La maestrina degli operai/XX
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XX.
Dopo quella sera parve che nel Muroni crescessero insieme la passione per lei e l’odio contro i suoi nemici, e che meditasse di sfogar questo, non potendo quella. Ma la passione si manifestava in una maniera tutta sua. La maestra non vide mai sul suo viso l’espressione propria dell’amore o della benevolenza: il suo viso non faceva che intorbidarsi sempre più, e il suo sguardo diventava più fisso e più sinistro, come se col sentimento ch’essa gl’ispirava maturasse gradatamente in lui il proposito d’un delitto. Un gran tumulto di idee e di sentimenti seguiva nel suo piccolo cranio e nel suo cuore esasperato di ribelle al mondo: un fastidio crescente di sè; un disprezzo sempre più iroso dei propri eguali; un’acre ambizione d’essere educato, istruito, ben vestito, ricco per effetto di un colpo di fortuna, o d’audacia, o d’un miracolo; un mostruoso avvicendarsi, quand’era davanti a lei, di concupiscenze violente, di impulsi dì pietà, di fantasie affettuose o feroci o lascive, di subitanei rivolgimenti dell’animo, per cui ora l’avrebbe insultata e percossa come una donna da trivio, ora si sarebbe umiliato, avrebbe baciato, forbito con la lingua la suola dei suoi stivaletti. Egli aveva l’aria d’un uomo a volte stupito, a volte rabbioso e vergognoso di quello che accadeva dentro di sè. Ma qualunque cosa passasse nell’animo suo, manteneva inalterate le forme del rispetto per lei. Pareva anzi che le rendesse più visibili per far nascere il sospetto d’una corrispondenza dissimulata, che avrebbe dato almeno un pascolo apparente al suo amor proprio. E infatti, il sospetto nacque nella scolaresca, che li osservava assiduamente tutti e due. Quello studio che poneva la maestra a non guardarlo quasi mai, a mostrar di non accorgersi dello zelo iracondo con cui la proteggeva, non pareva naturale a molti, i quali cominciavano a pensare che fosse uno sforzo fatto per velare la simpatia. Del resto, egli era un bel giovane, noto per le sue conquiste amorose nel proprio ceto; nè i suoi compagni potevan capire che ciò che principalmente attirava a lui le donne sue pari, la sua trista fama, dovesse essere per la signorina una cagione fortissima di repugnanza, e neppure erano in grado di comprender bene quale distanza mettesse fra di loro la diversità dell’educazione. La maestra s’avvide chiaramente di questo sospetto dall’atto improvviso e ostentato con cui tutti si voltavano verso di lei e di lui, ogni volta ch’essa lo interrogava, e dal tossire affettato, dai sogghigni, dalle mezze parole che si lasciavano sfuggire, guardandola con occhi ridenti anche i più savi; e questo la turbò a segno, che doveva far violenza sopra di sè prima di chiamarlo a leggere, e preparar quasi l’animo e i nervi a ricacciare il rossore che le sarebbe salito alla fronte, s’egli le avesse rivolto una domanda all’improvviso. E stava in continua ansietà che non le riuscisse una volta di nascondere il suo turbamento, perchè, senza dubbio, la scolaresca non l’avrebbe creduto effetto di timidità o di vergogna dei suoi sospetti, ma rivelazione d’amore. Per sua fortuna, una sera che essa più temeva, egli non venne, e non si fece più vedere a scuola per vari giorni.
Lo vide una mattina dalla finestra gironzare nel prato di là dal viale, col capo basso e con le mani in tasca, come chiuso nei suoi pensieri. Alcune ore dopo lo rivide ancora là, seduto sopra un mucchio di ghiaia, coi gomiti sulle ginocchia e i pugni sotto il mento, rivolto verso la scuola; ma così lontano che non ne potè distinguere il viso. La sera stessa, verso notte, passando davanti all’osteria della Gallina, sentì la sua voce roca e avvinazzata in mezzo a un gridìo assordante di giocatori di morra, e riseppe la mattina dopo dal cantoniere che s’eran picchiati ferocemente dopo la mezzanotte, lui e certi barabba di Torino, mettendo per aria l’osteria, donde perfino l’oste era fuggito; e si vedevano ancora per la strada dei brandelli di cravatte e delle ciocche di capelli, sparsi sulla neve. Si diceva anzi che il Muroni fosse a letto per una randellata. Infine, la mattina del terzo giorno, scendendo per la strada maestra, la Varetti lo vide a una cantonata, seduto sopra un paracarro, col cappello rovesciato indietro, col ciuffo tra gli occhi, con le mani nelle tasche dei calzoni, immobile e smorto, col mento insudiciato dal sugo nero d’un mozzicone di sigaro, che gli pendeva dalle labbra, e spettorato come in piena state. Guardandolo di sfuggita prima d’esser vista, gli lesse scritti sulla faccia tre giorni e tre notti d’ozio, d’alterchi, di gioco e d’ubbriacature, un abbrutimento che le strinse l’anima, e la fece rabbrividire, al solo pensiero di dover incontrare il suo sguardo. Non potendo tornare indietro, pensò di passar oltre senza voltare il capo; ma quando s’accorse ch’ei l’aveva veduta e che s’alzava lentamente, senza osare di avvicinarsi, fu vinta da’ un senso di compassione, e lo guardò. Era briaco; a stento potè levar la mano al cappello, che non trovò subito, e scoprendosi, senza riuscire ad alzare il viso, le diede uno sguardo lungo e profondo, accompagnato da un sorriso strano, stupido, tenero, orribile, che le fece ribrezzo e pietà, e la lasciò tutta sconvolta.
La sera del dì seguente tornò alla scuola sbriacato e pulito, e al primo riveder la maestra e più al risentir la sua voce, come se tutti i sentimenti che aveva addormentati per tre giorni gli si ravvivassero a un tratto con maggior vigore, riprese l’antico atteggiamento di contemplazione immobile e cupa; con la quale ricominciarono gli scherzi e i disordini della ragazzaglia. Ma questa volta pareva ch’egli avesse mutato idea. Non minacciava più: si voltava soltanto a guardar ora l’uno ora l’altro, come per fissarsi nella memoria i nomi e gl’insulti, e in quel momento la sua faccia fredda e tranquilla era più sinistra e più inquietante di quando minacciava. E così fece per due o tre sere. Poi mancò alla scuola altre due volte.
Alla maestra giunse notizia d’una nuova rissa seguita la notte in un’osteria in fondo al paese, tra lui e certi contadini della borgata vicina: s’eran viste la mattina delle tracce di sangue sullo scalino esterno d’una cappella. Una notte ella riconobbe la sua voce in mezzo a quelle di vari altri, che passarono cantando nel campo dietro la scuola, e s’allontanarono nell’aperta campagna; e la mattina dopo, appena levata, fu tutta stupita di vederlo seduto nel fosso del viale, sotto la sua finestra, con la schiena appoggiata all’albero e il mento sul petto, che dormiva, in mezzo al ghiaccio. Poi tornò a scuola una sera, ubbriaco e insonnolito, e stette per due ore immobile, con gli occhi lustri, in una specie d’ammirazione stupida e infantile d’un suo nuovo vestito color cinerino. Si riscosse verso la fine, furibondo contro un ragazzo che aveva lanciato una pelle di topo sul palco, ai piedi della maestra. Questa, all’uscita, sentì un gran tumulto, e riseppe la mattina dopo ch’egli aveva preso a schiaffi e a calci il ragazzo. Poi disparve per altri due giorni, e le dissero ch’era stato arrestato.
Non era vero; ma non lo vedevano da un giorno e una notte: qualcuno diceva che fosse a Torino. La Varetti lo seppe una mattina da sua madre, che la venne a trovare tutta piangente, in uno stato d’agitazione febbrile, con un viso che pareva l’immagine dello spavento.
— Ah! signora maestra — esclamò, entrando nella camera — dove sarà il mio figliuolo che non si vede più! Cosa gli sarà mai accaduto! Come posso io durar questa vita, Dio di misericordia, quel figliuolo che pareva già rinsavito! — E si mise le mani nei capelli, dicendo che le pareva che diventasse matto, che non c’era più modo di averne bene, che l’aveva minacciata con un martello. — Mi dica un po’, signora maestra — le domandò con voce affannosa — son nati dei guai coi compagni della scuola, non è vero? Cos’è successo? Cos’hanno con lui?
La povera donna veniva la sera di nascosto, all’ora dell’uscita degli alunni, ad appostarsi dietro gli alberi del viale, e varie volte, dai gruppi che passavano, aveva sentito delle minacce, dei propositi di vendetta contro il suo figliolo. La maestra, per compassione, credette di doverle dire che non sapeva nulla, e cercò di rassicurarla; ma non trovava le parole, essendo distratta da una certa espressione che vedea negli occhi della donna, supplichevole e scrutatrice insieme, che non le aveva mai visto.
Questa ricominciò ad esclamare: — Ah! signorina, il cuore mi dice che deve seguir qualche disgrazia! Signore Iddio, se me lo avessi a veder portare una notte con una coltellata, mi fa sangue l’anima, mi va via la ragione a pensarci!
E nello schianto di dolore che risentì a quel pensiero trovò il coraggio d’aprir tutto l’animo suo.
— L’avevo bene avuto io il sospetto — disse a bassa voce, prendendo una mano alla maestra, senza osare di guardarla in viso, — l’avevo ben pensato io che tutto fosse per motivo d’una simpatia; non m’ero ingannata....
E tutt’a un tratto, giungendo le mani, con un accento d’ardente supplicazione: — Oh signorina — mormorò, fissandola negli occhi — se lei volesse far la carità di dirgli qualche buona parola, una sola buona parola....
Ma s’interruppe, come interdetta, a uno sguardo di lei.
— Che discorsi son questi? — le domandò la ragazza, arrossendo. — Che parte è quella che fate?
La donna diede in uno scoppio di pianto.
— Ah! è vero — disse poi — mi perdoni, signorina.... perdoni a una povera mamma che non sa più quello che si dica! — e le prese e le baciò le mani con uno slancio di affetto così umile e così doloroso, che la maestra, improvvisamente commossa, svincolò la destra e glie la mise in atto di carezza, pietosa sul capo bianco, da cui era caduto il fazzoletto, dicendole: — Fatevi animo, povera donna, fatevi animo; vedrete che non seguirà nulla. E poi.... io vedrò.... gli dirò qualche cosa....
— Dio la benedica! — rispose la vecchia rialzando il viso — Dio la benedica! Anche una sola parola.... alle volte.... che non faccia morir di disperazione sua madre, che ha già penato tanto, che non si metta a nessun brutto rischio, per compassione dei miei ultimi giorni, che salvi l’anima sua!
Ma nell’andarsene fu ripresa dal suo terribile presentimento. — Ho paura che me lo ammazzino! — esclamò, rimettendosi a piangere. — Mi dice il cuore che ha da finir male, ho paura che me lo ammazzino! Che Dio ci tenga le sue sante mani sul capo!
Ed era già sull’uscio, quando tornò indietro con impeto a baciar la mano alla ragazza. Poi se n’andò, con le mani sul viso.