La numismatica delle isole del Mar Libico

Gaetano Mario Columba

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LA NUMISMATICA


DELLE ISOLE DEL MAR LIBICO




Le antiche monete delle isole del Mar Libico — intendo, in particolare, delle isole del gruppo di Malta — ripetono la loro importanza specialmente dal fatto che la tradizione storica non ci ha conservate che scarsissime notizie su queste terre intermediarie tra l’Africa e la Sicilia, sulle quali naturalmente dovette svolgersi una parte del contrasto tra la civiltà greco-romana e la civiltà cartaginese. Pochi cenni, e qualche volta insignificanti, contenuti in una dozzina di scrittori tra greci e romani, una mezza dozzina d’iscrizioni fenicie più o meno interpretabili, altrettante greche, una ventina di latine formano, insieme colle monete, tutto il corredo di documenti scritti per la storia di queste isole. Le monete stesse non sono che poche: nell’opera insigne dello Head è dedicata ad esse una pagina appena (Hist. num., p. 743). E pur così poche non era facile trovarle criticamente esaminate e catalogate e convenientemente riprodotte prima della diligente e meritoria pubblicazione del dr. Mayr1, la quale è stata accolta con generale approvazione. Ma appunto per questo io credo che non sia inopportuno prendere in esame i risultati a cui l’autore perviene, poichè a me sembra che — non tenendo conto di qualche attribuzione erronea di cui [p. 12 modifica]non può farglisi colpa — una parte di essi sia dedotta con argomenti molto contrastabili.

Le monete delle isole libiche non sono che di bronzo. Il Mayr le ha catalogate sotto 20 tipi, 12 de’ quali apparterrebbero a Melita, 2 a Gaulos, 6 a Cossura. La ragione per cui Gaulos ci si mostra così povera di tipi in confronto a Melita sta in ciò, che il Mayr si è schierato dalla parte di coloro che attribuiscono le monete colla leggenda fenicia אנן a Melita, contro l’opinione prevalente, seguita dallo Head, la quale le attribuisce a Gaulos. Ora quest’opinione dev’essere definitivamente abbandonata. La leggenda אנן si trova in monete le quali hanno un tipo identico a quelle che portano la leggenda ΜΕΛΙΤΑΙΩΝ; siamo qui nello stesso caso delle monete di Cossura, sulle quali lo stesso tipo è accompagnato ora dalla leggenda fenicia אירנם2 ora dalla leggenda romana COSSVRA. Il Mayr ha fatto anche un minuzioso confronto tra le monete con leggenda greca e le monete con leggenda fenicia, e da questo confronto gli è risultato che esiste fra di loro una tale analogia che non può essere più verosimilmente spiegata, se non ammettendo che le une e le altre siano uscite dalla stessa zecca.

Il Mayr dichiara falsa la moneta con la testa di Cerere a dritta, un cavallo sul rovescio, e la leggenda ΜΕΛΙΤΑΙΩΝ descritta dal Torremuzza dietro il Goltz, e accolta ancora come genuina dallo Head. Anche io son convinto che si tratta di una falsificazione, nella quale ha servito di modello qualche moneta di bronzo cartaginese.

Dal numero delle monete di Melita ne deve però esser tolta un’altra che il Mayr, seguendo lo Head, ha registrato nel suo elenco (n. 7), e che non [p. 13 modifica]appartiene punto a quell’isola. È una moneta del British Museum, riguardata come unica, che il Mayr ha riprodotta nella sua tavola (n. 6), e riguardo alla quale osserva (p. 10): " die Legende ist nicht mehr sichtbar. „ Varie ragioni m’inducevano invece a pensare che la moneta dovesse appartenere a Lilibeo, ed avendo manifestata per lettera la mia opinione al ch.mo Custode delle monete e medaglie del British Museum, si è potuto constatare ch’è tuttavia visibile una parte della leggenda ΛΙΛVΒΑΙΤΑΝ3. Non si tratta dunque d’una moneta unica di Melita, ma di una delle monete comuni di Lilibeo. Debbo aggiungere che io ho forti dubbi anche sull’attribuzione della moneta descritta dall’Abela (Della descritt. di Malta, 1647), la quale porterebbe la testa d’Apollo laureato a sinistra, e sul rovescio un tripode in mezzo alla leggenda ΜΕΛΙ ΤΑΙΩΝ. L’Abela medesimo dichiara (p. 173) che le lettere "consumate dal tempo, pur troppo ingordo, non si possono compiutamente leggere, se non che alcune note mostrano poter formare la voce ΜΕΛΙΤΑΙΩΝ.„ Il dubbio potrebbe esser dissipato dal sig. Caruana, il quale afferma ch’esiste in Malta un esemplare di questa moneta.

Delle monete di Gaulos, ridotte così ai soli due tipi con leggenda (ΓΑVΛΙΤΩΝ) non può esser questione, e neppure delle monete di Cossura, nelle quali l’identità del tipo delle monete con leggenda fenicia e quelle con leggenda romana non permettono alcun dubbio.

Rimane ancora un certo numero di monete, con iscrizione punica o senza, ed il cui tipo è prevalentemente un gambero od un guerriero nudo in atto di combattere. Esse si trovano raccolte [p. 14 modifica]nell'Appendice al II volume del Müller, Numismatique de l’ancienne Afrique, p. 178-183, da dove le toglie il Mayr, il quale ne aggiunge a sua volta poche altre, tra le quali due che sembrano ancora inedite. Il Mayr giudica che queste monete non debbano essere anteriori di molto al I secolo avanti l’e. v., ed a ciò vien principalmente indotto da’ caratteri neopunici della leggenda di alcune di esse. Nonostante, se io non m’inganno, in nessuna di queste si vedono caratteri neopunici puri: essi appartengono, non meno che quelli delle monete della Syrtica, ad un periodo di transizione, in cui l’א, il ח, il מ conservano ancora la forma antica. Da ciò segue che tali monete, al contrario, non possono essere riguardate come posteriori di molto al I secolo a. G. C. E quanto allo stile poi, è facile constatare che le migliori di esse non rimangono gran fatto inferiori a quelle di Melita e di Gaulos: le riproduzioni medesime che ne ha date il Mayr potrebbero dimostrarlo a chi non ne avesse avuto mai fra le mani un esemplare di buona conservazione. In tal guisa manca ogni ragione per negare che alcune di tali monete siano antiche quanto le più antiche di Melita e di Gaulos o poco meno. Ma la controversia più importante e più lungamente agitata non è quella del tempo, bensì quella del luogo o de’ luoghi a cui queste monete appartengono. Sulla leggenda fenicia non c’è da fare grande assegnamento: si sa che tali leggende, per l’occidente, sono in molti casi più d’impaccio che di aiuto alla ricerca, e ciò dipende non tanto dalla difficoltà della lettura, quanto dal fatto che noi non conosciamo, fondamentalmente, se non la toponomastica greca, onde in tutti que’ casi in cui il nome fenicio non trova riscontro nel greco, manca il primo elemento di certezza. Il solo criterio che rimanga perciò per la classificazione di tali monete è quello dell’affinità del tipo; ma [p. 15 modifica]sventuratamente, neppur questo può condurre a risultati sicuri, quando l’affinità non sia molto vicina all’identità, e manchi l’accordo di altre circostanze. Il Müller, il quale dall’interpretazione della leggenda fenicia era portato ad attribuire queste monete alle città della costa d’Africa, seguendo invece il criterio dell’affinità del tipo, propendeva ad attribuirle alle isole del Mar Libico, per le quali — egli osservava — non c’era nulla che facesse ostacolo: " les types, l’écriture et la fabrique y conviennent assez bien. „ Onde terminava conchiudendo (p. 181): " Ce qui paraìt certain, c’est que les monnaies que nous venons d’examiner, ont été frappées par des villes situées sur la mer Lilybéenne (così il Müller), mais s’il faut chercher ces villes sur la cote de l’Afrique, ou dans les ìles de cette mer, ou peut-étre dans la Sicile occidentale, ce son là des questions qu’il est difficile de décider par les moyens dont dispose en ce moment la science. „ Tuttavia, sebbene dal Müller in qua questi mezzi non si siano punto accresciuti, il Mayr ripiglia in esame la questione e la risolve nella maniera che già tanto sorrideva al Müller: egli, cioè, attribuisce queste monete alle isole del Mar Libico, eccettuatene alcune che, pure col Müller, egli assegna a città della costa africana, come Leptis magna, Oia, Alipota. Questo risultato, del resto, non è nuovo, giacché altri prima del Mayr e del Müller erano venuti, e per ragioni diverse, alle stesse conclusioni. Il Mayr ha seguito unicamente il criterio dell’affinità del tipo: e del resto, egli ha escluse le città della costa d’Africa perché l’immagine del guerriero combattente è estranea alla loro numismatica: e le città di Sicilia, perchè non si conoscono monete siciliane con leggenda punica battute sotto la dominazione romana, e perchè l’isola nell’epoca da lui assegnata a queste monete era già quasi completamente ellenizzata anche ne’ territori [p. 16 modifica]appartenuti ai cartaginesi. Sono idee le quali, in fondo, appartengono a molti di quelli che si occupano della numismatica di questa parte del mondo antico, e non sarà forse inutile fermarci un poco su di esse.

Tra le monete di cui si tratta, ve ne hanno due serie (1a e 2a del Müller, p. 178) le quali portano entrambe la stessa leggenda, e quindi appartengono allo stesso luogo di emissione. L’una e l’altra ha sul rovescio un gambero; ma il tipo è diverso: per una è il guerriero combattente, per l’altra è l’aratro. La prima difficoltà che si opporrebbe ad attribuire queste monete al gruppo di Malta sta nella leggenda, la quale non ha nulla di comune con quella di Melita, e se il ג di alcune di esse potrebbe accennare a Gaulos (il cui nome semitico גרל ci è noto dal CIS. t. 1, 132) il גר o גב che si trova in altre esclude completamente questa ipotesi. Del resto, il Mayr mette da parte la leggenda, presupponendo che essa non possa andar riferita al luogo di emissione, e segue, come si è detto, il criterio dell’affinità del tipo. Le monete le quali portano il guerriero in atto di combattere, ricordano le monete greche di Gaulos, e quindi non sarebbe una conclusione arrischiata attribuirle al gruppo di Malta. Ma poiché queste monete hanno la stessa leggenda fenicia che quelle in cui appare come tipo l’aratro, bisogna attribuire al gruppo di Malta anche queste: l’aratro accennerebbe alla fertilità di queste isole, della quale fan testimonianza i moderni e gli antichi. Così il Mayr (p. 34). Eppure io credo che premesse e conseguenze siano arrischiate. Tra il guerriero combattente di queste monete con leggenda fenicia e quello che si vede sulle monete greche di Gaulos, c’è già la differenza che il primo è ignudo il secondo no; inoltre le monete greche di Gaulos portano tutte, accanto al guerriero, una stella, che alla prima manca. Quanto alla fertilità di Malta, tutti quelli [p. 17 modifica]che han visitato il paese sanno che non può essere stata grande in antico. L’isola, o le isole doveano essere realmente fertili o v’erano coltivabili; ma questa coltivabilità era troppo limitata4. Tra gli scrittori antichi non c’è che Ovidio il quale ricordi Melita coll’appellativo di fertile; ma delle parole di un poeta poco geografo, come il sulmonese, non potremmo fidarci molto5, tenuto conto del silenzio dei geografi, i quali tuttavia erano ben disposti ad esaltare i pregi di un paese appena ne avessero occasione, e più ancora del silenzio di Diodoro (V, 12, 5), il quale parlando dell’opulenza dei Melitei, non indica come sorgente di essa che le industrie ed il commercio, e tace di tutto ciò che riguarda l’agricoltura. L’aratro, sulle monete, non può essere interpretato che come emblema di una grande produzione di grani, di una vasta ed estesa industria agricola. E così che troviamo l’aratro come tipo secondario nelle monete di Metaponto, come tipo principale nelle monete di Leontini e di Centuripe. Quella copiosa produzione di grani che non poteva esistere a Melita, ci è invece largamente testimoniata per la costa d’Africa, specialmente per la Byzacene della quale Plinio riporta racconti meravigliosi6, ed ove la città di Adrumeto [p. 18 modifica]prese poi il titolo di Frugifera. Il mercato del grano dovea essere ben considerevole7. Ancora sino a non molti anni addietro questa costa d’Africa approvvigionava la Sicilia, negli anni in cui la produzione dell’isola era insufficiente al bisogno. Secondo le migliori probabilità, adunque, queste monete col tipo dell’aratro appartengono alle città della costa africana: e se queste vi appartengono, vi apparterranno di necessità anche quelle il cui tipo è costituito dal guerriero combattente.

Quanto all’ordine cronologico, il Mayr pensa che le monete più antiche di Melita sian quelle con leggenda fenicia, ma che anche quelle con leggenda greca venissero coniate ben presto e per un certo tempo fossero coniate ed avessero corso in commercio contemporaneamente alle prime. E ciò può essere spiegato senza difficoltà, tenuto conto delle condizioni etnografiche dell’isola in cui, accanto all’originario elemento semitico, venne a trovarsi un elemento ellenico od ellenizzato, il quale andò acquistando importanza sempre maggiore. A me sembra che le ragioni di questa distinzione non esistano ne sulle monete né altrove. Nulla vieta di pensare che Melita abbia coniate insieme le une e le altre sin dal tempo in cui acquistò il dritto di monetazione. Questo si ammetterà tanto più facilmente se si considera che le colonie fenicie di Sicilia come Motye, Panormo, Solunto, quantunque sottoposte alla sovranità cartaginese, batterono sin da principio monete con leggenda punica e monete con leggenda greca; che anzi nelle monete di Panormo si trova più di frequente la seconda che la prima. La leggenda in questo caso è [p. 19 modifica]da considerare come determinata principalmente dalla destinazione commerciale: e così si spiega come le monete di Melita con leggenda fenicia si sian trovate in gran numero a Tunisi (Swinton in Mayr, p. 20, n. 2).

E qui cade in acconcio di discutere su di una massima, di cui ha fatto applicazione anche il Mayr, e che viene generalmente ammessa da’ numismatici: cioè, che le monete siciliane con leggenda punica sian da considerare come anteriori alla dominazione romana. È la massima di cui ha posto il fondamento l’Eckhel colle parole “Punici erant quoniam Poenorum lingua inscripti et eorum certe imperio in insula signati sunt (D. n. I 1792, p. 229).„ Così, ad esempio, si ammette che le monete panormitane colla leggenda ציץ, siano state coniate sino al 264, non un anno più tardi (v. Head, h. n. 142 seg.). Per contro, l’esempio di Melita e di Gaulos — lasciando da parte la numismatica della costa d’Africa — dimostra che la dominazione romana non escludeva una monetazione punica, come non aveva esclusa quella ellenica, e non si posson vedere le ragioni per cui i Romani avrebbero dovuto impedire negli antichi territori cartaginesi di Sicilia quel che non impediva ne’ territori cartaginesi fuori di questa isola. I rapporti commerciali tra la Sicilia e l’Africa non potevano essere troncati dall’esito di una guerra, e se si ammette, com’è ragionevole ammettere per le isole del Mar Libico, che la leggenda potesse anche qui esser determinata dalla destinazione commerciale, non si hanno ragioni per negare che possa essere esistita in Sicilia una monetazione con leggenda punica posteriore al 241 a. G. C.


G. M. Columba.          




Note

  1. A. Mayr, Die antiken Münzen der Inseln Malta, Gozo u. Pantelleria. München 1895. Con una tav. in fototipia.
  2. È la lezione del Kopp, la quale sembra realmente preferibile alla lezione del Gesenius איכרם, accettata dallo Head.
  3. Lettera del 22 marzo ’97: .... " There is no doubt that your conjecture as to the coin described under Melita is corrected,... It is possible to read part of the legende λιλvβαιταν on the coin. We shall accordling transfer the coin to its proper place. „ (Firmato G. F. Hill).
  4. Citiamo qui un inglese, lo Smith, a Dictionary of greek and roman geography (art. Melita): the soil is naturally stony and barren, and the great want of water precludes all naturai fertility.
  5. Già le parole medesime di Ovidio (Fasti III, 567: Fertilis est Melita sterili vicina Cosyrae) mostrano ch’egli ha creata un’antitesi, e del resto lo Smith dichiara che l’epiteto fertilis is certainly ill applied. Sulle cognizioni geografiche di Ovidio v. Cocchia, la geografia nelle Metamorfosi, etc. Napoli 1896.
  6. V 4, 24: Bysacium.... regio.... fertili tatis eximiae, cum centesima fruge agricolis fenus recidente terra. XVIII 10, 21: Tritico nihil est fertilius.... nipote cum e modio, si sit aptum solum, quale in Byzacio Africae campo, centeni quinquageni modii reddantur (cfr. VII, 5, 41) Misit ex eo loco divo Augusto procurator eius ex uno grano, vix credibile dictu, CCCC paucis minus germina, extantque de ea re epistulae.
  7. Cfr. il Bellum Africum 36, 2: Legati ex oppido Thysdrae in quod tritici, modium milia CCC comportata fuerant a negotiatoribus Italicis oratoribusque, etc.