Le avventure di Saffo/Libro I/Capitolo VIII

Libro I - Capitolo VIII. Lo sdegno di Venere

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CAPITOLO VIII.


Lo sdegno di Venere.


soleva Saffo verso il declinare del giorno trattenersi alquanto nell’ampio e vaghissimo giardino, il quale Scamandronimo aveva ornato di statue e di monumenti con liberale dispendio. La varietà de i fiori, la copia de’ frutti riempiva gli occhi con piacevoli colori, e l’odorato di ogni fragranza. Coltivava anche Saffo, colle proprie mani, e gli uni e gli altri, servendosi de i fiori per esemplari del ricamo, e presentando i frutti alla mensa domestica, premiata delle sue cure cogli applausi de’ commensali. L’era non meno gratissimo il mantenere i mansueti uccelli, e nutrirli; ma ora, poichè alquanto passeggiò per gli ombrosi sentieri; Guarda, disse a Rodope, non sono piacevoli questi fiori, e non fu mia cura [p. 71 modifica]deliziosa l’irrigarli coll’acqua di questi limpidi ruscelli, ed il sostenere con varj artifici i loro languidi steli? E pure ora li miro come dopo la sazietà della mensa le squisite vivande: E queste acque zampillanti, che sogliono ispirare interno giubilo colla vivacità del loro moto, e quelle che ivi cadendo in quella grotta dedicata al silenzio, conciliavano il sonno, sgorgando con placido susurro nel marmoreo ricettacolo, ora mi rattristano coll’ingrato strepito, nè più mi sembrano chiare. Mentre così diceva, si accostò ad un ampio recinto, in cui sorgeva di mezzo un zampillo vivace, che ricadeva in sottilissimi vapori, diviso dall’aura e dal proprio impeto entro dell’acqua raccolta, dove abitavano molti e varj pesci. Si trattenne la infelice donzella, e seco lei Rodope, entrambe nel silenzio di mesti pensieri sul margine erboso, e intanto un lieve zefiro scoteva le fronde degli alberi fruttiferi, ondeggiavano i fiori, e insieme di quelli le trecce [p. 72 modifica]sparse, e trascurate della immobile fanciulla, che teneva gli occhi rivolti a i pesci lietamente guizzanti ne’ liquidi cristalli. Finalmente così disciolse le non frenabili querele: Placida è tutta la natura, sono freschi i fiori, l’aura è soave, tranquillo è il cielo, tripudiano i garruli augelli, e fra poco in quelle frondi troveranno dolcissimi sonni; e questi pesci, benchè raccolti in stagno angusto, guizzano contenti nella loro schiavitù: io sola in mezzo della calma universale sono agitata da crudele tempesta. Con tai parole si riapriva in lei la sorgente del pianto, che le grondava nelle sottoposte acque; al che commossa di pietà l’ancella, disse abbracciandola; Figlia (che tal nome ti do per benevolenza, ancorchè tu mi sei padrona) così violenta è la tua inclinazione, che travía dal natural corso in modo straordinario. Avvegnachè i fiumi quantunque sbocchino con ampia foce al mare, sono però angusti e lenti ne’ loro principj. Il tuo amore però in brevissimo [p. 73 modifica]tempo è giunto a quel barbaro predominio, a cui, per quanto io ne sono esperta, non arriva che mediante l’artificio di lunghe seduzioni. Ma tu con deplorabile rapidità, previa nessuna dolcezza, corresti alle estreme angosce, ridotta in un punto a quella infelicità, che ti rende spiacevole questa luce del cielo. E come avvenire può, che anche bellissime sembianze vedute pochi momenti, sieno capaci di così affascinare la mente, quandochè senza conoscere qualche fede in un vaghissimo aspetto, non vien ridotto il nostro cuore a così miseri desiderj? Però ti prego, diletta figlia, di considerare, se mai Venere fosse tua persecutrice, da te in qualche modo irritata; perchè almeno, con rimedj più conformi a’ tuoi mali, si ricorra a i sagrifizj, alle preci, ed alle offerte. A tai parole chiuse le labbra nel silenzio e chinò gli occhi Saffo in atto pensieroso, coprendo la fronte colla destra, e dopo alcuna pausa; Tu m’inspiri, disse con mestizia, un [p. 74 modifica]dubbio tormentoso, a cui non avrei mai rivolto il pensiero. Dunque anche gli Dei si compiacciono della vendetta? O figlia, rispose l’ancella, puniscono severamente, perchè ci propongono clementissime leggi. E non ti ho forse, fino dalla puerizia, benchè rozzamente, pure chiaramente narrate e ripetute le pene di Sisifo, di Tantalo, e di Tizio, e di quanti rubelli ai celesti decreti, ora gemono nel tartaro caliginoso, onde tu debba mostrare così nuova maraviglia dello sdegno divino? E Saffo ognor più turbata rispose: Oh per certo Venere mi ha punita, perchè troppo è manifesta la di lei ira in piaga così mortale! Quindi tacque come se frenasse la lingua dal profferire spiacevole arcano. Lo chè rendendo anzi più sollecita l’ancella; Te misera, esclamò, avresti forse trascurato il culto di Venere, o derisa la potenza del figlio? Ben sai, che Niobe soltanto per essersi vantata più felice di Latona, vide i suoi dodici figlj cadere trafitti dalle inevitabili frec[p. 75 modifica]cie di Apollo; ben sai, che a Medusa furono cangiate in serpi le belle chiome, perchè profanò il tempio di Minerva co’ suoi amori: ben sai, che Venere sdegnata verso di Pasifae, perchè non l’aveva adorata, le ispirò infando amore per un toro. Oh me sventurata, interruppe Saffo, che ormai intendo, che sono odiosa a potentissima Dea, perchè avendomi mia madre, non è molto, date due colombe, affinchè le offrissi nella solennità di Venere alle are di lei, io commossa da pietà al genere lamentevole delle vittime innocenti, le sprigionai dal’avvolta mia gonna, che le tratteneva, donde rapide volarono nella foresta; ed ora mi rammento con terrore, che udii tuonare il cielo all’improvviso, il quale fu per certo indizio funesto di future calamità. Oh figlia, aggiunse l’ancella, comprendi alfine qual potente nemica tu hai nell’Olimpo! Ed avendo così detto, entrò in un vicino serbatojo di mansueti augelli, dove erano fra gli altri racchiuse delle [p. 76 modifica]colombe, le quali, riserbate con scelti alimenti alle delizie della mensa, ed a i sacri olocausti, vivevano tranquille, perchè ignare del loro destino, docilmente accorrendo verso le mani micidiali. Oh felice ignoranza, che non penetrando il futuro, gusta il presente, laddove l’uomo tanto orgoglioso del suo raziocinio, ritrae da questa medesima facoltà quell’assenzio, che si mesce ad ogni presente dolcezza, il dubbio che la fortuna cangi, l’immoderato desiderio di non probabili acquisti, il timore di mali corporei, gli affanni volontarj dell’animo, e per fine il più crudele persecutore d’ogni attuale godimento, il timido pensiero della morte. Prese adunque l’ancella due colombe, scegliendone le più candide, e quindi a Saffo rivolta; Queste, disse, presenterai a Venere quando sorga l’aurora, io te le serbo, e meco le porterò accompagnandoti. Sia come vuoi, pietosa amica, rispose Saffo dolente, versando qualche lagrima sulle gote, siccome vieppiù op[p. 77 modifica]pressa da doppio affanno, il tormento di amore, e lo spavento della vendetta del cielo. Mentre così ragionavano, sembrando loro brevissimo il tempo, perchè confabulavano piuttosto che colla lingua, cogli affetti del cuore, si addensarono le tenebre, e silenziosa divenne l’aura poco prima risonante del garrire d’inquieti augelli. Sorgea la splendente luna, e già appariva l’ampio di lei volto dietro le foglie di un denso albero mosse dal vento vespertino. I zampilli delle fontane ed i cristalli, da loro cadendo apparivano più argentei e più tremoli a quel soave lume. Ma se placida era la notte, ognor più cresceva il tumulto nell’animo di Saffo, perocchè insieme colle ombre si raccoglievano le nere di lei angosce, onde si ritirò col capo languidamente inclinato, gli occhi in terra fissi, le braccia sul grembo, mentre l’ancella appoggiandola colla destra, trattenendo nella manca le colombe, l’accompagnava con affettuosi conforti entro la paterna soglia.