Pagina:Vico - La scienza nuova, 1, 1911.djvu/348

252 libro secondo - sezione seconda — capitolo secondo

e forse con più di verità detto questo che quello, perchè l’uomo con l’intendere spiega la sua mente e comprende esse cose, ma col non intendere egli di sé fa esse cose e col transformandovisi lo diventa.

II

Per cotal medesima Logica, parto di tal Metafisica, dovettero i primi poeti dar i nomi alle cose dall’idee più particolari e sensibili; che sono i due fonti, questo della metonimia e quello della sineddoche. Perocché la metonimia degli autori per l’opere nacque perchè gli autori erano più nominati che l’opere; quella de’ subbietti per le loro forme ed aggiunti nacque perchè, come nelle Degnità1 abbiamo detto, non sapevano astrarre le forme e la qualità da’ subbietti; certamente quella delle cagioni per gli di lor effetti sono tante picciole favole, con le quali le cagioni s’immaginarono esser donne vestite de’ lor effetti, come sono la Povertà brutta, la Vecchiezza trista, la Morte pallida.

III

La sineddoche passò in trasporto poi con l’alzarsi i particolari agli universali o comporsi le parti con le altre con le quali facessero i lor intieri. Cosi «mortali» furono prima propiamente detti i soli uomini, che soli dovettero farsi sentire mortali. Il «capo», per l’«uomo» (a)2 o per la «persona», ch’è tanto frequente in volgar latino, perché dentro le boscaglie vedevano di lontano il solo capo dell’uomo; la qual voce «uomo» è voce astratta, che comprende come in un genere filosofico il corpo e tutte le parti del corpo, la mente e tutte le facultà della mente, l’animo e tutti gli abiti dell’animo. Cosi dovette avvenire che «tignum» e «culmen» significarono con tutta propietà «travicello» e «paglia», nel tempo

  1. Degn. XLIX.
  2. (a) ch’è la principale e più cospicua parte dell’uomo, la qual voce, ecc.»