La maestrina degli operai/II
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Tutta compresa di quel pensiero, ella seguitava con l’occhio un treno lontano della strada ferrata, che rigava la pianura bianca, quando fu distratta da una visita, che a quell’ora non s’aspettava più. Era la maestra Mazzara, arrivata da Torino col tranvai: veniva una volta il mese a trovar la sua amica suburbana, come la chiamava, quasi sempre il dopo pranzo del giovedì. Era maggiore di lei di dieci anni, alta e secca, tutta nervi, con una carnagione di un rosso di prosciutto crudo, e aveva due begli occhi grigi curiosissimi, scintillanti sopra un naso a falcetto, di sotto al quale s’apriva una fontana di parole inesauribile, che qualche volta pareva che s’ingorgasse all’orifizio, e non potesse uscire per la troppa furia.
Baciata l’amica, le disse quello che aveva già fatto nella giornata: aveva girato l’ingirabile: s’era levata alle sette, era andata a trovare una sua amica francese, monaca, maestra nell’istituto del Sacré-Cœur, a chieder notizie d’un’altra malata, maestra nell’istituto Faconti, a raccomandare un ragazzo a don Bosco, all’Oratorio di via Cottolengo; poi aveva portato un articolo d’un’amica alla direzione dell’Unione degl’insegnanti e dato una corsa, per un suo affare, alla Società del canto corale, di cui faceva parte. — Dopo questo — concluse — ho ancora voluto venire a veder la mia Enrica. — Ma, avvicinandosi per ribaciarla, s’accorse della sua tristezza, e cambiando improvvisamente viso, voce e atteggiamento: — Che c’è? — le domandò. — Cos’hai? Che è accaduto?
La Varetti la fece sedere davanti a sè, nel vano della finestra, e le disse della scuola serale e dei suoi timori.
— Non è altro? — domandò vivamente l’amica, sorridendo. — Oh povera bambina! Tu dovresti esser contenta! Lasciamo andare che sono ottanta lire al mese di più.... Ma tu ti crei dei fantasmi. Ti assicuro che ti troverai benissimo, invece. La gente del popolo è buona; non bisogna badare alla scorza; ci scoprirai delle qualità di cui non hai idea. Vedrai, vedrai. Già, tu lo sai, io sono mezza socialista.
Era anche socialista, infatti; era un po’ di ogni cosa. Religiosa con le famiglie religiose, democratica con le famiglie del popolo, aristocratica con l’aristocrazia, fautrice dell’“emancipazione„ della donna con le amiche “emancipate„ e affettuosamente piaggiera con tutti, aveva relazione con mezza Torino, bazzicava cento case, dove dava lezioni e accettava pranzi, conosceva preti, deputati, giornalisti, gente bisognosa, che raccomandava da tutte le parti; aveva amiche in tutti gli istituti signorili, era confidente di cinque o sei direttrici, scriveva lettere d’ammirazione, per aver degli autografi, a uomini e a donne illustri, andava agli accompagnamenti funebri dei morti ragguardevoli, cacciandosi in mezzo ai parenti per farsi credere amica di casa, presentava gli uni agli altri i suoi conoscenti del mondo scolastico-letterario, rendeva servizi a tutti, risapeva tutto, s’intendeva di tutto. Soltanto, non scriveva perchè le mancava il tempo; anzi, non parlava mai di letteratura, che le premeva poco; non era nata che per l’azione, non aveva alcuna vanità letteraria; la sua suprema ambizione era di diventar direttrice d’una scuola municipale.
Ma la Varetti non fu punto rassicurata dalle sue parole. Sapeva, per esempio, che a una maestra della scuola serale di Sant’Andrea gli alunni avevan perfin disegnato delle figure oscene sulla lavagna, e fatto tali scandali in classe, ch’era stata costretta a far venire suo padre a assistere alle lezioni. Un’altra aveva trovato una lettera piena di sudicierie sotto il calamaio, e s’era quasi ammalata dallo spavento perchè le avevano messo un topo vivo nel cassetto del tavolino. Infine, una maestra d’un altro sobborgo, avendo denunciato all’autorità due alunni grandi che disturbavano la scuola, questi s’erano appostati di notte sulla strada dove doveva passare e l’avevan buttata in un fosso.
La Mazzara scrollò le spalle. Erano invenzioni, esagerazioni: le maestre facevano una tragedia d’ogni bazzecola. — Credi — disse — il popolo, gli operai specialmente, son gente di buona pasta, di cui si fa quello che si vuole, basta saperli prendere pel loro verso; e chi ne sparla, non li conosce. Parlo degli uomini, però. Quanto alle donne.... è un altro affare.
E anche per confortare l’amica col proprio esempio, le prese a raccontare le fatiche che durava lei a far la scuola festiva nella Sezione Norberto Rosa. — Figúrati, cinquanta alunne di tutte le età, dai dieci anni ai cinquanta, sartine, serve, operaie, bottegaie, ostesse, giovani di negozio, piene di malizia.... e di peggio. Entrano in scuola facendo un baccano indiavolato, si disputano perfino a pugni i posti vicino alle finestre, per poter vedere gli amanti nella strada. E poi, un amor proprio! Le donne d’età non vogliono che io corregga i componimenti a voce alta, e rispondono impertinenze se le rimprovero; le giovani ridono quando faccio la morale; questa non vuol che imparare a far dei conti per la sua osteria, quella non vorrebbe che scriver lettere, per esercitarsi alle corrispondenze amorose; una vuole uscir prima perchè ha la cucina che l’aspetta, un’altra s’addormenta perchè ha passato la notte a cucire o a chi sa come. Credi, Enrica, che è molto meglio aver che fare coi baffi.
Mentre essa discorreva, l’amica osservò un bel vestito di lana bigia finissima, che non le aveva mai visto, un po’ troppo appariscente per lei; e le domandò quanto le costasse. Quella arrossì un poco, e rispose di sfuggita: — Roba vecchia. — Ma alla Varetti passò per la mente un sospetto spiacevole: che anche quello, come già un altro dell’estate scorsa, fosse un vestito smesso d’una bella ragazza che aveva fatto fortuna senza maritarsi, e che prendeva lezioni private d’ortografia dalla Mazzara, per "mettersi all’onore del mondo".
La maestra riprese il suo discorso. — Bisogna vederle uscire, poi. Al suono della campanella scappan tutte con tanta furia, che alle volte cadono l’una addosso all’altra, ed è un miracolo se non seguon disgrazie. Nella strada si tiran delle palle di neve, si rincorrono. È uno scandalo, se tu vedessi. Ma non è il peggio. C’è sempre un branco d’uomini alla porta. A sentirle, son tutti fratelli e cugini. C’è anche dei caporali. E si pigliano a braccetto senza complimenti, in faccia alla direttrice. Ce n’è una, fra l’altre, una servetta, un serpente, che bisognerà finire con cacciarla, da tanto che ci fa disperare. Non s’è mai visto un’impudenza simile. Ha anche lei un cugino, come l’altre. Tu vedessi che bel giovane! Uno che viene di fuor di Torino apposta per aspettarla, un’anima persa, uno di questi barabba, tu sai, che non han paura di nulla e che ti freddano un uomo per una parola. E il bello è che mentre fa all’amore con lei, è geloso anche delle altre. Lui le vorrebbe tutte. Ha già attaccato lite con mezzo mondo. Ma tutti lo temono perchè è già stato un anno in prigione per una coltellata. Bisogna veder che faccia: degli occhi che mettono i brividi. E quella sfrontata se ne vanta, capisci, vorrebbe imporne alle compagne come una regina, e minaccia di far bucare la pelle ai loro fratelli e amorosi. Domenica scorsa egli tirò uno schiaffo a uno, ci fu un parapiglia, accorsero le guardie. Un giorno o l’altro l’ammazzano. Ma di’ pure un bel giovane. L’anno passato andava a far le gare di lotta all’Arena torinese e dicono che buttava giù tutti. Non tanto alto, ma forte e svelto, dei bei capelli neri, con un ciuffo sulla fronte, una bella vita. Quand’è impostato là alla cantonata, durante la lezione, c’è una dozzina d’alunne, tutte quelle vicine alle finestre, che non c’è più verso di tenerle. Non capisco... A me farebbe paura.
Ma dicendo questo, rise, e quel riso spiacque alla Varetti, la quale ci vedeva un sentimento discordante dalle parole, e ne comprendeva il perchè. Figliuola d’un brentatore tristo soggetto, cresciuta in mezzo a tre fratelli discoli, legati con la peggior bordaglia di Torino e stati in carcere più volte per disordini e risse, la Mazzara s’era levata al di sopra della propria famiglia a forza di studio, e in grazia di una naturale bontà d’animo e di certe aderenze signorili; ma le era rimasta per quella gente una specie di simpatia di razza; la quale, pur non osando esprimersi apertamente, si lasciava indovinare in una certa indulgenza sorridente, spinta talvolta fino ad un’ammirazione volgare delle loro gesta, che offendeva la delicatezza della sua amica. Questa dimenticò in quel momento la loro buona amicizia di tre anni, e un servigio importante che le aveva reso la Mazzara in una congiuntura dolorosa, e s’alzò, impazientita da quei discorsi.
L’amica le domandò se aveva da uscire. Essa rispose di sì, che andava alla "benedizione" come tutti i giorni. Allora quella cambiò tutt’a un tratto viso ed accento, e le disse con dolcezza di divota: — Fai bene, bimba mia. Anch’io sento il bisogno d’andar in chiesa ogni giorno, a dedicare un pensiero a Dio. Dopo mi sento meglio.
D’altra parte doveva essa pure tornare a Torino. Doveva ancora far visita a un’amica, parente d’una maestra che era stata istitutrice in casa del principe di Carignano, doveva fare una commissione al parroco della Consolata, un monte di cose.
— Dunque — le disse, prendendole il mento con due dita — va’ di buon animo a far la scuola serale. Son sicura che ci troverai della gente di cuore, rozza, ma schietta, e anche rispettosa. Basta trattarli senza sussiego, semplicemente, alla loro maniera. Tu vedrai. Fra un mese t’adoreranno.
La Varetti tentennò il capo. — Ho dei cattivi presentimenti — rispose.
— Fantasie! — disse l’altra. — Il popolo è come il diavolo; molto, ma molto meno brutto di quello che si dipinge.
Poi le espresse una sua idea: per le prime sere, avrebbe potuto far assistere alle lezioni il cantoniere.
Ma la Varetti sorrise. Il cantoniere era un povero vecchietto, che faceva il coraggioso, ma ch’era pien di paura, tanto che quando si sentivano le grida d’un alterco sul viale, non c’era più modo di trovarlo; pareva che sparisse a traverso ai muri come uno spettro.
— Insomma — concluse la Mazzara — tutto andrà per il meglio, te lo assicuro io. Tornerò presto a vederti e tu mi dirai che sei contenta.
La Varetti uscì con lei per accompagnarla fin sul viale, e quella, mentre scendevano, parlando a precipizio, le diede ancora notizie d’una diecina di amiche.
Arrivate sull’uscio del cortile, incontrarono un giovanotto col cappello a cencio e con la pipa in bocca, il quale, fissatele tutte e due, si scansò per lasciarle passare, e poi entrò nella scuola voltandosi a guardar la Varetti.
La Mazzara fece un segno di gran maraviglia, ed esclamò: — È lui!
— Chi, lui? — domandò la sua amica, turbata.
— Lui, quello di cui t’ho parlato poco fa, che viene ogni domenica a aspettar la cugina. Non sapevo che stesse a Sant’Antonio. Tu lo devi conoscere.
La Varetti, balbettando, rispose che lo conosceva di vista.
— Sarà alunno della scuola serale, — disse l’altra.
Ma la Varetti sapeva di certo che non era.
— Allora — disse la sua amica — è certo che è venuto per farsi iscrivere. Che vuoi che venga a far qui?
La Varetti impallidì. Ma l’amica non se n’accorse, e le disse allegramente: — Toccherà dunque a te a convertirlo. Non trattenerti a pigliare il freddo. Addio, Enrica!
E datole un bacio, scappò per la neve.