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Perchè tutte le uazioni credono in una divinità provvedente, onde quattro e non più si hanno potuto truovare religioni primarie per tutta la scorsa de’ tempi e per tutta l’ampiezza di questo mondo civile: una degli ebrei, e quindi altra de’ cristiani, che credono nella divinità d’una mente infinita libeia; la terza de’ gentili, che la credono di piìi dèi, immaginati composti di corpo e di mente libera, onde quando vogliono significare la divinità che regge e conserva il mondo, dicono «deos immortales»; la quarta ed ultima de’ maomettani, che la credono d’un dio infinita mente libera in un infinito corpo, perchè aspettano piaceri de’ sensi per premii nell’altra vita.

Niuna credette in un dio tutto corpo o pure in un dio tutto mente la quale non fusse libera. Quindi né gli Epicurei, che non danno altro che corpo e, col corpo, il caso; né gli Stoici, che danno Dio in infinito corpo infinita mente soggetta al fato (che sarebbero per tal parte gli spinosisti), poterono ragionare di repubblica né di leggi; e Benedetto Spinosa parla di repubblica come d’una società che fusse di mercadanti i. Per lo che aveva la ragion Cicerone, il qual ad Attico, perch’egli era epicureo, diceva non poter ■ esso con lui ragionar delle leggi, se quello non

cuiusdam lipsiensis, et appendicis loco adiecta sunt monita doininorum censorurn cum responsionibus auctoris. Accedit Index locupletissimus (Fraucofurti ad Msenum, Typis Matthiae Audiese, MDCOXVI).— Ma l’esame del libro (o meglio, d’una parte del libro) del R. non fu fatto dai censori dell’università di Ginevra, sì bene da quei di Lipsia (p. 776: «Notum est iis qui me norunt quod per biennium, fere huius «Pàysicceii quinque priora capita sustinuerint dominorum censorurn hi e Lipsia: examen»). Inoltre nei XXXYll Motiita onde constano quelle censure non v’è quello indicato dal V. Semplicemente, nella Prcefatio ad lector., % 1 (De inscriptione libri), il R. stesso, prevedendo per l’appunto l’obiezione di soverchia audacia, dice: «iVe arrogantius dictam putes Ph ysicam divina m, monco nullo alio respectu divinam dici quam ut mechanicce,hodie fere per totam, Europam fiorenti iamque paulatim marcescenti, intelligas esse oppositam».

1 Con questa profonda e giustissima definizione dell’utilitarismo spinoziano il V. voleva forse alludere in particolar modo al cap. XVI del Tractactus theologicus politicus (ediz. originale: Hamburgi, Apud Henricum Kiinrath, MDCLXX, pp. 175-186, spec. p. 177j: «.... quanto sit hominibus utilius secundum legem et certa nostrae rationis dictamina vivere, qucs, uti diximus, non nisi veruni hominum utile iaitendunt, nemo potest dubitare ^. Sui rapporti tra il V. e lo Spinoza, e la probabile influenza che per l’appunto il Tractatus theolog. polit. ehhe sul pensiero del primo, si veda B. Croce, La filosofia di G. B. V. (Bari, Laterza, 1911), cap. XVI.