Le Danaidi/Libro primo/La Città dov'io nacqui
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I.
La città dov'io nacqui è in Orïente,
Tra un gran monte di marmo e la marina,
E mira di lontan, vasta, fulgente,
Spandersi dell'Egeo l'onda turchina.
Ebra d'aria e di sol, tacitamente
Sogna un'antica visïon divina,
E fra le rose, e fra gli ulivi sente
Fremer non morta la sua gran rovina.
La città dov'io nacqui ebbe più lieti
Giorni, e invitta regnò sul mar profondo,
E di sé popolò remote arene;
E fu d'eroi, di saggi e di poeti
Madre feconda, e fu maestra al mondo:
La città dov'io nacqui ha nome Atene.
II.
Sorgea la dolce casa, ove il primiero
Vagito io diedi e apersi gli occhi al sole,
Del clivo al piè, sulla cui cima altero
Il Partenon drizza la sacra mole.
Avea presso un giardin, triste e severo,
Benchè di rose pieno e di vïole,
E un gran cipresso, avviluppato e nero,
Aduggiava di fredda ombra le ajuole.
V'era, pien d'acqua, e di figure adorno,
Un sarcofago antico, alla cui sponda
Veniano a ber le rondini dal cielo.
Alto silenzio empieva l'aria intorno,
E nella pace estatica e profonda
Non si vedea crollar foglia nè stelo.
III.
Placide veglie e di dolcezza piene,
Protratte al lume delle amiche stelle,
Oltre il costume sfavillanti e belle
Nel puro ciel che ti ricopre, Atene!...
Oh, dalle labbra di canute ancelle
Udir ricordi di gioje e di pene,
E ritornelli blandi e cantilene,
E d'orchi e di malie lunghe novelle!
E udir Demetrio, il vecchio montanaro,
Che ancor mostrava sulla fronte bruna
Profondo un solco d'ottoman cangiaro,
Narrar Lerna e Corinto e il fato atroce
Di Missolungi e, sulla mezza luna,
Vittorïosa la risorta croce!
IV.
O in dïafani cieli adamantini
Albe serene e radiose aurore;
nell'orïental vasto nitore
Marmoree balze e culmini turchini;
Mar di vïola che nel ciel sconfini;
Mar sulle cui lucenti onde sonore
Saettan via le rondini in amore
E mansueti scherzano i delfini;
Valli d'ulivi e di cipressi ombrate,
Ov'io fanciul le tenere querele
Degli usignuoli innamorati appresi;
Care memorie, imagini beate.
Vi serberò nel cor puro e fedele
Fin ch'avrò vita e viver più mi pesi.
V.
Fioriva il mese tenero e giulivo
Ch'empie di canti le foreste ombrose,
E d'un ardore incognito e furtivo
Scalda il petto alle vergini ritrose.
Tutto di bianche e di vermiglie rose
Ridea nel lume mattinale il clivo,
A fresca neve sulle zolle erbose
Simili quelle, e queste a sangue vivo.
Era tutta una luce e una fragranza
L'aria e tra i densi allori una canora
Esultanza di zefiri errabondi.
Oh dolcissimo sogno! oh rimembranza!
Come, degli anni trïonfando, ancora
Di letizia e d'amore il cor m'inondi.