La regola di san Benedetto/Capitolo 48
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Traduzione dal latino di Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi (1902)
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Del lavoro giornaliero.
CAP. 48.°
L’oziosità è la nemica dell’anima.
Onde in certi tempi hanno i fratelli
da occuparsi in lavori di mani, e in
altri nella divina lettura. Perciò
crediamo di ordinare così le une e le
altre ore: cioè, che dalla Pasqua sino
al primo di Ottobre, uscendo la
mattina da Prima, lavorino in quello ch’è
di necessità, sin quasi all’ora quarta.
Dall’ora quarta sin quasi a Sesta
attendano alla lettura. Dopo Sesta,
levandosi da mensa, si riposino nei loro
letti in perfetto silenzio; o se per
avventura qualcuno volesse leggere,
legga ivi così, che nessuno ne sia
disturbato. Si dica l’officio di Nona più presto, verso le ore due e mezzo; e
poi di nuovo lavorino i fratelli in ciò
che occorre sino al Vespro. Se poi la
condizione o la povertà del monastero
chiedesse che i monaci dovessero di
per sé raccogliere le biade, non se ne
lamentino: poiché allora son veri
monaci, quando vivono col lavoro
delle loro mani; come fecero i nostri
Padri e gli Apostoli. Ma tutto si faccia
moderatamente in riguardo di quelli
che sono di piccolo cuore.
Dal primo di Ottobre però sino al principio di Quaresima, attendano alla lettura sino alla seconda ora in punto. All’ora predetta dicano Terza, e poi sino a Nona tutti attendano al lavoro che vien loro ingiunto. Ma dato il primo segno di Nona, si spicchi ciascuno dal suo lavoro, e stia pronto al battere del secondo segno. Dopo la refezione attendano o alle loro letture ai Salmi.
Nella Quaresima, dal mattino sino a Terza in punto attendano alle loro letture; e poscia sino alla decima ora sonata lavorino in ciò che è stato loro ordinato. Nei quali giorni di Quaresima ognuno prenda un codice dalla Biblioteca, e lo legga tutto per intero da capo a fondo. Essi codici si distribuiscano il primo giorno della Quaresima.
Sopra tutte queste cose siano destinati uno o due Seniori, che vadano attorno pel monastero nelle ore in cui i fratelli attendono alla lezione; e veggano se mai vi fosse alcun fratello accidioso che se ne stesse in ozio, o fosse occupato in vane ciancie, anzi che accudire alla lettura; e così non solo riuscisse inutile a sé, ma benanche sobillatore degli altri. Se un dì cotali (che mai non sia!) si trovasse, venga corretto una e due volte, e non emendandosi, sia sottoposto alle pene regolari; e si fattamente, che gli altri n’abbiano timore. Né un fratello si unisca ad altro fratello in ore incompetenti. Nella Domenica tutti attendano alla lettura, tranne quelli che sono destinati ai varii officii. E se vi fosse taluno tanto negligente ed ozioso, che non voglia o non possa meditare o leggere, gli si dia un lavoro a fare, onde non istia senza far nulla. Ai fratelli infermi o delicati s’imponga tale faccenda o lavoro, che fuggendo l’ozio non siano oppressi dalla soverchia fatica, e l’abbiano poi ad abborrire. Alla debolezza de’ quali l’Abbate deve avere gran riguardo.