Le odi e i frammenti (Pindaro)/Odi per Opunte, Corinto, Rodi/Ode Olimpia IX

Ode Olimpia IX

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Pindaro - Le odi e i frammenti (518 a.C. / 438 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1927)
Ode Olimpia IX
Odi per Cirene - Ode Pitia V Odi per Opunte, Corinto, Rodi - Ode Olimpia XIII
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ODE OLIMPIA IX

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L’Efarmosto di questo epinicio aveva riportato un numero di vittorie veramente straordinario: e due in un sola olimpiade, l’una in Olimpia, l’altra a Pito: gloria, che, a dire di Pindaro, non era toccata a nessun mortale. Subito dopo la vittoria olimpia, bastò pel vincitore la canzone d’Archiloco, quella che si cantava per tutti; ma ora (466) Pindaro compone per lui il debito epinicio. E, al solito, i versi sono frecce, e la cosa da cantare è la mèta: quindi Pindaro parla di saettare Giove, l’Elide, Pito, e il vincitore, e suo padre, e la loro patria, Opunte, sacra a Giustizia e madre di Locri Opunzia, che adesso viene esaltata presso l’Alfeo. Grazie al canto di Pindaro, la fama di cosí nobile città sarà sparsa per tutta la terra (1-25). Se pure, aggiunge il poeta, io sono giardiniere del verziere delle Grazie: le quali danno agli uomini il piacere: ché quanto posseggono gli uomini, e bene e saggezza, proviene dai Numi.

Con questo artificioso trapasso Pindaro accenna ad un mito che prova l’ultimo asserto: al mito, molto oscuro, di Eracle che da solo tenne testa a tre Numi: Posídone, Febo, Ade. Ma, accennatolo appena, lo abbandona come troppo empio (26-41).

E passa invece a cantare Opunte (la città di Protogenia = la Prima nata: dal nome nacque forse il mito), dove Pirra e Deucalione, scesi dal Parnaso dopo il diluvio univer[p. 240 modifica]sale, gettando pietre dietro di sé, crearono i primi uomini, detti Lai (lâs = pietra) — (42-49); e, rifacendosi indietro, narra la storia del diluvio (50-54).

E segue la genealogia degli avi di Efarmosto: genealogia un po’ intricata, ma che, su per giú, mi sembra la seguente. Da Giapeto nascono Prometeo, ed Epimeteo: i figli di questi due eroi, Deucalione e Pirra, sposano, e nasce Protogenia: discendente di questa è un Opunte, il quale ha una figlia Protogenia IIa. Un altro loro parente, Locro, è in tarda età, e senza figli: la famiglia minaccia di estinguersi. Giove rimedia: rapisce Protogenia, e, dopo il ratto, la consegna sposa a Locro, che l’accoglie a braccia aperte. La stirpe è salva; e il bambinello nato da Giove vien chiamato anch’egli Opunte, come il nonno materno (54-66).

E questo Opunte fu re giustissimo e saggissimo, sí che da ogni parte venivano eroi a cercare il suo arbitrato. Fra questi gli fu specialmente diletto l’eroe d’Egina figlio di Menezio, Patroclo, che combatté a favore d’Achille. Quando questi, nei piani della Misia, dove i Greci erano sbarcati per errore, prima di giungere a Troia, vide l’audacia spiegata nel combattimento dall’amico fedelissimo, gl’impose di non scostarsi mai, in battaglia, dal suo fianco (67-81).

Pindaro non la finirebbe piú di cantare eroismi; ma deve tornare all’argomento, ed esaltare Efarmosto, e Lampromaco, amico suo, che vinse sull’Istmo, e altrove, insieme con Efarmosto. E segue poi l’enumerazione delle vittorie di Efarmosto; che davvero non finisce piú (81-92).

Considerazioni generali (93-101). Congedo, in cui il poeta invita l’ode a proclamare alta la gloria d’Efarmosto. [p. 241 modifica]


PER EFARMOSTO DI OPUNTE

VINCITORE NEL PUGILATO


I


Strofe

La canzone d’Archiloco, l’inno
che, fregio a chi vinse la gara, tre volte risuona in Olimpia,
bastò per guidare Efarmosto
insiem con gli amici festante ai piedi del clivo di Crono.
Ma or delle Muse che lunge saettan dagli archi
dirigi le cuspidi a Giove, Signor venerando
dal folgor purpureo,
e d’Elide al poggio,
cui Pèlope, eroe della Lidia,
ottenne, e fu dote bellissima d’Ippodamía.


Antistrofe

Scaglia pure un dolcissimo strale
a Pito: di certo non lanci canzoni che cadano al suolo,
se tu su la cétera esalti
le gesta dell’uomo d’Opunte famosa, e lui lodi e suo figlio:
d’Opunte che a Temi e a Salute, che al giusto Governo
è sacra, e fiorisce per inclite prove, nei pressi
del fonte Castalio,

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dei gorghi d’Alfeo,
che or lei, genitrice di Locri
famosa per gli alberi, esalta col fiore dei serti.


Epodo

Or io la città prediletta
con la furia dei cantici ardendo,
piú veloce di nobil corsiero,
di alato naviglio, tal nuova
per tutta la terra vo’ spargere,
se pure con mano fatale
edúco l’eletto verzier delle Grazie:
dànno esse ai mortali il piacere:
ché forza e saggezza degli uomini sono opra dei Numi.


II


Strofe

E chi mai diede ad Eracle possa
che contro il tridente vibrasse la clava, quel giorno che in Pito
piombava su lui Posidòne,
e Febo piombava, scoccando saette dall’arco d’argento,
né Ade ozïosa la verga teneva con cui
i corpi degli uomini pel tramite adduce dei morti?
Mio labbro, respingi,
respingi l’istoria:
ché ai Numi lanciar contumelie
è infesta saggezza, è vanto che suona importuno,

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Antistrofe

è canzon che s’accorda a follia.
Non dire piú a lungo: tralascia dei Numi ogni guerra, ogni lite;
e volgi il tuo canto alle mura
di Protogenia, dove Pirra, con Deucalïone, discesi
per fato di Zeus, dal Parnaso, fondava la casa
primiera; e da pietre produssero, senza imenei,
lapideo popolo
che detti fûr Lai.
Per essi il suon desta degli inni,
e loda il vin vecchio, e il fiore dei carmi novelli.


Epodo

Raccontan che un giorno la terra
fu sommersa da un impeto d’acque;
e che poi, per decreto di Giove,
d’un tratto, un rigurgito bevve
la morta palude. Discesero
da quelli i vostri avi, che scudi
reggevan di bronzo: dal ceppo remoto
venian di Giapèto, figliuoli
di floride figlie di Crono, re indigeni sempre,


III


Strofe

pria del giorno che il re degli Olimpî,
rapita la figlia d’Opunte dal suol degli Epèi, di nascosto
con lei si mesceva sui gioghi

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del Mènalo; e a Locro l’addusse, perché non cogliesse vecchiaia
lui privo di figli. Concetto fu il germe divino;
e molto l’eroe fu lieto del figlio supposto;
e il nome gli pose
dell’avo materno.
E fu per aspetto e per opere
mirabile; e popolo e regno gli diede in retaggio.


Antistrofe

E da lungi venivano estranei,
e d’Argo, e di Tebe, e d’Arcadia, e alcuni da Pisa. E fra tutti
a lui fu diletto il figliuolo
d’Attórre e d’Egina, Menezio; di cui fu rampollo l’eroe
che insiem con gli Atridi venuto a Teutrante, stie’ saldo
a fianco d’Achille, solo ei, quando Tèlefo contro
le navi incalzava
i Danai fuggiaschi.
Chi bene intendeva, allor vide
di Pàtroclo l’indole guerriera; onde il figlio di Teti


Epodo

gl’impose che mai nella zuffa
luttuosa, pugnasse lontano
dalla sterminatrice sua lancia.
Deh, possa, trovando bei cantici,
il cocchio io salir delle Muse,
e ardire e possanza mi seguano!

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Ma qui son venuto per dire dell’ospite
Lampròmaco gl’istmici serti,
e quelli che insieme con lui riscosse Efarmosto:


IV


Strofe

ché un sol dí trionfarono entrambi.
Altre due di Corinto alle soglie vittorie otteneva Efarmosto:
ed altre nei grembi Nemèi;
ed in Argo tra gli uomini vinse, fanciullo in Atene; e che gare
lo vide affrontar Maratona pei calici argentei
con gli uomini adulti, e appena lasciava gl’impuberi!
Prostrò con precipite
astuzia infallibile
quei forti: e che grido suonò,
ch’ei giovine e bello, sí valido fosse ne l’opera!


Antistrofe

Pur mirabile apparve nei giuochi
solenni di Giove Licèo, fra il denso convegno parrasio;
e quando portò da Pellène
le lane, che calde riparano da rigide brezze; ed attestano
per lui di Iolào la tomba, ed Elèusi marina.
È ottimo quanto natura formò; ma troppi uomini anelano
lucrar con apprese
virtú rinomanza.
Ogni opra che senza l’aiuto
del Nume si compia, non scapita ad esser taciuta.

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Epodo

Qual piú, quale meno lontano
i sentieri conducon; né tutti
una sola passione nutriamo.
Cosa ardua, saggezza. Porgendo
tal premio, fa’ cuore, e ruggi alto
che in prospera sorte quest’uomo
è nato, ch’è forte di mani e di membra,
che spira valore, e d’Aiace
figliuoi d’Oilèo, nel banchetto, recinse l’altare.