Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte seconda/Lontananza
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LONTANANZA
Ultimo amor della mia vita, or come
Volgono i giorni tuoi, poi che ne volle
Novamente divisi il fato avverso?
Io, quale infermo sognator, che assai
Col travolto pensier mari e paesi
Visitò sorvolando, e campi lieti
D’assidue primavere e monti d’oro
Mirò stupito, ed allegrossi al bacio
Voluttuoso d’un’aerea forma
Fuggitiva con gli astri, ove all’usata
Luce si svegli, doloroso intorno
Mira il povero letto e qualche pio
Volto che piange il dubitante amico,
Io deserto così, così dolente
Mi travaglio nell’alma, or che lontano
Dai pietosi occhi tuoi, riveggio il nero
Limitar della mia stanza campestre,
E solingo m’aggiro ove altra cosa
Che ti guardi non è, tranne il cor mio.
O mio diserto amor, fu dunque un vòto
Sogno la mia felicità? Ben sento
Sovra la bocca mia qualcosa io sento
Che di te mi favella; odo nei santi
Penetrali del cor la tua promessa;
Arde, sol ch’io ti nomi, arde il mio sangue
Un dolce, indefinito impeto, e come
Dolorosa armonia dentro mi piange
Tutto l’affanno dell’estremo addio.
O mio lontano amor, no, non fu vòto
Sogno la mia felicità! Con queste
Derelitte mie braccia io tante volte
La tua snella persona al cor mi chiusi;
Con queste labbra mie bevvi la vita
Che spremea dalle tue labbra l’amore;
E il languir dei tuoi grandi occhi, e i sorgenti
Ai sussulti d’amor veli negletti
Con questi occhi mirai ch’or apro al pianto.
O lontano amor mio, ricordi i giorni
Cui diede amor tant’ale e tante rose?
Come colombe ci amavam; quest’egre
Giornate mie correan celeri e belle
Come raggio di luce! Ai nostri amplessi
Breve era il tempo; alle speranze nostre
Poca la terra; indifferente e muta
Co’ suoi folli tripudj e i suoi dolori
A noi dintorno discorrea la vita
Senza jeri o domani; e se del cielo
Mai ne sorse disio, come smarrite
L’alme nostre il cercâr dentro ai nostri occhi.
Dove ti cerco io più, dove tu sei,
Luce e respir della mia vita? Io sento
Di quest’ultimi fiori, onde s’ingemma
Il romito vial del mio giardino,
La modesta fragranza; ad uno ad uno
Sorger miro i tremanti astri, ma il dolce
Sospir non sento dei tuoi labbri, e in mezzo
A tanti astri i tuoi mesti occhi non miro.
Dove ti cerco io più, dove tu sei,
Luce e respir de la mia vita? Io sorgo
Mattutino con l’albe, erro pe’ monti
Come pazzo fantasma, e le rugiade
Scintillanti su l’erbe avido bevo,
Ma dolcezza e virtù pari non hanno
Alle lacrime tue. Mormora il bosco
Secreti inni d’augelli, occulti amori
Di zeffiri e di ninfe; io dolorando
Chiamo sul labbro mio le tue canzoni
Dolcissime di tutto; e come assorto
In un mar di memorie il cor sen fugge
Verso quel ciel dove tu aspetti e piangi.
Oh, non pianger così! Questa ch’io vivo
Da te lontan vita non è; perduta
Vela per ampio mare, irto di negre
Rupi e di mostri paurosi, in preda
A scatenati dèmoni, lontana
D’ogni luce di faro e d’ogni riva,
La mia vita or somiglia; e quando inqueta
E tempestosa più l’anima freme,
E del passato luminoso i regni
E i neri abissi del doman viaggia,
Allor tacita più, più inerte e immota
Stagna la vita mia. Fulmina il sole
I suoi fervidi raggi, ed io per terra,
Qual vilissima cosa, immobil, muto,
D’altri ignaro e di me giaccio, ed aspetto
Qual mai cosa non so, ch’or mi tien forma
D’una candida sposa, or d’un fantasma
Tenebroso così che par la morte.
Lascia talor da’ suoi morbidi rami
Qualche stella cader nitida e fresca
Il mio pietoso gelsomin, l’antico
Confidente dei miei sogni, e la posa
Con occulta pietà su’ miei capelli,
Fra cui leggera e trepida intrecciossi
Tante volte la tua mano, e sul fronte
Scivolando freschissima, diffuse
Mille brividi e fiamme entro al mio sangue.
Strani, oscuri così volgono i giorni
Ch’io lontano da te vivo tra queste
Luttuose pareti, ove non scherza
Raggio di luce mai, dove non sorge
Spirto alcuno di gioja; e vi si asside
Tenebroso il silenzio, o vi si aggira
Ululando una bruna ombra, che nulla
Di vivente non ha, tranne il dolore.
Povera madre mia! Di me sol uno
Dolorando ella vive! Avria già chiusi,
Senza l’amor che al viver mio consacra,
I suoi vedovi giorni entro alla fossa,
E raggiunto anzi tempo il cener santo
Del mio padre infelice! Io la lasciai
Derelitta e piangente; e alle tue braccia,
Dell’universo immemore mi spinse
Quella virtù che volge l’ago al polo,
La fiamma agli astri e l’egra terra al sole.
Povera madre mia! M’aspettò tanto,
Tanto pregò propizj al mio ritorno
L’amor, l’onde, i celesti! Io la guardai
Come straniero, allor che con le aperte
Braccia al collo mi corse; ignota al core
Mi suonò la sua voce; indifferente
Passò sovra le mie guance il suo pianto;
E se dolce parola ebbe il mio labbro,
S’ebbe lagrima il ciglio, era a te volta
La mia dolce parola e il pianto mio!
Deh, perdonami, o madre! Amor s’è fatto
Tal tiranno di me, che a nulla io vivo
Fuor ch’ai governi suoi. Splendido e sordo,
Siccome fiamma voratrice, egli arde
Nel petto mio, sugge il mio sangue, avvolge
Tutti nel suo furor memorie e cose
Ed affetti e speranze, e grande e solo
Sopra il fatto deserto ei vive e regna!
Pur la vita mi è cara, e nuova attingo
Virtù dal pianto: chè tra ’l pianto io miro
Sorger come una dolce iri di pace,
E crescer fra le mie lagrime il fiore
D’una cara speranza. Oh, tu che sai
Tutta l’anima mia, tu che sol vivi
Della promessa del mio cor, lontana
Gioja e sol’aura che il mio sen respira,
Tu quel fior con le pure aure alimenta
Dela tua fedeltà! Forse, o ch’io sogno
Non concesse dolcezze, al nostro amplesso
Presiederà quella serena e pia
Divinità che da gran tempo invoco
Alla sorda fortuna; ed ove indegno
Sarà del suo divin riso il mio core,
La pace mia la chiederò alla morte!