Le avventure di Saffo/Libro III/Capitolo VII

Libro III - Capitolo VII. La disperata risoluzione

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CAPITOLO VII.


La disperata risoluzione.


Faone partendo consegnò l’antecedente lettera ad un servo, perchè la porgesse ad Eutichio quando scendeva negli atrj alle ore mattutine, il quale eseguì l’imposto comando. Spiacque molto ad Eutichio la improvvisa partenza, e più la necessità di rivelarla alla fanciulla, a cui la vista improvvisa di Faone, e gli officj dell’ospite mediatore avevano già infusa nell’animo dolcissima speranza: E mentre egli così perplesso leggeva quello scritto, giunse Saffo desiderosa de’ consueti ragionamenti, e domandò di Faone. Non rispondea Eutichio, onde ella non ancora congetturando la misera cagione di quel tristo silenzio, si maravigliava di così strana inurbanità in un ospite tanto cortese; [p. 289 modifica]ma poi instando ella con ripetute inchieste, trasse alla fine dal labbro di lui quell’amarissima novella, che frenava con amichevole silenzio. Or qui taluno crederà, che Saffo prorompesse in quella occasione in ismanie disperate, ed irrigasse di pianto il seno dell’affettuoso ospite, abbandonando in quello il volto lagrimoso, o che forse correndo per gli alberghi ululasse, siccome altre volte avea fatto ne’ maggiori trasporti del suo dolore; ma così non avvenne. Ella vidde in quel punto oscurato per sempre ogni raggio di speranza, e però la immensità del suo affanno non ritrovò la via di uscire in singulti, o disacerbarsi con le grida, onde rimase, come agnello caduto dagli artiglj dell’aquila rapace, sollevata presso le nubi. E per verità finchè l’angoscia si sfoga in lamenti, quantunque acerbissima, alquanto se ne sgrava il peso, e ciò che è più da considerarsi, ella non è, in quel caso, superiore alla sufficienza delle parole; [p. 290 modifica]ma quando il dolore è muto, non da altra cagione proviene quel tristo silenzio, se non perchè l’officio consueto della lingua è inadequato alla espressione dell’affanno divoratore. Tale era appunto quello di Saffo, al di cui intelletto si presentarono in un solo momento tutti i più crudeli pensieri, de’ quali il più tormentoso fu il chiaramente conoscere alla fine l’ignominia de’ suoi errori che l’avevano ridotta non solo ad essere altrui posposta, ma obbrobriosamente schernita. Ed al certo in quel giorno l’amarezza medesima delle sue pene, divenuta medicina dell’animo, poteva in lei sanare la ferita, se non l’avesse resa immedicabile lo sdegno divino. Imperocchè dov’è quell’affetto, quantunque violento, il quale non s’intiepidisca allorchè non abbia tampoco l’aereo nutrimento della fallace speranza, anzi allorchè sieno ripetute, e perpetue le infedeltà, e le ripulse? Ma nè il disinganno del vilipeso amore, nè lo [p. 291 modifica]sdegno verso il fuggitivo amante, poterono squarciare dagli occhi la benda fatale a loro avvolta dalla perversità di amore. Quindi ella comprese, che era tempo omai di eseguire l’oracolo di Stratonica, sconsigliatamente dimenticato per vane speranze; e però disposta a correre qualunque fortuna, piuttostochè strascinare così misera vita più lungamente, determinò in quel punto di estinguere (come prometteano le predizioni magiche) la vampa ognor più ardente, nell’acque del pelago. Mentre le si rivolgeano nell’animo tumultuoso questi pensieri, tacea ella con gli occhi rivolti al suolo, e tacea Eutichio rimanendo immobile co’ gli sguardi fissi sullo scritto di Faone; e quindi lei rimirando pur tacea. Ma, ella, che in breve tempo trascorrendo co i pensieri, avea fra se medesima decisa la propria sentenza, disse, poichè alquanto potè articolar parole: Io ti prego, o Eutichio, di non più rammentare un nume odioso ad [p. 292 modifica]un’anima schernita; che se egli gode il favore di Venere, forse a me non mancherà quello di altra divinità, mediante la quale potrò, lo spero, mirare quel volto per me ripieno di fascino, siccome rimiro le più belle statue col cuore freddo al pari del marmo, in cui sono scolpite. E quindi osservando lo scritto che teneva Eutichio nelle mani, con improvviso impeto glie lo tolse, e lacerò, esclamando con labbra frementi, e respiro anelante: Così tu facesti, o ingrato, col mio cuore. Si rivolse di poi entro gli ombrosi sentieri del giardino, lasciando Eutichio sospeso fra la pietà di lei, e la maraviglia della fuga di Faone.