La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo V

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Capitolo V.

Perchè e come il buon Re si crociò, e come con esso presi io anche la Croce.


Appresso queste cose avvenne che ’l Re cadde in una molto grande malattia istando a Parigi, e funne talmente al basso, siccome poscia gli udii raccontare, che l’una delle Dame che lo guardava in sua malattia, credendo ch’e’ fusse trapassato, gli volle coprire il viso di uno lenzuolo, dicendo ch’egli era morto. E dell’altra parte del letto, in così come a Dio piacque, ci ebbe un’altra Dama, la quale non volle soffrire che gli fosse coverto il viso, e se gli desse sepoltura, ma sempre diceva che [p. 43 modifica]ancora gli bastava la vita. Sul che, durando il discordio di quelle Dame, di tratto il Signore operò in lui e gli donò la parola. E questa fu per dimandare che gli si apportasse la Croce, il che fu fatto. Or quando la buona Dama sua Madre seppe ch’egli avea ricovrato la parola, ella n’ebbe gioia sì grande che più non potea essere, ma quando, accorsa, il vide crociato, ne venne a meno così come s’ella l’avesse veduto morto1.

E in quel tanto che ’l buon Re si crociò, si crociarono anche Roberto Conte d’Artois, Alfonso Conte di Portieri, Carlo Conte d’Angiò che fu dappoi Re di Cicilia, i quali tutti tre erano fratelli del Re, ed Ugo Duca di Borgogna, Guglielmo Conte di Fiandra, suo fratello Guidone che poi non ha guari morì a Compiègne; il valente Conte Ugo di San Polo, Messer Gualtieri suo nipote, lo quale molto bene si portò oltre mare, ed avrebbe molto valuto, se avesse vissuto lungamente. Altresì fecero il Conte della Marca, di cui non ha guari parlammo, e Messere Ugo il Bruno e suo figliuolo il Conte di Salebruche, Messer Gualberto d’Aspromonte e’ suoi fratelli. Nella compagnia del quale io Giovanni di Gionville, per ciò che eravamo cugini, passai il mare in una piccola nave che noi allogammo. Noi eravamo in tutto venti Cavalieri, de’ quali di sua parte egli era il decimo, ed io il decimo di mia parte, e fu ciò appresso Pasqua l’anno di grazia 1248. Ma avanti la mia partenza io mandai a’ miei [p. 44 modifica]uomini e suggetti di Gionville che venissero tutto dinanzi a me la vigilia della detta Pasqua, che fu il giorno in che nacque Giovanni mio figliuolo Signore di Ancarville, che fu della prima mia donna, sorella del Conte di Gran Prato2. Io fui tutta la settimana a fare feste e banchetti con mio fratello Gioffredo Sire di Valcolore, e tutti li ricchi uomini del paese che là erano, ed appresso che avevamo bevuto e mangiato, dicevamo canzoni gli uni dopo gli altri, e dimenavamo gran gioia ciascuno di sua parte. Ma quando venne il Venerdì io dissi loro: Signori, sappiate ch’io me ne vo oltre mare, e sì non so s’io ritornerò giammai o no. Pertanto se ci ha nullo tra voi a chi per avventura abbia fatto alcun torto, e che si voglia lagnare di me, si tragga avanti, perch’io lo voglio ammendare qualmente ho in costume di fare a coloro che si dolgono di me o di mie genti, siccome a voi tutti è noto. Ed affinchè non avessi appoggio o vantaggio alcuno, durante il loro consiglio, mi tirai in disparte, e ne volli credere tutto ciò ch’essi me ne rapporterebbono senza nulla contraddizione3. E sì [p. 45 modifica]il faceva per ciò ch’io non voleva importare a torto un solo danaio: talchè per fornire il mio caso ingaggiai agli amici gran quantità di mia terra, tanto ch’egli non mi dimorò punto più di mille dugento lire in rendita di terre, perchè Madama mia Madre4 viveva ancora, la quale teneva la più parte delle mie cose in suo dotamento. Così partii io decimo de’ Cavalieri miei, come vi ho detto dinanzi, con tre bandiere: e questo vi ho raccontato io, per ciò che se non fosse stato l’aiuto ed il soccorso di Dio, che giammai non mi obbliò, io non avrei saputo portare tal fascio quale fu il mio per lo tempo di sei anni in che fui per la Terra Santa in pellegrinaggio.

Quando fui presto di partire, e tutto in quella ch’io voleva movere, Giovanni Sire d’Aspromonte e il Conte di Salebruche inviarono verso me a sapere s’io voleva che noi andassimo insieme, da che essi erano tutto pronti coi Cavalieri loro. Ciò ch’io avendo consentito molto volontieri, femmo, come ho predetto, allogare una nave a Marsiglia, che ci portò e condusse tutti insieme arnesi e cavalli.

E ben sappiate che avanti il partire il Re mandò a Parigi tutti li Baroni di Francia, e loro fece fare fede ed omaggio e giurare che lealtà essi porterebbono [p. 46 modifica]a’ figliuoli suoi se alcuna mala cosa avvenisse di sua persona nel santo viaggio d’oltre mare. E similmente mandò egli a me; ma io che punto non era suggetto immediatamente a lui, ma rilevava dal Conte di Sciampagna, non volli fare alcun sagramento. E quando io volli partire e mettermi alla via, inviai cercare l’Abbate di Cheminone, che di quel tempo era tenuto il più produomo che fusse in tutto l’Ordine bianco5 per riconcigliarmi a lui. Ed egli, poi che m’ebbe ascoltato, mi diè e cinse la mia scarsella, e mi mise il mio bordone alle mani. E tantosto io me ne partii di Gionville, senza che rientrassi unqua poi nel castello sino al ritorno del viaggio d’oltre mare; e me ne andai primamente a santi peregrinaggi che erano lì presso, cioè a Blecorte, a Sant’Urbano, ed in altri santi luoghi tutto a piè, scalzato e in pannucci. Ed in quella che, andando da Blecorte a Sant’Urbano, mi convenne ripassare d’appresso al castello di Gionville, io non osai anche tornar la faccia verso di quello per troppa paura d’averne siffatto cordoglio che il cuore mi s’intenerisse di ciò ch’io lasciava i miei due figliuoli e il mio bel castello dove era tutto de’ miei e di me. Ma subito tirai oltre col Conte di Salebruche e con nostre genti e Cavalieri, e andammo desinare a Fontana-l’Arcivescovo davanti a Dongiò. E là lo Abbate di Sant’Urbano, a chi Dio faccia perdono, donò a me ed a’ miei Cavalieri de’ bei gioielli6 E poi prendemmo congedo da lui, e ce n’andammo dritto ad Ausonne, e colà mettemmo noi e [p. 47 modifica]nostri arnesi in battello sulla Saonna sino a Lione, e nostri cavalli e destrieri ammenavansi a mano costeggiando la riviera. E quando fummo a Lione noi là entrammo nella riviera del Rodano per andare in Arles il Bianco. Ed ho ben sovvenenza che, di lungo la via sovra il Rodano, trovammo uno castello che l’uomo appellava Rocca vischiosa, lo qual castello il Re avea fatto abbattere, per ciò che il Sire di quello, che avea in nome Roggero, tenea malvagio rinòmo di rubare e spogliare tutti li mercadanti e pellegrini che passavano per colà.

  1. La malattia del Re vien riferita all'anno 1243. I preparativi della Crociala durarono poi per più anni.
  2. Il n. a. s’era sposato giovinetto nel 1240 ad Alice sorella d’Errico Conte di Gran Prato, e ne avea avuto due figliuoli prima del suo passaggio per la Guerra Santa.
  3. Si veda il Serventese di Guglielmo di Muro, Ray, Choix ec. T. V. f. 203 ove tra l’altre cose si dice ai Crocesignati:
    Però ciascuno guardi come v’andrà guernito.
    Perchè Dio non vuole che coll’altrui guernimento,
    Di che altri a torto sia stato spossessato,
    Là passi null’uomo senza farne innanzi soddisfazione.
    Perch’io non credo che a tal uomo prometta
    Dio suo regno nè che suo amor gli doni,
    Sebbene là vada con arco e con saetto
    Perchè il soldo che prende supera il suo guiderdone.
    Non credo già da Dio bene accolto,
    Quel ricco che passi con li altrui doni,
    Nè quegli che a torto ha li suoi spogliati,
    O fa rubare per quell’occasione.
    Perchè Dio sa tutto che porta nella sua bisaccia,
    E se con torti va, travagliasi in vano.
    Che Dio vuol cuor fino con volontà netta
    E che l’uomo passi per Lui, non per doni.
  4. Beatrice figlia di Stefano Conte di Borgogna o di Auxonne.
  5. L'Ordine Cisterciense.
  6. Gioiello è piccolo e caro dono.