La maestrina degli operai/III
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La Varetti rientrò in casa col batticuore. Era veramente venuto a farsi iscrivere per la scuola serale? E perchè aveva aspettato che vi fosse lei? Ebbe subito l’idea d’andare ad accertarsi della cosa dal maestro Garallo, che, facendo da direttore, riceveva le iscrizioni; ma la rattenne il timore ch’egli indovinasse la sua inquietudine, e la tacciasse di pusillanime. Perdette ogni dubbio un minuto dopo vedendo dalla finestra del cortile il giovane che discorreva col maestro, il quale l’accomiatò con un cenno delle dita aperte, che le parve volesse dire: — alle otto. — Essa conosceva colui più che di vista, poichè nel sobborgo tutti ne parlavano. Era un tal Muroni, soprannominato saltafinestra, perchè, da ragazzo, per sfuggire a una furia di suo padre che lo voleva ammazzare, era saltato giù dalla finestra di casa sua rompendosi una gamba sul ciottolato della strada. Suo padre, operaio in una delle fabbriche di Sant’Antonio, era morto d’un colpo ricevuto da una correggia di trasmissione, a cui s’era cacciato sotto, essendo briaco; dopo aver fatto per dieci anni patir morte e passione a sua moglie, una povera donna tutta chiesa, che lavorava a una concerìa. Il figliuolo lavorava da un fabbro ferraio, quando n’aveva voglia; passava delle giornate intere a Torino; era stato un anno in carcere per ferimento, e aveva fatto ammattire per un mese i carabinieri, sguisciando loro di mano dieci volte; praticava la feccia dei malviventi della città e dei dintorni; giocatore, briacone, accattabrighe, prepotente; spietato con sua madre, a cui strappava fino all’ultimo centesimo minacciando d’andare a far delle scenate in chiesa o di sfregiare le immagini sacre che avevano in casa; infine, accusato dalla voce pubblica di tutte le birbonate e di tutte le violenze che si commettevan la notte in Sant’Antonio, delle quali non fossero scoperti i colpevoli. La maestra Varetti aveva sempre avuto orrore di lui, e n’aveva anche di più da qualche tempo, perchè, fosse per simpatia, fosse per il piacere di intimorirla e di confonderla col suo sguardo, egli aveva preso a fissarla ogni volta che la incontrava, e a soffermarsi per guardarla ancora, dopo ch’era passata; e infatti sotto lo sguardo dei suoi occhi neri e lampeggianti di luce sinistra, ella mutava colore e perdeva il fiato. Perchè era venuto a farsi iscrivere alla scuola serale? si domandava la maestra. Non per istruirsi, certamente. E le passavan pel capo le più tristi idee: che, offeso dall’avversione ch’essa gli dimostrava a malgrado suo, volesse venire alla scuola per vendicarsene, o che, prendendo per commozione di simpatia il suo turbamento, le si volesse avvicinare per conquistarla; e i due sospetti la sgomentavano in egual maniera.
Le pareva ora irragionevole d’essersi tanto inquietata prima, quando pure sapeva che colui non faceva parte della scolaresca. Ora sì, aveva ragione davvero d’essere in affanno. Dio mio, che cosa sarebbe accaduto? Come ne sarebbe uscita? E agitata da questi pensieri, prese a girar per la camera. Si soffermò un momento davanti a un ritratto di suo padre in divisa, appeso alla parete, come per prender consiglio e coraggio dalla sua immagine. Poi si arrestò davanti allo specchio, quasi per interrogar la propria persona, se avrebbe imposto rispetto o incoraggiato l’impertinenza, o frenata questa con una ispirazione di simpatia, o anche di pietà. Ma lo specchio non le diceva nulla che la confortasse. Sui ventiquattro anni, benchè alta di statura, ne dimostrava diciotto; era esile; aveva un corpo gentile di fanciulla adolescente, il viso d’una bianchezza lattea e d’una minutezza di lineamenti da bambina, e una piccola bocca scolorita, da cui usciva una voce debole e dolce di malata. Che autorevolezza avrebbe potuto avere? Perfino quel difetto leggerissimo di strabismo che dava allo sguardo dei suoi occhi celesti una indeterminatezza fantastica, la quale a molti riusciva seducente, le pareva che si dovesse prestare a scherzi e a dileggi, come la sua carnagione delicata e la sua grazia signorile, che facevano troppo vivo contrasto con l’aspetto della scolaresca. E stette un po’ di tempo davanti allo specchio, lisciandosi distrattamente con la mano lunga e bianca i capelli castagni che le scendevan sulle tempie, e cercando con quale atteggiamento del viso avrebbe dovuto presentarsi alla classe la sera dopo, per guadagnarsi alla prima un po’ di benevolenza. Ma si levò di là tutt’a un tratto, più inquieta che mai, e si avvicinò alla finestra, a fissar l’occhio indagatore in fondo al viale, dove a traverso alla nebbia della sera splendeva già la lanterna rossa di quella terribile osteria, che la faceva tanto fantasticare e tremare. Due colpi che sentì nel muro, dall’altra parte della camera, la riscossero dai suoi pensieri.