La rivoluzione di Napoli nel 1848/41. Reazione

41. Reazione

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40. Rotta di Carlo Alberto 42. Spedizione di Sicilia

[p. 157 modifica]41. Per accrescere le file dell’armata, il re aveva vuotato le prigioni e le galere. Aveva fatto grazia ai ladri, ai falsari, agli assassini, per fino ai parricidi, a tutti coloro insomma che avevano violati i diritti sociali ed i vincoli di natura, e ne aveva formato un battaglione, per cui nulla vi potesse più essere di sacro e di venerato, il battaglione della morte. Per crearsi dei partigiani la polizia aveva ruminato per lupanari e taverne, per bische e cantine, e vi aveva reclutato quanto la città produceva di più immondo e di più miserabile. Poscia aveva scelto a capo il figlio di un bettoliere, aveva lor pagati qualche soldo, ed aveva imposto di percorrere la città gridando: abbasso la costituzione! abbasso la camera! viva il re! Credeva gittare così il fango sul viso ai deputati, e farli trascinare nel loto da quelli affamati illusi. Il giorno 5 settembre infatti, mentre il ministero leggeva alla camera il decreto di proroga, quella ciurmaglia, preceduta da uno straccio bianco alla cima di una pertica, partì dalla strada di santa Lucia e s’imboccò in quella [p. 158 modifica]di Toledo. Erano quasi tutti ubbriachi, e tutti scalzi, laceri, sciamannati, provveduti chi di coltelli, chi di bastoni e chi di pietre, armi terribili nelle loro mani. La bandiera era stata benedetta dal santone famoso nominato più avanti, D. Placido Baker, che nella notte precedente era stato visitato dalla Madonna e da suo figlio, i quali dopo avergli domandato consiglio sulla dose più o meno grande di favori a spargere sul capo del santo re e dei fedeli suoi sudditi, gli avevano imposto far sapere, ed in loro nome ordinare a costoro, di ciecamente obbedire ai comandi della polizia, dallo spirito santo direttamente ispirata. Quindi somministrò loro delle armi e delle limosine che venivano dalle mani del prefetto.

La miseria morale del basso popolo napolitano non ha misura. Dotato dalla natura d’ingegno svelto e fecondo, il suo abbattimento è tanto più pericoloso e profondo. Corruptio boni pessima! Nella prima gioventù si addestra al furto, fatto più adulto accoltella, e recita il rosario nelle cappelle notturne. Neppure un solo ha una conoscenza qualunque delle idee morali e religiose oltre quelle che insegnano loro dei preti fanatici, ignoranti e corrotti, luogotenenti del commissario di polizia. Tutta la religione di quella gente si compendia in far l’elemosina alle anime del purgatorio ed all’indispensabile san Pasquale, ed in recitare un pater che non è nè italiano nè latino. Tutta la loro società si restringe nel circolo dello sbirro, del prete e del re. Il rimanente è tenebre o sacrilegio. Perciò sono disgustevoli, grossolani, terribili: e se non rubano ed assassinano ogni giorno, gli è perchè temono della polizia e dell’inferno. Perciò hanno un aspetto selvaggio, e [p. 159 modifica]minaccevole, un misto di cinismo e servitù. La sofferenza li ha induriti: la superstizione li ha resi bestiali ed intolleranti. La vendetta inviluppa le anime loro. Essi sentono di non partecipare alla festa della vita che per le privazioni e le umiliazioni. Sentono la loro degradazione morale e fisica, e vi s’imbragano più addentro, onde rendere per sempre invarcabile l’abisso che li separa da una società madrigna e crudele. Essi vedono di non potersi emancipare giammai dalla miseria: nell’avvenire non apparisce per loro nulla che possa consolarli e sollevarli da quella gemonia. Rompono perciò con l’avvenire qualunque legame capace di addolcire la loro sorte, ed addiventano rassegnati fino alla noncuranza, fino all’infingardaggine. Ma la loro rassegnazione confina con la disperazione: la loro pigrizia è un oltraggio ironico alla civiltà che li ha così freddamente obliati. La loro miseria è un delitto premeditato del governo che ne teme il benessere, l’emancipazione l’illuminamento; e perciò senza limiti, come senza sollievo e senza speranza.

Fra questi diseredati la polizia racimolò gli amici del re e li pagò. Essi percorrevano le strade vomitando insulti, percotendo ed obbligando i cittadini, sotto pena di accopparli, a gridare viva il re! abbasso i deputati e la costituzione! Ma mentre stavano nel meglio del baccanale, un’altra onda di popolo sopraggiunse. Non invitati, non sollecitati da alcuno, dei popolani onorati, che avevano cominciato a comprendere il valore della libertà, bastagi ed operai anch’essi, piombarono addosso ai perturbatori della calma, ed a furia di percosse li sperperarono, dopo averli disarmati e calpestata nella polvere la reale bandiera. Vedendo che quei [p. 160 modifica]candidi ed inermi, come li appellò di poi il ministero, avevano la peggio, birri e soldati se ne mischiarono, e presero a giuocar d’armi furibondamente, ferendo imprigionando, uccidendo. Con questa mascherata il governo intendeva tirar nella trappola cittadini più distinti e segnalati. Costoro, disprezzando, lasciaron passare la manifestazione: e mentre nessuno cedette alla minaccia e gridò viva il re! nessuno pure corse alla riscossa. La camera si sciolse anch’essa dignitosamente e senza dir verbo. Il governo con quella furfanteria aveva mirato a due obbietti: cacciar le mani addosso a taluni che gli turbavano il sonno: giustificarsi innanzi all’Europa della violazione permanente della costituzione, facendone domandare perfino l’abolizione. La povertà del trovato non ingannò alcuno. I liberali dettero dei soldi a quei disgraziati e li consigliarono di andarsene a casa, e medicar le percosse ricevute da compagni loro più bravi e onesti: la stampa europea giudicò quell’effervescenza di amore pel re schifosa cospirazione della polizia, sapendo, come dice Mirabeau, qu’il est trop facile d’engager le peuple à vendre la constitution pour un morceau de pain. In effetti, malgrado il parossismo di tenerezza della plebe, re Ferdinando, tre giorni dopo, non ardì mettere il capo fuori l’uscio della reggia, e dopo cento sette anni, per la prima volta la festa di Piedigrotta non fu celebrata dal re. Malgrado l’affetto e la divozione del suo felicissimo e fedelissimo popolo, re Ferdinando, dal 16 maggio 1848, non ha calpestato più il suolo della città. È paura, è rimorso, è disdegno? chi lo sa! certo il delitto non porta ventura.