Le Mille ed una Notti/Avventure della bella Haifa, figlia di Mirgyhane, sultano di Hind, e di Gioseffo, figlio di Sahul, Sultano di Sind

Avventure della bella Haifa, figlia di Mirgyhane, sultano di Hind, e di Gioseffo, figlio di Sahul, Sultano di Sind

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Avventure della bella Haifa, figlia di Mirgyhane, sultano di Hind, e di Gioseffo, figlio di Sahul, Sultano di Sind
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NOTTE DXCV

AVVENTURE

DELLA BELLA HAIFA, FIGLIA DI MIRGYHANE,

SULTANO DI HIND, E DI GIOSEFFO,

FIGLIO DI SAHUL, SULTANO DI SIND.

— Mir Gyhane, sultano di Hind, non aveva figliuoli, e tanto più penosa eragli tal privazione, in quanto che la corona doveva alla sua morte, passare su capo straniero. Una sera che abbandonavasi [p. 239 modifica] a tristi riflessioni, cadde in profondo letargo, e sognò che apparsogli un genio, gli dicesse: — Sultano, alzati, va stanotte a visitare il tuo serraglio, e la fortunata donna che avrà diviso teco il talamo, ti renderà padre. Se è un maschio, questo figlio rialzerà la gloria della tua casa; ma se una femmina, sarà cagione della rovina e morte tua.» Obbedì egli alla voce, e nel termine prefisso dalla natura, la favorita si sgravò d’una bambina, con estrema afflizione de’ genitori, i quali avrebbero data la morte all’innocente creatura, se l’infantile suo sorriso non ne avesse disarmata la collera. Fu elevata nel più severo ritiro, e verso i dodici anni il sultano la fece condurre in una cittadella fabbricata in mezzo a profondo lago, sperando, col tenerla così rinchiusa, d’impedire il compimento della fatal predizione. Del resto, nulla è da paragonarsi alla magnificenza del soggiorno della giovane principessa. Eransi lasciate con lei varie fanciulle che possedevano i talenti più graditi e propri a render piacevole la solitudine. Ma ad ogni uomo restava vietato di accostarsi neppure alle rive del lago, tranne a coloro che recavano le provvigioni per uso del castello, ed anche allora faceansi rientrare le vezzose prigioniere nei rispettivi appartamenti. La porta della cittadella era confidata ad una vecchia nutrice della principessa, e per tre anni la bella Haifa (così chiamavasi la giovane reclusa) visse felice nella brillante sua prigione; ma il decreto della sorte è inevitabile: un avvenimento sconvolse le misure sì ben prese da Mir Gyhane.

«Il figlio del sultano di Sind, il giovane Gioseffo, principe libertino, avendo altercato col padre, abbandonò la corte, e seguito da picciol numero di servi, venne a cercar asilo negli stati di Mir Gyhane. Curioso di conoscere gli abitanti d’una cittadella costrutta in mezzo all’acque, traversò a nuoto il lago, [p. 240 modifica] e giunto alla porta, che trovò chiusa, si mise a bussare e chiamare, ma indarno, niuno essendogli venuto ad aprire. Scrisse allora un biglietto, nel quale domandava l’ospitalità per uno straniero infelice, ed attaccatolo ad un dardo, lo slanciò sui merli. Avventurosamente per lui, quel biglietto andò a cadere ai piedi della principessa, che in quel momento passeggiava in un cortile, e la quale, mossa a compassione, avendo pregato la nutrice d’aprir la porta, tosto presentossi Gioseffo, e nell’istante medesimo amore colpì del medesimo strale il suo cuore e quello di Haifa. Il giovane principe fu ammesso negli appartamenti, in cui rinnovaronsi più volte deliziosi colloqui, e da quel momento l’allegrezza e la felicità scesero ad abitare quel soggiorno.

«Alcun tempo dopo il sultano Sohul, afflitto per la partenza del figliuolo, spedì il nipote Yah per offerirgli perdono ed indurlo a tornare. Giunto il giovane sulla sponda del lago, seppe dalle genti di Gioseffo, essere il principe entrato nella cittadella, nè da quel punto non averne più udito parlare. Or non potendo penetrare in quell’asilo, Yah scrisse un biglietto, nel quale avvertiva il cugino della clemenza del padre e del di lui desiderio di rivederlo, ed attaccato il biglietto ad una freccia, anch’egli la scagliò nel palazzo, talchè cadde in giardino nel momento appunto che vi passeggiavano i due amanti. Il giovane, lieto al sapere che il padre gli perdonava i suoi errori, risolse tosto di tornar presso di lui, e comunicò il proprio pensiero alla donzella, cui l’idea della di lui partenza immerse in profonda desolazione. Assicurolla Gioseffo del pronto ritorno, protestandole che la sola pietà filiale poteva strapparlo da lei per qualche breve istante. Haifa però, accecata dall’amore, lo supplicò a condurla seco; ma costretta a riconoscere la forza delle ragioni di [p. 241 modifica] Gioseffo, cessò di opporsi alla sua partenza. Nel punto della loro separazione pertanto lo scongiurava, cogli occhi molli di lagrime, di tornare al più presto, ciò ch’egli le promise sinceramente, perocchè l’amor suo era verace, e con pena sottomettevasi al dovere che lo richiamava al padre.

«Ripassato il lago, Gioseffo raggiunse i compagni che furono lietissimi di rivederlo, ed il cugino Yah, ricevutolo coi trasporti della più viva gioia, gli partecipò quant’era accaduto dalla sua partenza. I due principi quindi presero la strada di Sind, e giunti ad una giornata di distanza dalla capitale, inviarono un corriere ad annunziare il loro arrivo.

«È impossibile descrivere il commovente spettacolo dell’incontro del principe col padre e colla regina, cui la partenza del diletto figlio aveva spezzato il cuore. Le mogli di Gioseffo, in numero di quaranta, dimostrarono anch’esse i più vivi trasporti. Infine, tutti nel palazzo gioivano del suo ritorno, e solo il principe pareva tristo e preoccupato. Il piacere di trovarsi in seno alla propria famiglia non poteva fargli dimenticare Haifa, e rimase insensibile alle carezze ond’era oggetto. Ritornato nel proprio appartamento, diventò invisibile a tutti, e passava le notti intiere non pensando ad altro che alla sua diletta; invano il giorno riconduceva nuovi divertimenti, ordinati da’ genitori, ch’erano ben lungi dal sospettare il viaggio che il figliuolo meditava.

«Consacrati alcuni giorni appropri doveri, che pel giovane furono di mortale lunghezza, nè potendo più oltre frenare l’impazienza, lasciò, col favore di tenebrosa notte, il palazzo, accompagnato da uno schiavo fedele, di nome Hulland, cui prese in groppa sul miglior destriero, e seguì, colla rapidità del vento, la via che doveva ricondurlo presso all’amata. Giunto sulle sponde del lago, nascose sella e [p. 242 modifica] briglia nei cespugli, ed il corsiero lo portò felicemente, in un col suo fido, traverso alle onde. Chi potrebbe dipingere la felicità de’ due amanti al vedersi riuniti? Il principe consegnò il suo schiavo alle cure delle donne di Haifa, e s’intertenne con questa.

«Trenta giorni trascorsero sì rapidamente, che Gioseffo appena potè pensare a’ genitori, alla famiglia, alla patria. Una sera che i due amanti dalla terrazza del giardino ammiravano la bella prospettiva de’ dintorni, videro un battello che vogava alla loro volta, e che Haifa riconobbe siccome appartenente al padre, il sultano Mir Gyhane. Atterrita, supplicò Gioseffo a nascondersi, intanto ch’essa riceverebbe i passeggeri, ed il giovane si appiattò in una stanza, la cui finestra guardava sul lago. Ma come esprimere la maraviglia e lo sdegno suo allorchè vide discendere dal battello due bei giovani, nelle braccia d’uno de’ quali Haifa precipitossi con trasporto, e che fece poi ambedue entrare nel palazzo! Senza riflettere che colui poteva essere prossimo parente d’Haifa (ed era in fatti suo cugino, allevato con lei sino al momento in cui venne confinata nella cittadella), lasciossi Gioseffo trasportare ad indegni sospetti, e decise di abbandonare per sempre un’amante infedele. Scrittale adunque una lettera piana di stizza, in cui le rimproverava la sua mala fede, e le volgeva l’estremo addio, rimontò col fido seguace sul corsiero, e varcato il lago, affrettossi a tornar in patria, ove fu di nuovo ben accolto dai genitori; e per dimenticare la mendace Haifa, dedicossi intieramente alla compagnia delle sue donne, non ha guari abbandonate, e le quali, liete di ricuperarne l’affetto, disputaronsi a vicenda la bella sorte di piacergli.

«Haifa, intanto, senza diffidenza, a fianco del cugino Sohule e di Alì-Ben-Ibrahim, fedele eunuco e confidente di questi, stava intenta a far loro mille interrogazioni, [p. 243 modifica] ed ascoltava con interesse i particolari che le si davano intorno alla corte del padre, allorchè una donna le recò la lettera di Gioseffo. Alzossi ella subito, passò in un gabinetto, ed aperto il biglietto, stupì assai delle ingiurie che le prodigava l’ingrato amante; ma forte di sua innocenza, e lusingandosi che tornerebbe quando avesse riconosciuto il proprio errore, si ricompose alla meglio sino alla partenza del parente, il quale, pochi giorni dopo, preso da lei congedo, tornò alla capitale di Mir Gyhane, lasciando nella cittadella il suo eunuco, con grande soddisfazione della principessa, che sperava di farlo mediatore tra lei e l’amante. Ned erasi ingannata, poichè quando gli ebbe palesato il suo affetto per Gioseffo, acconsentì a portare una lettera al principe, ed a spiegargli la cagione de’ suoi ingiusti sospetti. Giunse il fedele Alì in venti giorni alla città di Sind, e quivi, chiesta al giovane principe un’udienza particolare, che fu subito concessa, gli consegnò il suo messaggio. Gioseffo, cui era passata la collera, e che più d’una volta avea risentito il dispiacere di trovarsi lontano da quella che amava più della vita, leggendo quel tenero biglietto fu penetrato di vera gioia. Ascoltò, senza perder sillaba, tutti i particolari che gli diede lo schiavo intorno al preteso rivale, riconobbe con piacere il proprio errore, e protestò contro la condotta ingiuriosa tenuta verso, Haifa. Alì fu, per ordine del principe, condotto in uno de’ più begli appartamenti del palazzo, e trattato dai servi della corte con ogni riguardo. Intanto, Gioseffo ingiunse la notte seguente al favorito Hulland di far i preparativi necessari, e partì con lui e l’eunuco; giunti in pochi giorni sulle sponde del lago, lo traversarono, e con alto giubilo di Haifa entrarono nella cittadella. Le pene d’una lunga assenza raddoppiarono i loro trasporti per questa riunione, ed i due amanti fruirono d’una felicità [p. 244 modifica] ancor più Viva che prima della loro separazione. Il fedele Alì-Ben-Ibrahim fu congedato con ricchi doni, e tornò alla corte di Mir Gyhane. Al suo arrivo, il sultano, il quale ardeva di voglia d’aver nuove della figliuola, lo condusse nel suo gabinetto; mentre gli facea varie domande, venuto a cadere all’eunuco il turbante, ne rotolarono sul pavimento le pietre preziose che vi stavano avvolte nelle pieghe, insieme ad una carta su cui erano succintamente riferite le avventure di Gioseffo e di Haifa, e la missione di Alì alla città di Sind. Il sultano riconobbe i gioielli, esaminò il turbante per sapere se contenesse qualche altro oggetto, e trovatovi il foglio che dicemmo, lo lesse colla massima avidità. Trasportato di sdegno, e vedendo riuscite inutili tutte le sue precauzioni per evitare la terribile profezia che lo minacciava, chiese con voce terribile ad Alì, tutto tremante, se Gioseffo si trovasse ancora colla figlia. Dietro la sua affermativa, ordinò di preparare immediatamente quant’era d’uopo per la sua partenza, nella speranza di sorprendere il seduttore, e d’impadronirsi della di lui persona, comandando nel medesimo tempo al suo esercito di recarsi sulle sponde del lago, ed attendarsi colà in faccia alla cittadella. L’infelice eunuco fu gettato in prigione, carico di ferri; ma sempre ligio ai due amanti, ottenne dal carceriere, nella stessa notte, per mezzo d’una grossa somma di denaro, il permesso di mandar alla principessa, mediante fedel messaggero, un viglietto per prevenirla della disgrazia accaduta, sperando che tale avviso le dovesse giungere abbastanza in tempo acciò potesse darsi con Gioseffo alla fuga, e riparare nel paese di questi. Per buona fortuna, gli amanti ricevettero il messaggio all’indomani mattina. All’istante medesimo consultarono sulle misure da prendere, e si convenne che, invece di fuggire entrambi, Gioseffo ed il suo fido tornerebbero [p. 245 modifica] soli a Sind, essendo la donzella incapace di sostenere le fatiche di sì rapido viaggio; ma che, per metterla fuor di pericolo, le schiavo direbbero al sultano essersene ella fuggita col suo diletto, sperando che, a tal nuova, ei si porrebbe ad inseguire il principe senza poterlo raggiungere. E fu parimenti deciso che Gioseffo, giunto in patria, manderebbe a Mir Gyhane un' ambasciata per annunziargli il suo matrimonio colla di lui figliuola, e domandargli perdono insieme al permesso d’andar ad ossequiarlo come genero. Riuscì lo strattagemma, ma nessuna precauzione potè impedire l’adempimento della profezia fatta al nascer della principessa, che sarebbe, cioè, cagione dell'onta e della morte del padre.

«Mir Gyhane giunse alla cittadella poche ore dopo Gioseffo, e seppe dalle donzelle di Haifa che questa lo aveva accompagnato nella fuga. A tal nuova, il sultano furibondo, strascinato dalla maligna sua stella, e senza fermarsi ad esplorare il palazzo entro al quale stava nascosta la figlia, corse a raggiungere le truppe accampate sul margine del lago, e si mise in traccia del principe di Sind. Invano il vecchio padre di Gioseffo spedì al sultano Mir Gybane un’ambasciata; questi penetrò sul territorio nemico, mettendovi tutto a fuoco ed a sangue, ricevette l’ambasciatore con insultante fierezza, e gli comandò di tornare al suo padrone ed annunziargli che non mai perdonerebbe il disonore della propria figliuola; che aveva fatto solenne giuramento di distruggere il regno di Sind, arderne la capitale, e dissetarsi nel sangue del sultano e di suo figlio. La qual minacciosa risposta più non lasciò al sultano ed a Gioseffo altro partito fuor di combattere l’accanito nimico. Radunate pertanto le schiere, marciarono contro a Mir Gyhane, e lo disfecero, dopo ostinatissimo combattimento, nel quale egli perdette la vita.» [p. 246 modifica]

NOTTE DXCVI

— Dopo la battaglia, Gioseffo trattò i vinti con umanità, e fece imbalsamare il corpo del misero re, che fu con religiosa pompa trasportato, su magnifica lettiga, seguita da numerosa scorta, alla capitale di Hind, e deposto, con tutte le cerimonie funebri convenienti al grado del defunto, in un superbo mausoleo da lui fatto erigere secondo l’uso de' monarchi d’Oriente. Il principe in pari tempo scrisse lettere di condoglianza alla madre di Haifa, nelle quali deplorava la sorte di quel principe, a cui era stato costretto, contro sua volontà, di resistere colle armi in pugno, partecipandole inoltre il violento suo amore per la di lei figliuola, e soggiungendo, che la mano della sua diletta era l’oggetto de’ suoi più cari voti, poichè tal modo lo avrebbe messo in grado, di consolare nella sua disgraziata madre dell’amante. La sultana, che già sapeva la vittoria decisiva dell’avversario, come anche la morte dello sposo, e la quale, lungi dal calcolare sopra una condotta sì generosa, attendersi di vedere l’irritato vincitore assediare la sua capitale, trovò qualche sollievo alle proprie pene nella speranza di prevenire la ruina de’ popoli, ed acconsentì alle nozze d’Haifa e di Gioseffo. Dietro quindi la favorevole sua risposta, il principe recossi subito alla cittadella del lago, e condusse alla capitale di Hind la vezzosa prigioniera, non meno impaziente di suggellare la loro unione; allo spirare del tempo stabilito pel duolo, gli sponsali furono celebrati con tutta magnificenza in mezzo alle unanimi [p. 247 modifica] acclamazioni del popolo, che riconobbe l'autorità dei nuovo sultano, ned ebbe in seguito motivo di lagnarsene. Prima cura del monarca fu di annunziare al califfo Mamun, allora Commendatore de’ credenti a Bagdad, gli avvenimenti accaduti, mandandogli nel tempo stesso una grossa somma di danaro e gli oggetti più rari dei paesi di Hind e di Sind, tra cui trovavansi dieci delle più belle schiave, espertissime nell’arti del canto, della danza e della poesia. Ciascuna di queste declamò davanti al califfo alcuni versi improvvisi, nei quali dipingevano con tal eloquenza, ed in modo sì commovente il desiderio di tornare appo il loro amato sovrano, che Mamun, allettato dello spirito o della bellezza loro, sagrificò il proprio affetto, e le rimandò a Gioseffo per mezzo del medesimo ambasciatore. Poscia, i due sposi, a’ quali il cielo concesse numerosa prole, vissero felici, e cari ai propri sudditi, de’ quali assicurarono la prosperità.»

Finita questa novella, la sultana delle Indie affrettossi di cominciarne un’altra, con sommo diletto del consorte.