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ancor più Viva che prima della loro separazione. Il fedele Alì-Ben-Ibrahim fu congedato con ricchi doni, e tornò alla corte di Mir Gyhane. Al suo arrivo, il sultano, il quale ardeva di voglia d’aver nuove della figliuola, lo condusse nel suo gabinetto; mentre gli facea varie domande, venuto a cadere all’eunuco il turbante, ne rotolarono sul pavimento le pietre preziose che vi stavano avvolte nelle pieghe, insieme ad una carta su cui erano succintamente riferite le avventure di Gioseffo e di Haifa, e la missione di Alì alla città di Sind. Il sultano riconobbe i gioielli, esaminò il turbante per sapere se contenesse qualche altro oggetto, e trovatovi il foglio che dicemmo, lo lesse colla massima avidità. Trasportato di sdegno, e vedendo riuscite inutili tutte le sue precauzioni per evitare la terribile profezia che lo minacciava, chiese con voce terribile ad Alì, tutto tremante, se Gioseffo si trovasse ancora colla figlia. Dietro la sua affermativa, ordinò di preparare immediatamente quant’era d’uopo per la sua partenza, nella speranza di sorprendere il seduttore, e d’impadronirsi della di lui persona, comandando nel medesimo tempo al suo esercito di recarsi sulle sponde del lago, ed attendarsi colà in faccia alla cittadella. L’infelice eunuco fu gettato in prigione, carico di ferri; ma sempre ligio ai due amanti, ottenne dal carceriere, nella stessa notte, per mezzo d’una grossa somma di denaro, il permesso di mandar alla principessa, mediante fedel messaggero, un viglietto per prevenirla della disgrazia accaduta, sperando che tale avviso le dovesse giungere abbastanza in tempo acciò potesse darsi con Gioseffo alla fuga, e riparare nel paese di questi. Per buona fortuna, gli amanti ricevettero il messaggio all’indomani mattina. All’istante medesimo consultarono sulle misure da prendere, e si convenne che, invece di fuggire entrambi, Gioseffo ed il suo fido tornerebbero