Le Ricordanze (Rapisardi 1872)/Parte prima/Sole d'inverno

Parte prima - Sole d'inverno

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SOLE D’INVERNO.


A





     Cari mi siete, o colli,
Quando nel verno vi saluta il sole,
Quando con l’alba tremano
L’argentee brine su l’erbette molli,
E su le siepi imbrunano
Il ridestato calice
Le tenere vïole.

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     Sul tortüoso calle,
Dove il cardo le foglie ispide muta,
Va saltellando il passere,
E fra il timo s’inseguon le farfalle;
Dal povero tugurio
Il legnaiuolo affacciasi
E il caro sol saluta.

     A la cadente porta,
Col suo grembial più bianco de le nevi,
Siede co ’l mento tremulo
La vecchiarella derelitta e smorta,
E da la ròcca tenue
Traendo il sottil canape,
Fila i suoi giorni brevi.

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     O tu che solo allegri
Il silenzio di mia casa infrequente,
E d’amicizia il balsamo
Spargi su’ giorni miei dolenti ed egri,
Godiam tra il verno gelido
La dolce ora fuggevole
Di questo ciel ridente.

     Forse, o chi sa? ne l’ombra
Che lungamente mi ravvolge il core,
Forse tra l’ansia e il dubbio,
Che i propositi tuoi tarda ed ingombra,
Come a quest’erbe tremule,
Un raggio di letizia
Ne manderà il Signore.

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     E allor che queta è l’onda,
E più belli i suoi fiori april dipinge,
Noi lascerem quest’Etna
E il biondo golfo e la petrosa sponda;
E andrem sicuri e unanimi,
Ove de l’arte il fervido
Sogno gentil ne spinge.

     Noi cercherem la riva
Dove più specchia il ciel l’onda tirrena,
Dove armonia son l’aure,
E di voci d’amor l’aura è più viva;
Dove vestita d’iridi
S’asside l’incantevole
Partenopèa sirena.

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     A l’inconteso corso
Di nostra prora ardente
Fuori de l’acqua emergono
Gli amorosi delfin l’argenteo dorso;
Fuggono l’onde; suonano
L’aure, le piagge olezzano
De l’appennin ridente.

     A te daran colori
Il cielo azzurro e la flegrea marina.
Le nubi del Vesuvio,
Di Capri i lidi e di Sorrento i fiori;
A me la fredda cetera
Avviveran le tiepide
Aure di Mergellina;

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     E canterò. Ma dove
Spingi il tuo volo, o instabile speranza?
Il pianto mio dimentichi
E i lunghi affanni e le durate prove?
Ahi! ne la solitudine
Di questo umano esilio
Solo il dolore ha stanza.

     Signor, che a queste brume
Doni del sole il provvido sorriso,
Toglimi al dubbio gelido,
Che a l’ingenua mia fede ammorza il lume!
Deh! ch’io non più ne l’orrida
Nebbia, che il cor m’intenebra,
Gema da te diviso!

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     Io rapirò l’incenso
Di queste fragolette mattutine,
La mite ala del zeffiro
Che il mar cheto sorvola e il cielo immenso;
Rapirò un raggio a l’iride
E la sottile, argentea
Falda di queste brine.

     E come fior che a sera
Con le fragranze al ciel s’apre la via,
Eterno, istabil atomo,
Cercherò la mia sede e la mia sfera;
Chè in mezzo a questa tenebra,
Il veggio, il sento, o spirito,
Non è la sede mia!