Le Ricordanze (Rapisardi 1872)/Parte prima/Ad A. Salvini
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AD A. SALVINI
nel regalargli un esemplare
della Palingenesi.
A te che sai le amare
Gioie de l’Arte e i trepidi
Sogni, a cui l’ardua fida ala il pensier,
A te non fian discare
Queste vegliate pagine,
Che la sacra spirommi aura del Ver.
Se da la mesta e bruna
Vita, a più belle e vivide
Sfere poggiare il vol seppi talor,
È pregio e non fortuna,
Che su ’l mio fronte pallido
Segga una fronda di sudato allor.
Su quelle sfere, dove
Spiran del bello i liberi
Entusiasmi ed è perpetuo april,
Ivi di grazie nuove
Talìa sorride, e d’attici
Fiori diffonde il suo peplo gentil.
Scherzano, a lei d’intorno
La gioia alata e il florido
Riso d’alme serene unico re;
A l’immortal soggiorno,
Sacro a le Grazie ingenue,
L’empio livor mai non appressa il piè.
Ma la suave e mesta
Malinconia, che l’anime
Tempra ne l’onda d’un etereo duol,
Cinta di bianca vesta
Ivi s’aggira, e a l’aure
Geme siccome vedovo usignuol.
Ivi te vidi, o altero
Spirto che il dotto interpreti
Dei figli di Talìa riso immortal;
E teco era il severo
Genio, cui di Melpomene
Sovra l’itale scene arma il pugnal.
Di lieti plausi un suono,
Dolce compenso al vigile
Culto de l’Arte, intorno a te volò,
E su l’etereo trono
La sacra musa italica
Nuova luce da’ bruni occhi raggiò!
Or m’odi. E s’io libai
Unqua de l’alme Càriti
Al negato a’ profani inclito altar,
Son degno, e lo mertai,
Che tra il fragor dei plausi
Oda tu pur ne l’alma il mio pregar.
Lascia a le franche scene
Le vôte larve e gli orridi
Mostri che infame vita hanno quaggiù;
A noi l’aure serene,
Gli astri ed i fior consigliano
Arte più mite e men facil virtù.
Di fole e di chimere
Regno non han le italiche
Muse, d’almo pudor cinte e di vel;
Nè soffron, che a le nere
Trame del mondo l’improbe
Scuse sian manto di pietà crudel.
Osa! Ed allor che al santo
Acre ritorni e a’ limpidi
Regni de l’Arte, unico mio sospir,
Di’ ch’io deserto in pianto
Vivo; ma intatta e vergine
Serbo la cetra, e m’è grato il morir.