Le Mille ed una Notti/Storia del Buon Visir ingiustamente carcerato

Storia del Buon Visir ingiustamente carcerato

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Storia del Buon Visir ingiustamente carcerato
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NOTTE DXCVII

STORIA

DEL BUON VISIR INGIUSTAMENTE CARCERATO.

— Un visir di rara lealtà e d’integrità scrupolosa, fu l’oggetto di grave accusa presso il sultano, il quale, senza degnarsi di esaminare gli aggravi contro di lui allegati, lo fe’ gettare in angusta carcere, dov’ebbe pane ed acqua per solo alimento. Languì il poveretto sette anni in quell’orrido soggiorno. Scorso tal tempo, il re suo padrone, il quale, nello scopo di divertirsi, solea girare travestito pei diversi quartieri della città, passò per caso, in abito di dervis, dinanzi alla casa dell’antico ministro. [p. 254 modifica] Sorpreso di vederne la porta aperta, ed una quantità di servi occupati a ripulire gli appartamenti e prepararli a ricevere il loro padrone, che, dicevano, aveva lor ingiunto, mediante un messo, di disporre ogni cosa, dovendo nel medesimo giorno rientrare in grazia del sultano, e tornar ad abitare in sua casa; il monarca, il quale, ben lungi dal pensare a por in libertà il ministro, ne aveva anzi quasi perduta la memoria, rimase meravigliato di tali discorsi; ma riflettendo che una lunga cattività poteva avere sconvolto il cervello al visir, ed esser possibile perciò che immaginasse di toccare al momento della sua liberazione, prese il partito di recarsi, favorito dal suo travestimento, a visitare il prigioniero. Comprati pani e foccacce in buon numero, col pretesto di soddisfare ad un suo voto di portar alimenti ai carcerati, recossi alla prigione, della quale il custode gli accordò volentieri l’ingresso, e giunse al visir, che trovò occupato a pregare con grandissimo fervore. — Vengo,» gli disse il principe, «a felicitarvi della prossima vostra liberazione, poichè, anche senza conoscervi, non cessava di far voti a tale scopo. Non ignoro che l’annunziaste ai vostri servi; ma temo non vi siate sollecitato di troppo, non avendo inteso parlare d’alcun ordine del sultano a tal proposito. — Potete aver ragione, caritatevole dervis,» rispose il prigioniero;«ma siate certo che, prima della fine di questo giorno, io sarò posto in libertà, e ripristinato nella mia carica. — Lo desidero,» riprese il principe; ma su che cosa fondate una speranza che mi pare sì difficile di veder realizzata? — Buon dervis,» rispose il visir,«sedete ed ascoltatemi.

«L’esperienza m’ha pur troppo insegnato che non si è mai più vicini alle sventure, di quando si è al colmo della felicità, e che del pari a dolore profondo quasi sempre succede inattesa la gioia. Un [p. 255 modifica] giorno, al tempo della mia grandezza, allorchè era caro al popolo per la giustizia della mia amministrazione, e distinto dal mio sovrano, il cui onore e gl'interessi mi furono sempre più cari della stessa vita, e pel quale non ho mai cessato di far voti, sin nell’orrore del mio carcere, io prendeva con alcuni intimi amici il fresco sul fiume entro magnifica barca. Nel bere il caffè, la tazza che aveva in mano, formata d’un solo smeraldo del massimo pregio, e ch’io prediligeva assai, cadde e sprofondossi nell’acqua. Subito mandai a chiamare un palombaro, al quale promisi generosa ricompensa se potesse trovarmi la coppa. Spogliatosi delle sue vesti, mi pregò d’indicargli il sito dov’era caduta, ed io, per precisarglielo, spinsi la distrazione sin a gettare nell’acqua un ricco anello di diamante che teneva in dito. Mentre stava maledicendo la mia balordaggine, il, palombaro, slanciatosi nei liquido elemento nel luogo indicato, ricomparve a capo di due secondi colla tazza entro la quale, con alta maraviglia, trovai il mio gioiello. Gli diedi una buona mancia, e gioiva d’aver ricuperate le mie gemme, quando d’improvviso venne a colpirmi l’idea che sì straordinaria felicità poteva essere tosto susseguita da qualche traversia. Tal riflessione mi rattristò, e rientrai in casa coll’animo pieno di presentimenti funesti, che pur troppo si sono realizzati, perchè la notte successiva i miei nemici mi accusarono di tradimento al sultano; il principe affrettossi a prestar fede alle loro calunnie, ed io fui precipitato la domane in quest’orrido soggiorno, nel quale languisco da sett’anni, con pane ed acqua per unico alimento. Ma Iddio mi ha concessa la forza di sopportare i terribili suoi decreti, ed anche oggi mi accadde una piccola disgrazia, la quale mi dà la certezza che, prima di notte, sarò posto in libertà e rimesso in grazia del [p. 256 modifica] sovrano, del quale mi sforzerò di meritare la bontà come feci finora. Dovete sapere, venerabile dervis, che stamattina m’è venuta una voglia inconcepibile di mangiar carne, della quale da tanto tempo sono privo, e supplicai il custode, dandogli una pezza d’oro, di accondiscendere alle mie brame. Poco dopo egli mi recò una vivanda, il cui odore e la vista mi promettevano qualche cosa di squisito; ma intanto ch’io, secondo l’uso, faceva le abluzioni prima di mangiare, venne a slanciarsi sul piatto, che aveva deposto in terra, un grosso sorcio, e divorò il mio desinare. Questa circostanza, che vi parrà futilissima, mi produsse tal dolore, che caddi svenuto e non tornai in me se non per versare copiose lagrime. Acchetato il mio cordoglio, venne d’improvviso a balenarmi nell'anima la speranza di miglior sorte. Pensava che, come la mia disgrazia e prigionia erano repentinamente susseguite ad una felicità inaspettata, del pari questa mortificazione, la più penosa ch’io avessi mai provata, esser doveva il preludio di nuova felicità. Pieno di tal idea, mandai a dire alla mia gente di preparare la casa ed attendermi. —

«Il sultano, il quale, in ogni parola del Visir, scorgeva la buona fede e la prova dell’innocenza sua, penò assai a sostenere la parte che si era addossata. Ma non volendo farsi ancora riconoscere, represse l'emozione, e quando il decaduto ministro ebbe finito il racconto, se ne accommiatò, dicendo che sperava vedere in breve avverato il suo presagio. Allora, tornato alla reggia, dove niuno erasi accorto della sua assenza, entrò nel gabinetto, depose il travestimento, e diè ordine che si mettesse sul momento in libertà il visir, al quale inviò una veste d'onore ed una scorta brillante per ricondurlo alla corte, condannando poscia alla prigionia gl’infami suoi accusatori, e confiscandone i beni. Al giungere del ministro, il [p. 257 modifica] sultano lo accolse colle distinzioni più lusinghiere, gli rimise le insegne della sua carica, il baldacchino di cerimonia, i suggelli ed il calamaio incastonato di gioielli. Lo condusse poi in una camera appartata, gli si gettò al collo, ed abbracciatolo, si compiacque di scongiurarlo a porre in oblio la lunga persecuzione della quale era rimasto vittima.»

L’alba sorgeva mentre la sultana chiudeva il labbro; la notte seguente, cominciò di tal guisa un nuovo racconto: