Le Danaidi/Libro primo/La Città dei Titani
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LA CITTÀ DEI TITANI
Sotto la plaga ove s'accende il giorno
Sorge in mezzo a una landa isterilita,
Tutta da monti asserragliata intorno,
Una città deserta e non finita.
Dacché dell'uom l'aspro lignaggio dura,
Non vider mai d'Asia o d'Egitto i soli
Più smisurate e più superbe moli
Rivaleggiar col tempo e la natura.
Palazzi son di prodigioso stile,
D'augusta pompa e di sottil lavoro,
A paragon di cui parrebbe vile
Qnal reggia splende più di marmi e d'oro.
Son piramidi eccelse e propilei
D'erte colonne e di profondi varchi;
Son torri e logge, son teatri ed archi
Sculti di arcani emblemi e di trofei.
Da ogni parte ponderoso ed aspro
S'erge il granito, colorata ride
Copia di marmi, sfolgora il diaspro,
Vittorïoso il porfido s'asside.
E in infiniti modi, in ogni parte,
Nell'opra ingente e nel maggior disegno,
A sovrumana possa, a divo ingegno
Appar congiunta inimitabil arte.
Ma tra le moli erette al ciel, di cui
Sublime e densa è la città, non tempio
Sorge, non sorge altar, che porga altrui
Di devoto e servile animo esempio.
E fra le incise pietre e i simulacri,
Onde s'avviva la città deserta,
Di nume effigie non appar, che offerta
prece chiegga e servitù consacri.
Le invitte mura, cui nè sol nè gelo
Offender può, sono immortal fatica
Di quei titani ch'ebber padre il Cielo
E uscir dal grembo della Terra antica.
Ei lasciâr l'opra, a più solenni prove
Accinti e stretti, allor che, pieni il core
Dell'odio antico e di novo furore,
Mossero guerra al saettante Giove.
Furon vinti; ma ancor treman le invase
Sfere e dei numi la fulgente stanza;
E ad attestar l'orba città rimase
L'alto senno dei vinti e la possanza. —
Eran già molti secoli passati
Da quella gran vittoria degli dei,
Quando un errante popol di pigmei
Giunse a caso in quei luoghi abbandonati.
Un popol dico di pigmei, nè buoni
Nè cattivi, e non brutti e nemmen belli;
Sì bene un po' bugiardi, un po' ghiottoni,
Superbiosetti molto e saputelli.
Ei tutto un dì, con baldanzoso ciglio,
Andâr squadrando quelle antiche mura,
Poi tutti s'adunâr sopra un'altura,
E bravamente tennero consiglio.
E parlarono a lungo, e da dottori,
D'arte, di gloria, di virtù, d'eroi;
E finalmente dissero: Signori,
Questa città la finiremo noi.
E si poser co' piedi e con le mani
A lavorar, da senno, e non per fola;
Ma non ci fu mai verso che una sola
Pietra all'opra aggiungesser dei titani.
Di nuovo allor s'accolsero a un supremo
Congresso, e gonfii d'ira, con feroce
Animo uiiaron tutti ad una voce:
Questa città noi la distruggeremo.
E sudarono assai, però che al suolo
Di spianarla intendeano ad ogni costo;
Ma non ci fu verso giammai che un solo
Di quei massi movessero dal posto.
Stanchi alfine, e di noja e maltalento
Pieni, sbrattaron dal paese i nani;
E aspetta la città che i suoi titani
Tornino a darle vita e compimento.