Le Danaidi/Libro primo/Il Titano sepolto
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IL TITANO SEPOLTO
Tale del bieco iddio sonò la cruda
Sentenza: Empio titan, sotto l'incarco
Tu languirai del monte, infin che un varco
All'aurea luce, di tua man, ti schiuda. —
Tonò dall'alto il nume e le parole
Avvelenò d'amaro scherno. Tacque
Fremendo il vinto, e sotto l'alta mole
Curvato sì, ma non prosteso, giacque.
Giacque sepolto nell'orrende, cupe,
Infernali latèbre, avvolto e stretto
Ai fianchi, al dorso, alla cervice, al petto,
Fin sopra il cor, dalla ferrigna rupe.
Ma quel cor non tremò, nè l'ima ambascia
Spremer potè da quelle labbra un guajo.
Nella man destra egli stringeva un'ascia,
Una grand'ascia d'incorrotto acciajo.
E dal carco mortal quella immortale
Man gravata non era. Ei con un ghigno
Muto, con una forza equa e fatale,
A ferir cominciò l'aspro macigno.
Di qua, di là, di su, di giù l'invitta
Scure a guisa di folgore feriva:
Ad ogni colpo la rupe sconfitta
Stridea, volava in ischegge, s'apriva.
E notte e dì mai non cessava l'opra,
E cupamente ne muggiva il tuono
Giù nel profondo: il dio, nel ciel di sopra,
Sedea quïeto e glorioso in trono.
Siccome il tarlo roditor pel duro
Legno si trae con sinuose impronte,
Similmente il titan, lento e sicuro,
Per le tenaci viscere del monte.
E sulla terra maledetta a volo
Passan l'età, come le incalza il fato:
In cielo il dio vittorïoso e solo
S'è del vinto titan dimenticato.
Ma un dì con formidabile ruina
Si squarcia il fianco dell'eccelsa mole,
E roteando l'ascia adamantina
Il risorto titan s'affaccia al sole.
Biondi i campi di spiche ei mira e denso
D'arbori il giogo e il mar senza alcun velo,
E con un grido di letizia immenso
Sveglia la terra e fa tremare il cielo.