La scapigliatura e il 6 febbrajo/Epilogo

Epilogo

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XVII


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EPILOGO.



Dal 6 febbraio 1853 sono passati più di due anni.


Siamo in estate del 1855; l’anno del cholera, e della guerra di Crimea.


È un magnifico mattino di agosto. Il sole da qualche ora uscito di dietro alle vette dei monti di Val-Travaglia, che sovrastano a Porto ed a Luino, diffuso con luce spanta e vaporosa sulla vasta superficie del Verbano, va suscitando innumerevoli punti luminosi sul tremulo cristallo delle acque, che sembrano palpitare innamorate sotto il suo raggio. I primi soffi d’un leggero tramontano lo increspano minutamente e fanno alzar qua e là le vele ai naviganti. Sul battello a vapore il S. Carlo, che salpato poco prima da Magadino, solca il lago [p. 305 modifica]nelle acque di Cannobbio, un giovine viaggiatore, seduto sull’estremità di prua a cavalcioni del bompresso, se ne sta con un sigaro in bocca, filosoficamente contemplando il magnifico spettacolo che gli si spiega dinanzi.

Il S. Carlo infatti metteva fuori la prora dalla punta di Cannero, e la scena imponente del maggior bacino appariva allo sguardo estasiato del giovine viaggiatore in tutta la sua magnificenza. E davvero essa è tale da suscitar l’ammirazione perfino nell’anima del più prosaico agente di cambio, o del più abbietto usuraio. Gli adoratori del lago di Como mi fanno ridere: dinanzi alla maestà del Verbano il povero Lario può andare a riporsi.

Il giovine stette in quella contemplazione più di un’ora, senza curarsi dello sbarco e dell’imbarco de’ passaggieri, che è il solito svago di chi percorre i laghi sul battello a vapore e non sappia che farne della bella vista.

Il quale svago, del resto, ha anch’esso il suo merito. Chi non sa come sia gradita la bellezza viaggiatrice? Chi non sa quanto sia potente l’effetto d’un bel viso di donna sul cassero d’un battello a vapore? Chi non sa quanti piccoli romanzi d’amore si tessano e si sciolgano in un tragitto sul lago?


Nel frattempo, infatti, se il giovine entusiasta del paesaggio, che se ne stava là fantasticando sulla punta di prora, si fosse voltato indietro a dar un’occhiata ai viaggiatori che erano saliti sul battello [p. 306 modifica]alla stazione di Cannero, avrebbe veduta una bellissima signora, accompagnata da un uomo di mezza età, che era andata a sedersi con lui sotto il tendale dei primi posti, a poppa.

Ella era così bella, e aveva qualche cosa di così attraente nella persona, che tutti gli sguardi stavano rivolti su di lei, come affascinati. Era impossibile guardandola di non sentir nell’anima un misto di ammirazione e di pietà: ammirazione per la sua bellezza; pietà pel misterioso e profondo dolore che si rivelava, forse suo malgrado, negli occhi divini e nell’estrema pallidezza delle guancie. Vestiva a lutto, che le stava a meraviglia, ed era stupendamente intonato coll’aria della sua fisonomia. Si sarebbe detto ch’ella spandesse intorno a sè un misterioso profumo di grazia e di malinconia.

L’uomo che le sedeva accanto e la sogguardava di quando in quando con tenera sollecitudine, pareva, a tutti i segnali, suo marito. Portava anch’egli il lutto sul cappello. Di quando in quando le rivolgeva la parola sottovoce con una specie di riguardo,... di discrezione delicata,... come se temesse di disturbarla. Le sue domande erano sempre brevi, e quando ella gli aveva risposto, o con un monosillabo, o con un leggero moto del capo, o con un mesto sorriso, egli taceva di nuovo per qualche tempo, e stava a riguardarla con affetto.

Quanto a lei, sarebbe stato difficile il dire se fosse ritrosa, o annoiata, o soltanto indifferente per quella discreta sollecitudine del suo compagno. In tutta [p. 307 modifica]la sua persona c’era un indefinibile languore; quel languore — come dice Byron — che non è riposo, e che negli infelici dissimula a stento la stanchezza d’un’anima che non ha più speranza, e che sta rassegnata sotto una sventura senza rimedio. Vi fu un momento, dopo un lungo silenzio, in cui suo marito le mostrò un elegante canotto a tre vele che orzava velocissimo a poca distanza. Ella staccò lo sguardo dall’orizzonte lombardo, guardò un momento quell’oggetto che attirava la curiosità di tutti gli altri passeggieri, e tornò subito a rimirar l’orizzonte come se là, in cielo, andasse cercando un’immagine, o una rimembranza. La sua anima non era quaggiù; una contemplazione più sublime non le lasciava volgere l’attenzione a ciò che le stava intorno. Indifferente perfino alle bellezze della natura, la mesta andava forse ascoltando nell’aura che scherzava nei suoi capelli una più celeste armonia.

Quando si fu quasi a Intra — la Manchester del Piemonte — ella si levò, e s’avvicinò alla sponda destra del battello per osservare i passeggieri che dovevano montare. Allora il suo volto si animò, e i suoi occhi vagarono a cercare nella folla una fisonomia conosciuta. Infatti quand’ella scòrse venir da lontano un vecchio e una giovine donna con un bambino in braccio, sul labbro della bella malinconica fiorì un ineffabile sorriso di gioia.

— Eccoli; — disse, stringendo il braccio di suo marito che l’aveva seguita, e additando gli aspettati che venivan giù frettolosi per la china dell’imbarcadero. [p. 308 modifica]

I sopraggiunti erano un vecchio nei settantacinque anni, una giovine nei venti e un ragazzino di due anni a dirne molti. La fanciulla vestiva modestamente alla cittadina; volendo indovinare s’avrebbe detto ch’era la cameriera, o la dama di compagnia della signora in lutto.

I saluti furono come di gente che sapesse di ritrovarsi, e che si fosse lasciata da poco tempo. La signora levò subito il bimbo dalle braccia della fanciulla, e se lo recò in grembo, dopo averlo baciato passionatamente. Ma poi, nel riguardarlo, un arcano pensiero passò repente in quell’anima; i di lei occhi mandarono un lampo di spasimo, e come se il contatto di quella creaturina le facesse male, la posò sulle ginocchia di suo marito, che l’accolse sorridendo. Ella si volse a parlare col vecchio e colla fanciulla.


Intanto il nostro giovine viaggiatore, sempre seduto là dinanzi, a cavalcione del bompresso, vedeva come per incanto spiegarsi dinanzi allo sguardo nuovi punti di vista e nuove bellezze. Il battello, girata la punta, così detta di Casniola, entrava a tutto vapore nel delizioso bacino delle isole Borromee, e il gigante delle Alpi gli sorgeva dicontro.

Di lì a poco però la sua contemplazione fu interrotta dalla voce rozza d’un inserviente — marinaio d’acqua dolce — che lo pregava di levarsi di là, avendo bisogno di fare in quel posto una manovra. [p. 309 modifica]

Il giovine, spiccato un salto, scese sul cassero e s’allontanò. Dati due passi, i suoi occhi s’incontrarono in quelli del vecchio montato a Intra poco prima, che usciva dal camerino dell’economo, dove era stato a levare i biglietti. Vederlo, stender le braccia con un’esclamazione di gioia, e muovergli incontro frettoloso fu la stessa cosa.

— Voi qui, professore? Caro Bartelloni! Chi mi avrebbe detto?... dopo tanto tempo...!

— Alfredo Gastoni! — sclamò alla sua volta il vecchio dopo averlo riconosciuto.

E si abbracciarono affettuosamente.

— Donde venite? — fu la prima domanda del professore.

— Da Lugano; vale a dire da Parigi dove sono stato due anni; e ora vado dritto in Crimea ad uccidere un po’ di Russi, od a farmi uccidere da essi... Oh ma, — ripigliò tosto con un sorriso — sapete, professore, che io comincio a credere al magnetismo?... Sediamoci qui, caro Bartelloni... Crederete, professore, che poc’anzi, rivedendo dopo due anni quel caro paese là — e additava la sponda lombarda — mi siete venuto in mente anche voi?... Proprio, un’ora fa, a dir molto. Ho pensato a voi, al nostro povero Emilio, a Niso, a Gustavo... a tutti quei poveri miei amici d’un giorno... E la Gigia? Povera ragazza!... così buona! Ma voi forse non l’avete conosciuta la Gigia! E quell’angelo d’una signora che voleva tanto bene al povero Emilio... che venne a trovarlo quel giorno che ci [p. 310 modifica]toccò di partire dal suo letto...? ve ne ricordate...? chissà!...

— Zitto, — disse Bartelloni, mettendo l’indice attraverso le labbra — zitto, perchè essa è qui...

— Qui, dove?

— Sul battello a vapore.

— L’amante di Emilio?

— Precisamente.

— La signora Dal Poggio?

— È qui con suo marito.

— Con suo marito!? — sclamò Gastoni — Ma non s’era ella divisa da suo marito?

— Tutt’altro.

— Non era ella fuggita di casa? Io mi ero messo in mente che fosse accaduto uno scompiglio in quella casa.

— Era fuggita infatti, ma ora è di nuovo con lui, e possono servir di modello...

— Oh prosa delle prose! — sclamò Gastoni ridendo — Se sapeste, professore, che cosa diamine ero andato fantasticando io su quella signora!

— Che cosa eravate andato fantasticando?

— Un romanzo o poco meno. Nel ripensare ad Emilio, ed all’amore ch’essa gli portava, io, di fantasia in fantasia, mi ero andato imaginando che la poverina, disperata per la sua morte, fosse andata a ricoverarsi in qualche convento, e mi figurava già di trovarla sotto le spoglie di suora di carità ad assistermi forse in qualche ospedale di Crimea... che so io...? Non avrei però mai imaginato di ri[p. 311 modifica]trovarla con suo marito. È proprio vero che la realtà è al disotto della immaginazione.

— Molto meno di quello che credete, caro Gastoni; — disse il filosofo con un sorriso espressivo — Si vede che voi siete stato due anni a Parigi. Mi concederete che il vostro romanzo colla vostra suora di carità avrebbe avuto uno scioglimento molto ordinario. Venite; — continuò egli levandosi — studiate il contegno di quella donna e di quel marito e me ne saprete dire qualche cosa. Troverete con loro un’altra persona che non vi aspettate certo di trovar qui sul lago, e tanto meno coi Dal Poggio.

— Chi è mai?

— La Gigia col suo bambino; il figliuolo del povero Emilio.

— Ah bah! — sclamò Gastoni — Vedo che la cosa si fa sempre più interessante. La Gigia viaggia insieme alla signora Dal Poggio?

— Non solo, ma il marito ha adottato l’Emilietto; Noemi le fa, si può dire, da madre; e la Gigia se la tengono come una sorella.

— Comincio a credere anch’io che talvolta nella realtà ci possa essere più romanzo che nel romanzo. A meno che voi non vi burliate di me.

— Non sono cose su cui si possa burlare codeste, caro Gastoni. Vedo sempre più che voi siete stato due anni a Parigi. Vi dirò poi il motto dell’enigma.


Bartelloni condusse il giovine dinanzi ai suoi amici a poppa, e disse: [p. 312 modifica]

— Vi presento il conte Alfredo Gastoni, mio buon amico, che va un tratto in Crimea a battersi contro i Russi.

Gastoni, che nella mesta riconobbe subito Noemi, al vederla così pallida, così rassegnata, così mutata, sentì stringersi il cuore di pietà, e dovette confessare a sè stesso che la sua fantastica suora di carità non gli sarebbe apparsa nè così poetica, nè così interessante.

Dopo averle detto, non so che parole, Alfredo si volse a salutare cordialmente la Gigia, che, tutta commossa di rivederlo in quel luogo e dopo tanto tempo, non bramava che di stringergli la mano.

Si parlò di cose estranee al passato: di guerra, di cholera, di Parigi, di Crimea...

Finalmente si giunse ad Arona.

— Non c’è dunque speranza di stogliervi dal vostro proposito? — chiese Noemi al professore mentre stavano per distaccarsi.

— No; figlia mia; — rispose il buon vecchio — Io sono un soldato della salute pubblica nè più nè meno di questo giovinotto che lo è della civiltà e dell’indipendenza. Il cholera è la mia Sebastopoli. Che diresti d’un soldato che il giorno dell’assalto non corresse sotto la bandiera? Il mio posto è dove si muore; è a Milano. Se scamperò ci rivedremo qui sul lago o a Torino. Addio, Noemi;... addio, Emanuele;... addio, Gigia... State sani e amatemi, come vi amo io tutti e tre.

Anche Gastoni strinse affettuosamente la mano [p. 313 modifica]alla Gigia, salutò con garbo parigino la Dal Poggio e suo marito e s’allontanò col professore in cerca di una carrozza che li trasportasse a Novara: di là Bartelloni volgeva a Milano; Gastoni a Genova.

— Dunque che ne dici, Alfredo? — chiese il vecchio al giovine quando furono soli.

— Io non so che pensare. Aspetto da voi il motto dell’enigma. Quel marito, tra le altre cose, ha fatta una trasformazione incredibile.

— Non hai mai sentito un proverbio che dice che l’uomo ogni sette anni cambia la pelle e il carattere?

— Io non ci credo, ma so che c’è.

— Hai torto di non crederci. In tutti i proverbi c’è il suo lato di vero; — rispose il filosofo — Quell’uomo che non aveva mai amato sua moglie, che non sapeva che cosa volesse dir vero amore... fu trasformato in un giorno solo, che dico!... in un minuto, come per effetto d’incantesimo... come per miracolo. In fisiologia questi esempi non sono così rari come si crede. Basta una forte scossa morale... od anche soltanto fisica. C’è stato il caso d’un mezzo scemo, che avendo ricevuto una potente bastonata sulla profondità metafisica diventò poi un profondo metafisico. Il Dal Poggio ebbe una vera metamorfosi di cuore. Egli ha finalmente compreso che l’amore non s’acquista che colla dolcezza e coll’amore:

Amor che a nullo amato amar perdona. [p. 314 modifica]

Quando Noemi seppe che Emilio era stato ucciso, come si crede, nel 6 febbrajo, sai bene, cadde ammalatissima e fu in fil di morte. Suo marito ebbe la forza e il coraggio di star ventisei giorni e ventisei notti ad assisterla al letto, dormendo su una scranna qualche ora, prestandole i più umili, i più vili servigi, senza volere che nessuno vi mettesse mano, senza lasciare che entrasse nella sua camera anima viva, tranne me, il medico e il nonno, che adesso è morto, e del quale essi portano il lutto. Quando la fu guarita egli non le disse una sola parola sul passato, se non per chiederle perdono... egli così orgoglioso un giorno! Poi le domandò il permesso di adottare come figlio il bambino della Gigia, ed ora vivono insieme a Cannero, dove il Dal Poggio ha una villa sul monte. Io ero là con loro già da tre mesi. Ieri sono venuto a Intra colla Gigia per far visitare l’Emilietto, e come hai veduto, oggi tornano indietro dopo essere venuti fino ad Arona ad accompagnarmi. Essi vivono felici come si può essere felici dopo aver sofferto tanto. Il nonno, contro ogni credenza, ha lasciato tutto il suo all’altro nipote Firmiani, marito di donna Cristina Firmiani, che è diventata milionaria, e che per la gioia e per la boria è come una botte che non tiene più nè vino nè acqua.

— Ed io giurerei che fu quella donna che fece tutto il male...

— Anch’io lo credo... e questo è un altro caso in cui si deve ammirare la giustizia umana. For[p. 315 modifica]tunatamente che il Dal Poggio è abbastanza ricco del suo per aver bisogno dell’eredità del nonno. Fanno bene però gli uomini a credere all’inferno ed al paradiso... altrimenti sarebbe troppa la sproporzione e l’ingiustizia di quaggiù.


Alla sera di quel giorno i Dal Poggio e la Gigia stavano raccolti nel salotto della villa fra Cannero e Cannobbio a leggere — chi lo avrebbe detto! — un romanzo.

Non si parlò della questione d’Oriente.

Gastoni s’imbarcava a Genova per la Crimea, e Bartelloni giungeva a Milano in tempo per assistere all’agonia di Cristina Firmiani, che era stata colpita dal cholera fulminante la stessa mattina.


FINE.