La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte seconda/Capitolo III

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Capitolo III.

Ove per inframmessa si tocca del Conte Errico di Sciampagna, e di Artaldo di Nogente il ricco borghese.


La terra, che il Conte Tebaldo donò alla Reina di Cipri, tiene al presente il Conte di Brienne che ora ci vive, ed il Conte di Ioingny, per ciò che l’avola del Conte di Brienne fu figliuola della Reina di Cipri e donna del gran Conte Gualtieri [p. 37 modifica]di Brienne. Ed affinchè sappiate donde vennero li feudi che il Signore di Sciampagna vendette al Re, di cui qui innanzi v’ho fatto menzione, io vi fo assapere che ’l gran Conte Tebaldo, il quale giace a Legny, ebbe tre figliuoli, di cui il primo ebbe in nome Errico, il secondo Tebaldo, e Stefano il terzo. Or quello Errico, che era il primo nato fu dappoi Conte di Sciampagna e di Bria, e fu appellato il Largo Conte Errico, perchè largo ed abbandonato fu egli tanto inverso Dio che inverso il mondo. Inverso Dio fu egli largo ed abbandonato com’egli appare alla Chiesa di Santo Stefano di Troix ed all’altre Chiese ch’elli fondò, ed ai gran doni ch’e’ vi faceva ogni giorno, come assai enne di memoria in tutta Sciampagna. In verso il mondo fu elli largo come bene apparve al fatto d’Artaldo di Nogente, ed in molte altre occasioni che troppo lungo sarebbe il voler raccontare. Ma del fatto del detto Artaldo farò ben io qui menzione. — Quell’Artaldo era il borghese in chi di quel tempo il detto Conte Errico credeva il più; e fu il detto Artaldo sì ricco uomo che di sua moneta fe’ far di levata tutto il castello di Nogente. Ora si avvenne che ’l Conte Errico volle un giorno discendere del suo palazzo di Troix per andare udir messa a Santo Stefano il giorno d’una Pentecoste. Ed a piè delle gradora della Chiesa si trovò a ginocchi un povero Cavaliere, il quale ad alta voce gridò e disse: Sir Conte, io vi richiedo al nome di Dio ch’egli vi piaccia donarmi di che maritare le mie due figliuole che qui vedete, perch’io son diserto e sì non ho di che farlo per me. — E [p. 38 modifica]Artaldo di Nogente, ch’era di drieto il Conte, disse a quel Cavaliere: Sir Cavaliere, voi fate male di domandare a Monsignore che vi doni, poi ch’egli ha tanto donato che non ha più di che. E quando il Conte ebbe ciò udito, egli si tornò verso Artaldo e gli disse: Ser Villano, voi non dite mica vero dicendo ch’io non ho più che donare, perchè ho io anche voi medesimo, ed ecco ch’io vi dono a lui: tenete, Cavaliere, io lo vi dono, e bene ve lo saprò guarentire. Di ciò il povero Cavaliero non fu punto isbalto, ma impugnò subito il ricco borghese per sua cappa bene strettamente, e gli disse ch’egli nol lascerebbe partire insino a che non gli avesse finito di suo riscatto. E così fu veramente, che, se volle uscirne, convennegli pagare sino a cinquecento lire di moneta, e renderne in questo modo servite le due figliuole del Cavaliere. Il che lasciando, seguiterò dicendovi che il secondo fratello di quell’Errico il Largo fu Tibaldo, il quale fu Conte di Blois, ed il terzo fu Stefano, il quale fu Conte di Sanserre. E questi due fratelli tennero loro Contee e Signorie dal loro fratello primo nato Errico il Largo, e appresso lui dagli eredi suoi che tenevano il paese di Sciampagna sino a che il Conte Tebaldo, di che femmo menzione, le vendette a Re San Luigi, come detto è qui davanti.