La maestrina degli operai/XIX
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XIX.
Rassegnata, tornò la sera dopo alla scuola. Nevicava fitto da varie ore; gli alunni arrivavano coi cappelli e con le spalle coperti di neve, scotendosi i panni e pestando i piedi con grande strepito. A metà del corridoio, la maestra fu fermata dal cantoniere che le domandò il permesso di dirle una parola in confidenza. Il maestro Garallo gli aveva ordinato di assistere alle lezioni per mantenere il buon ordine; ma egli aveva una proposta da fare: gli pareva più politico di star nel corridoio, con l’orecchio all’uscio, e d’entrar poi all’improvviso, quando avesse inteso rumore, perchè, in quella maniera, avrebbe potuto cogliere in flagrante i colpevoli. E dicendo questo strizzò un occhio, per far comprender meglio la sua furberia. — Ancora un altro che aveva paura! — La maestra gli diede uno sguardo di pietà, dicendogli che facesse quel che voleva, ed egli dissimulando la sua soddisfazione, prese un’impostatura risoluta accanto all’uscio.
Mancavano quella sera più d’una dozzina d’alunni. La maestra ne domandò conto e seppe che erano andati con molta altra gente a passar la serata in una stalla, dove un vecchio contadino reduce dall’America, uno spirito faceto e bizzarro, aveva invitato mezzo il sobborgo a sentir la storia delle sue avventure. Era un po’ di sollievo per lei; ma della ragazzaglia, pur troppo, non mancava un solo.
Fin dai primi momenti ella s’avvide che il Muroni era più cupo del solito: dovevano esser corse parole fra lui e gli altri prima dell’entrata. E vide anche su quei dieci o quindici visi degli alunni più audaci come un pensiero comune, l’apparenza d’un accordo che avessero fatto fra di loro; forse per sostenersi a vicenda quando uno di essi, dopo la scuola, fosse stato assalito da Saltafinestra, che avevano deciso di provocare. Infatti, non appena ella si voltò verso la lavagna per scrivere, si sentì dietro alle spalle un fremito di risa e di mormorii più impertinenti dell’usato; ed ebbe una stretta al cuore, indovinando dal suono particolare di quel riso le smorfie laide e gli atti e le parole licenziose che dovevan correre pei banchi. A un certo punto, facendosi più alto il rumore, il cantoniere mise il viso allo spiraglio dell’uscio e disse: — Silenzio! Non è la maniera! — ma disparve con una così comica rapidità, che mezza la classe fece una risata. Pochi momenti dopo, mentre essa scriveva ancora, le cadde una freccia di carta ai piedi, poi una buccia di castagna. Ma quegli affronti non la ferivano più. Non sentiva più sdegno oramai, ma una profonda tristezza, e insieme non so che forza nuova nell’animo, che la teneva là ferma e intrepida, quasi a una mortificazione meritata, ad un’espiazione volontaria, come una monaca al letto d’un infermo di malattia ributtante. Voleva resistere e soffrir fino all’ultimo, vedere fino a che segno sarebbero giunti, e se la sua pazienza di santa non avrebbe finito con farli vergognare della loro condotta.
Ma a un tratto sentì un Ooooh! forte e prolungato di molte voci, in suono di scherno e di sfida, e, voltandosi, vide il Muroni ritto sul banco, con gli occhi fiammeggianti e i denti stretti, che mostrava il pugno alla classe. Ella aprì la bocca per gettare un grido al cantoniere....
In quel momento si spalancò l’uscio, e un personaggio sconosciuto entrò nella scuola.
Seguì un silenzio profondo.
Era il nuovo ispettore generale di Torino, che la maestra non aveva mai visto. Egli faceva spesso quella prodezza, d’andar a visitare le scuole dei suburbii nelle serate peggiori dell’inverno, quando meno era aspettato. La sua carrozza s’era avvicinata senza rumore, a cagion della neve; egli era entrato bruscamente nel corridoio, facendo cenno al cantoniere spaurito di non annunziarlo, e, appeso il mantello incerato ad un gancio, dopo esser stato un po’ all’uscio a sentire il chiasso smodato, aveva fatto quell’entrata da palco scenico. La sua alta figura di vecchio ufficiale, coi baffi e col pizzo bianco, vestito di scuro, coi panni stretti come un’uniforme, ispirava simpatia e imponeva rispetto. In una tasca sporgente del suo fianco si disegnavano le forme d’una rivoltella. Era indignato.
— Che luogo è questo? — domandò, rivolto alla scolaresca, dopo aver detto chi era. — In questo modo rispettate la vostra scuola e chi v’insegna? Siete onesti operai, voialtri, o che cosa siete? Non posso credere che siano gli uomini, che facciano questo baccano; ma mi fa maraviglia, mi fa sdegno che lo sopportino senza arrossir di vergogna, che lascino insultare in così indegna maniera la scuola del popolo. — Poi, voltandosi alla maestra, con accento severo, senza abbassare abbastanza la voce: — E lei, signorina, in che modo tollera una condotta simile? Come tiene la disciplina? Ma per dignità sua, quando non fosse per dovere d’ufficio, ella non dovrebbe permettere che le si manchi di rispetto fino a questo punto! Mi dica: è così tutte le sere?
La povera ragazza, ritta davanti al suo giudice, pallidissima, mosse le labbra per discolparsi; ma la mente le si turbò, la voce non le venne: le venne invece un’onda di lagrime, che non potè trattenere: tirò fuori il fazzoletto e si mise a piangere come una bambina.
— Si ricomponga — le disse con voce un po’ più mite l’ispettore; — questo non giova a ridarle l’autorità che ha perduta. — Poi rivolse daccapo alla scolaresca alcune vigorose parole, che tutti ascoltarono in silenzio, con quell’attenzione fissa e stupita che il popolo presta agli attori; eccettuato il socialista Lamagna, che guardava per la finestra, con simulata distrazione, un albero carico di neve, rischiarato dal lampione della scuola.
Finita l’intemerata, l’ispettore fece un cenno alla maestra, la quale, con gli occhi rossi e con voce tremante, riprese il filo della lezione, mentre egli vigilava gli alunni con occhi severi. Tutto a un tratto le domandò: — Quali sono i suoi disturbatori abituali?
La maestra li conosceva tutti; ma per pura bontà d’animo, non per paura, non ’parendole nobile di far castigare da altri quelli ch’essa non aveva saputo contenere, rispose con voce dolce, che pareva sincera:
— Nessuno, signor ispettore. Il disordine di questa sera è stato un caso.
Mentre ella diceva questo, lo sguardo dell’ispettore si fissò sul Muroni, attratto dal contrasto della dura fierezza di quel viso col sentimento che v’era dipinto in quel punto, e che pareva ispirato dalla risposta generosa della maestra, della quale egli aveva compreso il pensiero gentile.
— Sta bene, signorina! — disse. — L’aspetto dopo la scuola — e dato un ultimo avvertimento agli alunni, uscì a passi di soldato.
La scolaresca, frenata dal sospetto d’una riapparizione improvvisa del personaggio, si contenne decentemente fino alla fine, e uscì con ordine insolito, non facendo che un sordo mormorio.
Ma mentre assisteva all’uscita degli ultimi alunni dal cortile, prima d’andar a prendere il monito dall’ispettore, la maestra sentì sul viale la voce rauca e furiosa del Muroni, che gridò: — Vigliacchi! — e altre voci smorzate dal nevischio fitto, che gli risposero degli insulti, di lontano.