Capitolo XVIII

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XVII XIX
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XVIII.

Passò qualche tempo prima che Antoni tornasse. Maria tendeva l’orecchio ai minimi rumori della tanca, ed a misura che l’ora passava la sua tristezza e la sua inquietudine crescevano.

La luce del fuoco descriveva un semicerchio rossastro al di fuori dell’apertura della capanna: sopra la nera linea dei boschi tremolavano le stelle brillanti.

I cani s’erano calmati; soltanto uno, in lontananza, abbaiava ancora.

Finalmente il pastore tornò.

— Dev’essere proprio come ho detto io: devono aver trovato le traccie e inseguono i ladri. — disse; ma la sua voce era incerta.

— No, no, dev’essere accaduta una disgrazia; lo sento, — gemette Maria, balzando in piedi e torcendosi le mani con disperazione.

Il pastore cercava di rassicurarla, ma ella non udiva le parole di lui: provava una penosa sensazione, le pareva d’esser cieca o che la notte [p. 245 modifica]dovesse prolungarsi eterna. A chi rivolgersi por implorare soccorso? Le pietre, l’erba, le piante, non si sarebbero mosse; gli uomini non potevano nulla contro il fato mostruoso che doveva avvolgere Francesco.

— Francesco? Francesco?

Egli non rispondeva: nessuno rispondeva

— Se non mi avesse promesso di ritornare! Ma egli ha promosso: e poi, forse che una vacca può premergli più di me? Egli sa che sono qui sola, di notte...

Il pastore sentiva che ella aveva ragione, ma la confortava:

— Non è poi tardi: guarda le stelle; saranno le nove e mezzo. Perchè ti disperi così? Non sei poi una bambina.

— Andiamo, cerchiamo ancora; voglio venire anch’io.

Ritornarono verso l’ovile di Antoni: Maria barcollava e il pastore doveva sostenerla. Nella capanna trovarono un pastore anziano, il quale persuase Maria a riposarsi ed a stare tranquilla.

— Vedrai, — disse. — fra poco Francesco sarà di ritorno. Perchè hai paura? Certo, egli ha fatto male a lasciarti sola; ma chissà, il puntiglio o l'idea di acciuffare i ladri gli ha fatto dimenticare il suo dovere. Per punirlo, sta qui: così quando egli ritorna nel vostro ovile e non ti ritrova proverà un po’ d’inquietudine. Sdraiati qui, su questo sacco. Antoni andrà ancora in giro, io veglierò. Non aver paura; chi può far del male a Francesco Rosana? [p. 246 modifica]

Maria sedette sul sacco: il suo viso sembrava di cera.

Chi poteva far del male a Francesco Rosana? Ella sola lo sapeva.

— Oggi, — disse il pastore, mentre Antoni si allontanava ancora, — oggi ho sentito Francesco questionare col servo. E che, non vanno d’accordo?

— No; ed è appunto di Turulia che io temo. Francesco diceva che questo brutto ceffo ha cattive relazioni, e che probabilmente è d’accordo coi ladri delle vacche. Ve lo dico in confidenza, eh?

— Sta tranquilla, non lo ripeterò; ma anche gli altri pastori hanno sentito Francesco e Turulia litigare.

Maria tacque e socchiuse gli occhi.

Il pastore la credette assopita e uscì fuori. Ma ella non dormiva: la disperazione cresceva in lei, la invadeva tutta, l’affogava, come un’acqua silenziosa che salisse, salisse implacabile.

— Francesco è morto, ed è Pietro che lo ha ucciso... Ed io devo tacere...

Questo pensiero non l’abbandonò più; tuttavia ella sperava d’ingannarsi, ed aspettava, aspettava. A momenti lo sembrava di udire il passo leggero di Francesco avvicinarsi; apriva gli occhi e guardava, ma al barlume giallognolo del fuoco scorgeva solo il profilo nero del pastore che vigilava seduto accanto all’apertura della capanna.

— Zio Andria, non si vede nessuno?

— Nessuno ancora. Sta tranquilla e dormi: verranno fra poco. [p. 247 modifica]

Ella richiuse gli occhi, mentre grosse lagrime ardenti le solcavano il viso e le bagnavano le labbra tremanti.

«Sta tranquilla e dormi». Che ironia!

Sì, Francesco doveva esser morto: forse era soltanto ferito, forse chiedeva aiuto. Ed ella era là, immobile, coi denti stretti e le unghie ficcate nelle palme delle mani pulsanti... Perchè non si muoveva? Perchè non gridava?... Ah, le pareva che il rimorso la paralizzasse tutta.

— Francesco è morto, e la colpa è mia... — pensava.

Riaprì gli occhi lagrimosi.

— Zio Andria, non si vede nessuno? Bisogna muoverci, andiamo: io muoio se sto qui... Voglio andare in paese, avvertire mio padre...

— Ma va, sei pazza? Dove vuoi andare?... Ora verranno, vedrai. Sta tranquilla. Verranno!

Ah, se ciò fosse! Se tutto non fosse che un brutto sogno!

Ora tutto taceva; l’oriente s’imbiancava, il bosco rabbrividiva lievemente, in attesa della luna, le stelle parevano più grandi e più brillanti, e la notte seguiva il suo corso, insensibile al dolore delle creature smarrite nella terra silenziosa.

Maria piangeva e pensava:

— Che accadrà se Francesco è morto, come io temo? Io devo tacere, per il mio, per l’onore della sua memoria. Le mie labbra non devono aprirsi, e questo sarà il mio più terribile castigo. Ma che [p. 248 modifica]accadrà, mio Dio, che accadrà? Ah, avevo ben ragione di temere: ero troppo felice!

E ricordava ora tutti i particolari del mio romanzo d’amore, tutti i baci che Pietro le aveva dato, la promessa del giovine servo: «Io non ti farò mai del male».

— A me no, ma a lui, a Francesco... Ah, che giorno funesto fu mai quello in cui decidemmo di accogliere Pietro nella nostra casa... Però, e se io m’inganno? Forse ha ragione zio Andria: nessuna disgrazia è accaduta. All’alba Francesco tornerà: che dirà non trovandomi nel nostro ovile?...

La stanchezza la vinceva: il sonno cadeva su lei come una coperta di velluto, morbida e tiepida...

— Bisogna che io vada, — pensava Maria, ma non poteva muoversi.

D’altronde, dove andare? La luna non era spuntata ancora; Antoni non tornava, il pastore anziano andava e veniva dalla capanna alla muriccia della tanca.

— Zio Andria, zio Andria, nessuno viene; che notte dolorosa, — mormorava Maria, quando la figura del pastore appariva sull’apertura della capanna. — Io voglio muovermi, cercare, andane a Nuoro...

— Ma dormi, figlia mia! Se nessuno viene, buon segno. Vuol dire che sono tutti sulle traccie dei ladri.

— Ritorniamo nel nostro ovile, — ella propone.

— Aspetta almeno che sorga la luna. [p. 249 modifica]

Ella chinò ancora la testa e s’assopì.

Le parve di aver dormito appena un momento, ma quando si scosse vide la luna alta sul cielo, e balzò in piedi rabbrividendo.

— Zio Andria! Zio Andria...

Nessuno rispose. L’avevano dunque lasciata sola, l’avevano abbandonata! Ella sentì voglia di gridare come una bambina smarrita, ma poi si scosse, uscì fuori della capanna, si guardò attorno e s’avviò.

La luna, al suo ultimo quarto, illuminava le tancas con un barlume giallognolo, quasi funereo.

— Se anche zio Andria s’è allontanato deve essere accaduta una disgrazia, — pensò Maria.

E d’un tratto sentì un coraggio supremo animarla: affrettò il passo, varcò la muriccia, s’inoltrò nel bosco e seguì il piccolo sentiero sul quale la luna, attraverso i rami delle quercie, gettava un ricamo giallognolo, un chiarore vago e triste.

Spinta dal suo dolore e dal coraggio della disperazione, Maria camminava sotto il bosco, nella notte morente, come una figura da leggenda: le cose più tragiche, il chiarore della luna calante, il bosco misterioso, la paura, il presentimento, il rimorso, la disgrazia e il delitto la circondavano; ma ella passava fra tutte queste cose con quella sua forza di volontà inconsapevole che formava il suo carattere e la guidava attraverso la vita come attraverso un bosco tenebroso.

Non piangeva più: voleva sapere, voleva convincersi: il suo maggior dolore era l’incertezza [p. 250 modifica]

Arrivò davanti alla capanna e si fermò qualche tempo ad ascoltare.

La radura taceva; tacevano i prati d’un grigio verdastro sotto la luna; taceva il bosco e tutta la tanca: la luna saliva, saliva e l’oriente diventava chiaro, vitreo.

Maria si diresse verso l’altra estremità della tanca, a nord, dov’era il cancello. Le pareva di udire, a intervalli, una voce lontana; attraversò il letto del ruscello, dove correva un filo d’acqua gialla sotto lo smorto chiarore della luna, e si fermò ancora, ascoltando, con gli occhi fissi ad oriente come per invocare la luce.

La sfumatura bianca dell’orizzonte diventava sempre più lucida: la stella del mattino tremolava come una lagrima d’argento sopra i monti lontani. E la brezza finalmente scuoteva la melanconica serenità del paesaggio; l’erba e le foglie si svegliavano; un’allodola cantò in lontananza, sopra le roccie, e le sue note parvero unirsi al tremolìo della stella del mattino.

Maria riprese il suo triste viaggio: si sentiva tutta umida di rugiada, tutta fredda di angoscia e di stanchezza, ma la volontà la sosteneva, la spingeva come una suggestione potente.

Di nuovo udì qualche voce lontana: i cani ricominciavano ad abbaiare, la tanca si svegliava.

Quando Maria arrivò al cancello le voci vibrarono più distinte ma ancora lontane, ed a lei parve giungessero dal sentiero assiepato. [p. 251 modifica]

Allora si mise a correre, s’inoltrò nel sentiero ed arrivò allo svolto, sotto le roccie dalle quali un giorno aveva creduto scorgere la figura di Pietro Benu.

Tre uomini stavano fermi fra le pietre e l’erba: udendo i passi di Maria si volsero, emisero esclamazioni di sorpresa e di dolore, poi si unirono tentando d’impedirle il passo. Ma ella vedeva...

Non gridò, non disse parola: respinse uno degli uomini che la teneva per le braccia, s’avanzò e cadde in ginocchio.

Francesco Rosana era là, steso sull’erba calpestata, col viso quasi tutto nascosto da un cespuglio d’asfodelo. Si scorgevano solo le sue orecchie, la nuca, i capelli irti, una guancia bianchissima. Larghe chiazze di sangue nerastro macchiavano le sue vesti, le pietre e l’erba: anche la sua mano destra, con la palma rivolta all'insù, era coperta di sangue.

Accorgendosi ch’egli era morto i pastori non l’avevano mosso, in attesa delle Autorità che uno di loro era andato ad avvertire.

La luce argentina dell’alba penetrava attraverso le quercie ed i rovi che tremolavano alla brezza; sulla siepe già i fili dei ragni, sparsi di goccie di rugiada, brillavano simili a fili di perle; e l’allodola proseguiva il suo canto, e dall’alto delle roccie solo la luna pareva vigilasse il cadavere, come un cero funebre.