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minaccevole, un misto di cinismo e servitù. La sofferenza li ha induriti: la superstizione li ha resi bestiali ed intolleranti. La vendetta inviluppa le anime loro. Essi sentono di non partecipare alla festa della vita che per le privazioni e le umiliazioni. Sentono la loro degradazione morale e fisica, e vi s’imbragano più addentro, onde rendere per sempre invarcabile l’abisso che li separa da una società madrigna e crudele. Essi vedono di non potersi emancipare giammai dalla miseria: nell’avvenire non apparisce per loro nulla che possa consolarli e sollevarli da quella gemonia. Rompono perciò con l’avvenire qualunque legame capace di addolcire la loro sorte, ed addiventano rassegnati fino alla noncuranza, fino all’infingardaggine. Ma la loro rassegnazione confina con la disperazione: la loro pigrizia è un oltraggio ironico alla civiltà che li ha così freddamente obliati. La loro miseria è un delitto premeditato del governo che ne teme il benessere, l’emancipazione l’illuminamento; e perciò senza limiti, come senza sollievo e senza speranza.

Fra questi diseredati la polizia racimolò gli amici del re e li pagò. Essi percorrevano le strade vomitando insulti, percotendo ed obbligando i cittadini, sotto pena di accopparli, a gridare viva il re! abbasso i deputati e la costituzione! Ma mentre stavano nel meglio del baccanale, un’altra onda di popolo sopraggiunse. Non invitati, non sollecitati da alcuno, dei popolani onorati, che avevano cominciato a comprendere il valore della libertà, bastagi ed operai anch’essi, piombarono addosso ai perturbatori della calma, ed a furia di percosse li sperperarono, dopo averli disarmati e calpestata nella polvere la reale bandiera. Vedendo che quei