalla bisaccia un agnello già cotto e una zucca di vino.
E cominciarono a scherzare: erano giovani e pieni di vita entrambi, e la loro vita era così, come il paesaggio intorno, con sfondi oscuri, con chiarori di fuoco e di stelle, e un po’ di azzurro in fondo.
Scherzavano a proposito del vestito di frustagno indossato da Predu.
— Cosa mi sembri, cugino mio! Così Dio mi assista, un mendicante mi sembri. Hai fatto anche il viso del forestiere bonaccione.
— Pensare che lo indosserai anche tu, Mikali, bello grande! Sembrerai un carbonaio.
— Ah, io no; andrò vestito così.
— Per farti correre addietro gli americani? Del resto anche De Rosas era vestito così, e qui, nell’interno della giacca, aveva questo... Così poteva con facilità trarre l’arma per difendersi — disse Predu rivoltando la falda della giacca: e Mikali vide una specie di stretta saccoccia ove era infilato un pugnale.
— A cosa ti servirà? — domandò con pietà sprezzante. — A tagliare il pane nero degli emigranti...
— Meglio pane nero in libertà che pane bianco in cella. Che faccio io qui solo come una fiera?
Allora tutti e due cominciarono a rievocare i bei tempi passati; e sullo sfondo della collina rocciosa, al di là del chiarore del fuoco, credevano di veder passare le grandi ombre dei banditi famosi, con un rumore di cavalli al galoppo ed echi di urla ferine e di rombi di fucilate. De Rosas aveva un convegno notturno con la sua madre adorata; e la vecchia dolente gli domandava una grazia ed egli prometteva e giurava sulle reliquie che teneva sul seno che avrebbe tenuto la promessa.
— Figlio delle mie viscere, tu non farai male a nessuno degli abitanti di Cossoìne...
Un grido cupo come un tuono attraversò la notte. A Cossoìne vivevano i più feroci nemici di De Rosas e col giuramento fatto alla sua madre amata egli rinunziava al proposito di sterminarli. E per tutta la notte si aggirò nella foresta, colpendo i tronchi delle querce col suo pugnale, finchè, sfogato il suo dolore, cadde al suolo come morto.
E dopo De Rosas sorgeva il bandito Corbeddu, vestito di rosso e con la barba bianca. Ferito, col giubbone lacero i cui lembi si confondevano con le strisce di sangue che colavano dal suo petto rotto, cercava ancora di difendersi, dietro una roccia, come gli antichi padri fra i macigni dei nuraghes; e un fanciullo, poichè figure infantili sono sempre apparse nei quadri foschi di queste epoche barbare, gridava come la voce stessa della terra selvaggia: «Coraggio, zio Corbeddu, coraggio!»
Poi seguivano i banditi di Gallura, e gli ultimi del Nuorese, raccolti come un branco di cinghiali nelle foreste di Orgosolo, assediati da un vero esercito deciso a disperderli.
Tutto adesso era finito, e dal fosco passato già sorgeva la leggenda come il miraggio di nuvole che in quella dolce sera scendeva sull’orizzonte dalla collina alla spiaggia, e pareva una fila di cavalli bianchi con eroi fantastici in sella, armati d’argento, con stendardi azzurri e bisacce d’oro, diretti al mare ove li attendeva il Re di Tavolara.
Anche Predu se n’andava, ma non con loro. La terra lontana che attirava i piccoli uccelli migratori richiamava anche gli avoltoj, ed essi abbandonavano le roccie sparse di avanzi di rapine, per volare laggiù, come verso una pianura ove la preda era facile e abbondante.
— Almeno laggiù mangerò tutti i giorni e del mio — egli disse, quando si rimisero in viaggio. — Non ho da mettere da parte per ritornare; mi sparino, voglio ingrassare come un signore. Quando uno è grasso è anche insensibile.
— Io invece ritornerò — disse Mikali, con voce già nostalgica. — Se vado è per ritornare.
L’alba copriva di un velo azzurro le roccie che si spingevano come scogli fino al mare, e in alto i due uomini videro come una piccola barca nera a due vele, navigante nell’azzurro, e così Predu potè salutare l’ultima aquila della sua terra. Lo scheletro d’un cavallo attraversava il sentiero, e all’osso d’una zampa stava ancora attaccato un ferro arrugginito.
— Lo hanno spolpato le aquile — egli disse. — Si rassomiglia a me!
— Tu non hai più neanche un ferro, Predu Zanche! Persino quelli hai perduto!
— Non importa. C’è il bastimento che trotta per me!
E continuarono. Mikali derideva il cugino, ma pensava sempre al giorno in cui sarebbe andato a raggiungerlo, e raccontava storie di santi e dell’imperatore Costantino come i mendicanti seduti all’ombra delle chiese campestri. Così arrivarono al porto. Gli emigranti aspettavano l’ora della partenza, coi sacchi, i bastoni, gli involti, come pellegrini vestiti di frustagno ma col viso ancora segnato da linee di fierezza, a momenti oscuro di diffidenza, a momenti illuminato di speranza. Alcuni però, già stati in America, vi ritornavano; e il loro viso era coperto di una maschera ambigua, gli occhi sapevano; i vestiti di velluto verde a righe ricordavano le praterie di laggiù, le foreste senza poesia, ove l’uomo primitivo cessa di esser tale per diventare il barbaro moderno.
Predu fu l’ultimo a salire sul piroscafo. Mandò un grido per salutare Mikali, e Mikali rispose con un grido: poi vide la figura del cugino confondersi con la massa terrea degli altri emigranti, e il piroscafo sparire come sommerso dal mare.
Era la vecchia Sardegna che se ne andava.