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portan l’impronta dei secoli. Non è troppo in buono stato. È desiderabile che il R. Governo, l’Economato, che il Soprintendente alla conservazione delle opere artistiche, qualcuno insomma, prenda cura di questo che è un monumento non ispregevole della storia dell’arte Italiana.

E l’arte è il più caro patrimonio che ci lasciarono gli avi.

Colla colonia estiva infantile e per ragione di questa, in modo speciale, vennero a Montepiano personaggi distinti che posero mente a quanto c’era di pregevole nella vetusta chiesa dei monaci Vallombrosani e vi richiamarono l’attenzione delle autorità competenti. Queste, accolte le giuste osservazioni, posero cura si notasse diligentemente quanto vi fosse degno di merito, almeno per la storia dell’arte, ed il Cav. Guido Carocci, adempì da par suo il nobile ufficio. Così avvenga che la chiesa sia dichiarata, per quel tanto che vi ha di pregevole, monumento nazionale, e convenientemente restaurata! I vispi fanciulli fiorentini, avranno recato, un’altra buona fortuna all’ospitale Montepiano.

Le mura della chiesa, vuolsi fossero dipinte per mano del Cimabue e di Giotto, se non che, per la solita sapienza, furon tutte rese d’un colore uniforme. Solo era stata risparmiata un’immagine di S. Cristoforo, ai cui piedi è un’iscrizione in caratteri longobardici. Sulla parete sinistra si vede un bassorilievo in terracotta, (ne abbiamo già parlato) che rappresenta uno dei miracoli di B. Pietro, con, al disotto, un ricordo esplicativo. In tanto miserando stato era tenuta la chiesa (del resto la prebenda ammessa alla parrocchia è cosa meschinissima), che l’intonaco cadeva a brani staccandosi dal muro e lasciava veder tratti di figure dipinte, cosa che faceva