La mente di un uomo di Stato/Capitolo II
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CAPITOLO II.
GUERRA E PACE.
§. 1.
UN buono, e savio Principe deve amare la pace, e fuggire la guerra.
§. 2.
Quelli, che consigliano il Principe hanno a temere, che egli abbia alcuno appresso, che ne’ tempi di pace desideri la guerra per non potere senza essa vivere.
§. 3.
Le armi si debbono riservare in ultimo luogo, dove, e quando gli altri modi non bastino.
§. 4.
Chi ha in se alcuna umanità, non si può di quella vittoria interamente rallegrare, della quale tutti i suoi sudditi internamente si contristano.
§. 5.
Accrescendo potenza, e stato, si accresce ancora inimicizia, e invidia, dalle quali cose poi suole nascere guerra, e danno.
§. 6.
§. 7.
Chi acciecato dall’ambizione si conduce in luogo, dove non può più alto salire, è poi con massimo danno di cadere necessitato.
§. 8.
In un Governo bene instituito, le guerre, le paci, le amicizie non per sodisfazione di pochi, ma per bene comune si deliberano.
§. 9.
Quella guerra è giusta, che è necessaria.
§. 10.
Il Popolo si duole della guerra mossa senza ragione.
§. 11.
Non quello, che prende prima le armi è cagione degli scandoli, ma colui, che è primo a dar cagione, che le si prendino.
§. 12.
Si ricordino i Principi, che si cominciano le guerre quando altri vuole, ma non quando altri vuole si finiscono.
§. 13.
Qualunque volta o la vittoria impoverisce, o lo acquisto indebolisce, conviene si trapassi, o non si arrivi a quel termine, perché le guerre si fanno.
§. 14.
Non può acquistare forze chi impoverisce nelle guerre, ancorchè sia vittorioso, perchè ci mette più, che non trae dagli acquisti.
§. 15.
Ne’ Governi male ordinati le vittorie prima vuotano l’Erario, di poi impoveriscono il Popolo, e de' nemici loro non gli assicurano; onde i vincitori godono poco la vittoria, ed i nemici sentono poco la perdita.
§. 16.
Bisogna guardarsi dalla conquista di quella Città, e Provincie, le quali si vendicano contro il vincitore senza zuffa, e senza sangue, perchè riempiendogli de’ suoi tristi costumi, gli espongono ad esser vinti da qualunque gli assalta.
§. 17.
La virtù degli uomini anche al nemico è accetta, quanto la viltà, e la malignità dispiace.
§. 18.
Chi fa troppo conto della Corazza, e vi si vuole onorare dentro, non fa perdita veruna, che stimi tanto, quanto quella della fede.
§. 19.
Anche nella guerra mai è gloriosa quella fraude, che fa rompere la fede data, e i patti fatti.
§. 20.
§. 21.
La maggiore, e più importante avvertenza, che deve avere chi comanda un’esercito è di avere appresso di sé uomini fedeli, peritissimi della Guerra, e prudenti, con li quali continuamente si consigli, e con loro ragioni delle sue genti, e di quelle del nemico, quale sia maggior numero, quale meglio armato, o meglio a cavallo, o meglio esercicato, quali sieno più atti a patire la necessità, in quali confidi più, o ne’ fanti, o ne’ cavalli.
§. 22.
Fra tutte le cose con le quali i Capitani si guadagnano i Popoli, sono gli esempi di castità, e di giustizia.
§. 23.
E’ cosa crudele, inumana, ed empia, anche nella guerra stuprare le donne, viziare le vergini, non perdonare ai Tempi, e luoghi pii.
§. 24.
Può più nelli animi degli uomini un’atto umano, e pieno di carità, che un'atto feroce, e violento; e molte volte quelle Provincie, e quelle Città, che l’armi, gl’istrumenti bellici, e ogn'altra umana forza non ha potuto aprire un'esempio d’umanità, o di pietà, di carità, o di liberalità ha aperte; di che ne fono nelle storie molti esempi. A Scipione Affricano non dette tanta riputazione in Spagna l'espugnazione di Cartagine nuova, quanto gli dette quell'esempio di castità d’avere renduta la moglie giovane, bella, e intatta al suo marito, la fama della quale azione gli fece amica tutta la Spagna. Vedesi, che questa parte quanto la sia desiderata dai Popoli negli uomini grandi, e quanto sia laudata dagli Scrittori, e da quelli, che descrivono la vita de’ Principi, e da quelli, che ordinano, come debbano vivere, fra i quali Senofonte s’affatica assai in dimostrare quanti onori, quante vittorie, quanta buona fama arrecasse a Ciro l'essere umano, e affabile, e non dar alcun esempio di sé, né di superbo, né di crudele, né di lussurioso, né di nessun’altro vizio, che macchi la vita degli uomini.
§. 25.
Non fu mai partito savio condurre il nemico alla disperazione.
§. 26.
I Popoli corrono volontari sotto l’impero di chi tratta i vinti come fratelli, e non come nemici.
§. 27.
Chi è rozzo, e crudele nel comandare, è male obbedito da suoi; chi é benigno, ed umano, è ubbidito.
§. 28.
E’ meglio per comandare una moltitudine, esser umano, che superbo, esser pietoso, che crudele.
§. 29.
Fecero miglior frutto i Capitani Romani, che si facevano amare dagli Eserciti, e che con ossequio gli maneggiavano, che quelli, che si facevano straordinariamente temere.
§. 30.
L'umanità, l'affabilità, le grate accoglienze de' capi possono molto negli animi de’ soldati; e confortando quello, all’altro promettendo, all’uno porgendo la mano, l’altro abbracciando, si fanno ire all’assalto con impeto.
§. 31.
Negli eserciti si deve avere grande osservanza di pena, e di merito verso di quelli, che, o per loro bene, o per loro male operare meritassero o lode, o biasimo. Per questa via si acquista imperio grande.
§. 32.
La riverenza di chi comanda, i suoi costumi, le altre sue grandi qualità fanno a un tratto fermar le armi.
§. 33.
Quel Principe, che abbonda di uomini, e manca di soldati, deve solamente non della viltà degli uomini, ma della sua pigrizia, e poca prudenza dolersi.
§. 34.
Non può fuggire la fame quell'esercito, che non è osservante di giustizia, e che licenziosamente consuma quello, che gli pare, perchè l’uno disordine fa, che la vettovaglia non vi viene, l’altro, che la venuta inutilmente si consuma.
§. 35.
Nel Soldato debbesi soprattutto riguardare ai costumi, e che
in lui sia onestà, e vergogna, altrimenti si elegge un istrumento
di scandalo, e un principio di corruzione, perchè non sia alcuno,
che creda nell’educazione disonesta, e nell’animo brutto
possa capire alcuna virtù, che sia in alcuna parte lodevole.
§. 36.
Se in qualunque altro ordine delle Città, e de' Regni si deve usare ogni diligenza per mantenere gli uomini fedeli, pacifici, e pieni di timore d'Iddio, nella milizia si deve raddoppiare, perchè in quale uomo debbe ricercare la Patria maggior fede, che in colui, che le ha a promettere di morire per lei? In quale debbe essere più amore di pace, che in quello, che solo alla guerra puote esser offeso? In quale debbe esser più timore d’Iddio, che in colui, che ogni dì sottomettendosi ad infiniti pericoli ha più bisogno degli aiuti suoi?
§. 37.
I scandalosi, oziosi, senza freno, senza Religione, fuggitivi dall’impero del padre, bestemmiatori, giuocatori, in ogni parte mal nutriti non si ricevino per soldati, perchè simili costumi non possono esser più contrari ad una vera, e buona disciplina.
§. 38.
Negli eserciti si vietino le femmine, e giuochi odiosi, anzi si tenghino i soldati in tanti esercizi ora particolarmente,
ora generalmente, che non resti loro tempo a pensare, o a Venere,
o a giuochi, né ad altre cose, che facciano i soldati sediziosi, e inutili.
§. 39.
Un Governo bene ordinato sceglie per la guerra uomini nel fiore della loro età, nel qual tempo le gambe, le mani, e l’occhio rispondano l’uno all’altro; né aspetta, che in loro scemino le forze, e cresca la malizia.
§. 40.
Le Armi in dosso a’ propri soldati date dalle leggi, e dagli ordini non fecero mai danno, anzi sempre fanno utile, e mantengonsi le Città più tempo immacolate mediante queste armi, che senza.
§. 41.
Si deve somigliare agli antichi nelle cose forti, e aspre, non nelle delicate, e molli.
§. 42.
Si deve pregare Iddio, che dia vittoria a chi rechi salute, e pace alla Cristianità.
§. 43.
Chi è contento d’una mezzana vittoria sempre ne farà meglio, perchè quegli, che vogliono sopravanzare, spesso perdono.
§. 44.
Ricevendo una Città d’accordo, se ne trae utile, e sicurtà ma avendola a tener per forza, porta nei tempi avversi debolezza, e noia, e ne’ pacifici, danno, e spesa.
§. 45.
Per concludere un’accordo, bisogna cancellare le differenze nate.
§. 46.
Come si fa un accordo con buon animo, si conserva con migliore.
§. 47.
E’ ufficio d’un Principe buono, posate le armi, volger l'animo a far grande sé, e la Città sua.
§. 48.
Un uomo si rende eccellente nella guerra, e nella pace, quando nell’una è vincitore, nell’altra benefica grandemente la Città, e i Popoli suoi,
§. 49.
Ad un Principe nelle faccende eccellente, quello, che ha perduto in guerra, la pace dipoi duplicatamente gli rende.
§. 50.
Il modo di mantenere il suo Stato, è star armato d’armi proprie, vezzeggiare i sudditi, e farsi amici i vicini.