Le odi e i frammenti (Pindaro)/Odi per Orcomeno, Argo, Tenedo/Ode Olimpia XIV
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ODE OLIMPIA XIV
Gli scolî pongono quest’ode nel 476: il papiro d’Oxyrhyncus dimostra falsa questa data: forse è del 488 (Gaspar).
È una composizione freschissima; né offre alcuna difficoltà. Nella prima strofa è una figurazione delle Grazie, e delle loro attribuzioni: nella seconda un’invocazione ad esse perché volgano benevole lo sguardo sul vincitore, e un invito ad Eco perché vada all’Ade ad annunciare all’avo Cleodamo la vittoria del nipote.
PER ASOPICO DA ORCOMENO
VINCITORE NELLO STADIO DEI FANCIULLI IN OLIMPIA
I
O voi che abitate le sedi
dell’acque cefisie dai vaghi puledri,
o Grazie, o d’Orcòmeno fulgida regine canore,
che avete in tutela dei Minî l’antica progenie,
vi prego, ascoltatemi. Quanto di dolce han gli umani,
d’amabile, è vostra mercè,
se saggio, se bello, se nobile è un uomo.
Se mancan le Càriti sante, neppure i Celesti
apprestano danze né mense. Ministre d’ogni opera
nel cielo hanno i troni vicino ad Apòlline,
al Nume di Pito dall’arco tutto aureo,
e cantan le lodi perenni del padre dei Superi olimpî.
II
O Aglaia Signora, o dei cantici
amica, o Eufrosíne, figliuole del sommo
tra i Numi, e, Talía, tu vaga di musiche, uditemi,
lo sguardo volgete su questo corteggio che avanza
leggero, pel lieto successo. Ch’io reco ad Asòpico
parole con liete armonie;
poiché, mercè vostra, dei Minî la rocca
fu cinta di serti in Olimpia. — Su via, ne la buia
magion di Persèfone, o Eco, discendi; ed al padre
Clèodamo adduci tal nuncio di gloria:
che visto hai nel grembo di Pisa suo figlio
il giovine crin redimire con l’ali dei celebri agoni.