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molta riconoscenza dell’asilo che con tanta generosità concedevagli per metterlo al sicuro d’ogni insulto. Voleva dirne di più, ma il giardiniere lo interruppe. — Lasciamo,» gli disse, «i complimenti: voi siete stanco, e dovete aver bisogno di mangiare: venite a riposarvi.» Lo condusse quindi nella sua casuccia, e dopo che il principe ebbe mangiato a sufficenza delle cose offertegli dal giardiniere con una cordialità, onde il giovine rimase estatico, lo pregò di volergli partecipare la cagione del suo arrivo.

«Camaralzaman soddisfece il giardiniere, e quand’ebbe finita la sua storia, senza nulla nascondergli, gli domandò a sua volta per qual via ritornar potesse negli stati di suo padre. — Poichè,» soggiunse, «quanto al pensare a raggiungere la principessa, dove potrei mai trovarla dopo undici giorni che mi sono da lei diviso per un’avventura sì straordinaria? E poi, so io forse se sia ancora al mondo?» A questa trista memoria, non potè continuare senza versar lagrime.

«Rispose il giardiniere, che de quella città eravi un anno intiero di viaggio fino ai paesi dove trovavansi musulmani, comandati da principi della loro religione; ma che, per mare, arriverebbesi in molto minor tempo all’isola d’Ebano, e di là era più facile passare alle isole dei Figli di Khaledan; che, ogni anno, una nave mercantile andava all’isola d’Ebano; e che potrebbe giovarsi di quel comodo per tornare di là alla patria. — Se foste giunto alcuni giorni prima,» aggiunse, «vi sareste imbarcato su quella che ha fatto vela per quest’anno. Attendendo che parta la nave dell’anno venturo, se gradiste di stare con me, vi offro la mia casa, qual è, d’assai buon cuore. —

«Il principe Camaralzaman si stimò fortunatissimo di trovare quel ricovero in un luogo; ove non aveva